Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 13909 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 13909 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 20/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 299/2020 proposto da:
NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), NOME COGNOME (CODICE_FISCALE).
– Ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE che l a rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE).
– Controricorrente –
E contro
SERVITÙ
RIVERITI NOME.
– Intimato –
Avverso la sentenza della Corte d’appello di Torino n. 878/2019 depositata il 24/05/2019.
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME nella camera di consiglio del 15 maggio 2024.
Rilevato che:
1. con atto di citazione notificato il 22/09/2008, NOME COGNOME, titolare della ditta individuale ‘RAGIONE_SOCIALE‘, (‘RAGIONE_SOCIALE‘) conveniva, davanti al Tribunale di Alessandria, l ‘ RAGIONE_SOCIALE ( ‘RAGIONE_SOCIALE‘) per sentire dichiarare che il fondo attoreo (identificato al catasto di Alessandria, foglio 109, mappali nn. 708 e 742) godeva della servitù di passaggio a piedi e con ogni mezzo e con cavi, tubazioni ed altro, sul sedime di proprietà della convenuta (mappale 369) per tutta la sua lunghezza e per una larghezza costante di sei metri sulla strada dipartentesi dalla INDIRIZZO per raggiungere il fondo dell’attore, e per ottenere la condanna del convenuta al risarcimento dei danni, derivanti anche dal mancato perfezionamento della promessa di vendita del terreno che l’attore aveva concluso con RAGIONE_SOCIALE (‘RAGIONE_SOCIALE‘), promessa risoltasi per fatto e colpa della società convenuta.
Assumeva di essersi aggiudicato il terreno, costituente il ‘secondo lotto’ , ad un ‘ asta fallimentare e che era sorta controversia con la convenuta, aggiudicataria del ‘primo lotto’ della medesima procedura concorsuale, controversia composta dalle parti con la scrittura privata del 04/10/2007, nella quale l ‘RAGIONE_SOCIALE riconosceva la servitù di passaggio (come sopra descritta) a favore del fondo dell’attore ; riferiva inoltre che la convenuta, nel dicembre 2007, aveva sostituito il precedente cancello carraio (del quale, in epoca anteriore, aveva consegnato le chiavi allo stesso COGNOME) con un altro cancello di
accesso alla stradina, in tal modo impedendo all’attore l’esercizio della servitù.
Ne era scaturito il presente giudizio – nel cui àmbito era stato promosso anche un ricorso cautelare incidentale, con conseguente fase d’attuazione – che, nel contraddittorio delle parti, in primo grado era stato definito con sentenza (n. 974 del 2016) del Tribunale di Alessandria che accertava l’esistenza della servitù, condannava la convenuta a consentire all’attore il libero accesso e recesso dalla INDIRIZZO alla proprietà della stessa parte vittoriosa e a consentire le altre facoltà indicate nella scrittura 04/10/2007, e rigettava la domanda di risarcimento dei danni;
proposta impugnazione da COGNOME, la Corte d’appello di Torino, nella resistenza della società appellata, ha respinto l’appello , dopo avere affermato che, in mancanza di gravame sul punto, vi era giudicato sulla statuizione del Tribunale di Alessandria relativa alla costituzione della servitù di passaggio rispettivamente a favore del fondo dell’attore e a carico del fondo della convenuta.
Il nucleo argomentativo della sentenza d’appello è il seguente:
(a) COGNOME si duole che il Tribunale abbia respinto la sua domanda di risarcimento del danno sull’erroneo presupposto che il recesso di NOMECOGNOME dalla promessa di vendita 10/08/2007 dipendesse da fatto esclusivo e colpa del promittente venditore, senza considerare che, come previsto nella promessa di vendita, il promittente venditore aveva ottenuto un valido titolo di servitù, individuato nella scrittura privata del 04/10/2007, e che il recesso della promissaria acquirente era dipeso soltanto dal l’atteggiamento minaccioso di COGNOME , il quale, in più occasioni, aveva dichiarato che avrebbe impedito l’eser cizio della servitù.
In realtà, spiega la Corte di Torino, la scrittura del 04/10/2007, era un titolo ‘valido’ (con effetti obbligatori) esclusivamente tra le
parti di questo giudizio, ma poiché non era stata trascritta era inconferente rispetto ai terzi, sicché, in definitiva, era un titolo ‘non valido’ rispetto al vincolo contrattuale tra COGNOME e RAGIONE_SOCIALE.
Con la conseguenza che il comportamento della RAGIONE_SOCIALE era privo di rilevanza causale rispetto al recesso di NOME.RAGIONE_SOCIALE, la quale, come terza estranea, non avrebbe potuto giovarsi della stessa scrittura.
Ne consegue, ulteriormente, che non sussiste alcun danno risarcibile per la mancata percezione della plusvalenza data dalla differenza tra il prezzo di acquisto all’incanto del terreno e il maggior prezzo pattuito da RAGIONE_SOCIALE nella citata promessa di vendita;
(b) l’appellante ha chiesto la condanna di controparte al risarcimento dei danni, quantificati in € 872.176,33, per l’impossibilità assoluta di edificare il proprio terreno, che la parte assume essersi protratta dal 2008 al 2016, allorché la convenuta ha rimosso le baracche e i silos che, durante questo lasso di tempo, avevano impedito all’attore di esercitare i propri diritti sul fondo altrui.
È questa un’ inammissibile mutatio libelli in ragione del fatto che, in primo grado, l’attore aveva limitato la domanda alla pretesa di risarcimento dei danni per l’impossibilità di richiedere il permesso di costruire per il 2008;
(c) la censura concernente l’erronea interpretazione, da parte del Tribunale, delle risultanze della c.t.u., seppure astrattamente fondata, è irrilevante a causa dell ‘ infondatezza delle due precedenti critiche; sotto altro profilo, l’appellante, il quale con la scrittura del 04/10/2007 aveva accettato le limitazione della servitù a causa della durata dei lavori di edificazione sul fondo dell’ RAGIONE_SOCIALE, adesso non può fare valere queste limitazioni come causa giuridica del proprio danno;
(d) l’appellante deduce che il Tribunale ha rigettato la domanda di risarcimento dei danni dipendenti dall ‘ impossibilità di edificare sul terreno di sua proprietà in mancanza di prova della ‘volontà’ di costruire e afferma che, in effetti, la volontà di svolgere attività edilizia sul terreno era comprovata dalla propria natura di impresa edile e dalla predisposizione dei preventivi Amag per l’allaccio delle udienze; aggiunge di non ave re svolto un’attività di progettazione né presentato una richiesta di permesso di costruire perché non aveva accesso alla propria area e perché si era attenuto al principio di diritto secondo cui il creditore è obbligato a non aggravare la posizione del debitore.
A ben vedere, osserva la Corte, l’appellante pretende il risarcimento del danno da perdita di chance , la cui prova non può essere integrata dalla mera richiesta di due preventivi. Né COGNOME ha chiesto, nel presente giudizio, il risarcimento del danno, avente un’autonoma causa petendi , per la dichiarata ed evidente malafede della società convenuta nell’ adempimento del contratto del 04/10/2007;
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, con otto motivi.
RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie per l’adunanza in camera di consiglio.
Considerato che:
il primo motivo denuncia , ai sensi del n. 5, dell’art. 360 c.p.c., l’omesso esame circa un fatto decisivo .
La sentenza impugnata avrebbe trascurato le risultanze probatorie (documentali e testimoniali) che confermavano la tesi dell’appellante secondo cui RAGIONE_SOCIALE, promissaria acquirente, era receduta dalla promessa di vendita del terreno, che prevedeva un
prezzo di € 510.000, perché COGNOME aveva ripetutamente detto a NOME (legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE) che avrebbe impedito l’esercizio della servitù di passaggio e di posa di cavi e tubazioni sul proprio terreno, ribadendo l ‘avvertimento anche in data 28/02/2008 quando le parti si erano recate presso il AVV_NOTAIO per la stipula del rogito.
Sotto altro profilo, si addebita alla Corte d’appello di non avere compreso che, con la scrittura privata del 04/10/2007, le parti (COGNOME e l’ RAGIONE_SOCIALE) costituivano una valida servitù di passaggio e che questo atto, a differenza di quanto afferma la sentenza impugnata, era un titolo valido anche per la promissaria acquirente RAGIONE_SOCIALE, la quale era poi receduta dalla promessa di vendita non per la mancanza di un titolo valido, ma esclusivamente per le minacce di COGNOME di ostacolare sine die qualsiasi costruzione sulla proprietà COGNOME;
1.1. il motivo è inammissibile;
si verifica, infatti, l’ipotesi della c.d. ‘doppia conforme’, ai sensi dell’articolo 348 -ter, commi 4 e 5, c.p.c., con conseguente inammissibilità della doglianza di omesso esame circa un fatto decisivo ex art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c., quando la sentenza di appello «conferma la decisione di primo grado» e risulta «fondata sulle stesse ragioni», inerenti alle questioni di fatto, poste a base della sentenza di primo grado (c.d. ‘doppia conforme’).
Il ricorrente non indica, nel rispetto dell’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., sotto quale profilo siano tra loro diverse le ragioni di fatto su cui si fondano, rispettivamente, la decisione di primo grado e la sentenza di appello (tra le altre, Cass. n. 1614 del 2024; Cass. n. 5947 del 2023);
2. il secondo motivo denuncia l’omesso esame di fatti decisivi e il vizio assoluto di motivazione.
Si fa valere la contraddittorietà della sentenza impugnata che, da un lato, riconosce che sulla costituzione della servitù con scrittura 04/10/2007 la decisione del Tribunale è passata in giudicato; dall’altro, nega la validità dell ‘ esistenza della servitù, che rappresentava la condizione (avveratasi) della promessa di vendita del 10/08/2007, stipulata da RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE;
2.1. il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile;
dal primo punto di vista (infondatezza del motivo), non sussiste il prospettato vizio strutturale della sentenza, la quale soddisfa il requisito del ‘minimo costituzionale’, come delineato dalla giurisprudenza di questa Corte ( ex multis , Cass. Sez. U. 27/12/2019, n. 34476, la quale cita, in motivazione, Cass. Sez. U., 07/04/2014, n. 8053; Sez. U. 18/04/2018, n. 9558; Sez. U. 31/12/2018, n. 33679), per la quale «nel giudizio di legittimità è denunciabile solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, in quanto attiene all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali: tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione».
Nella specie, la Corte territoriale, con motivazione esaustiva e priva di vizi logici, spiega che il valido titolo della servitù di passaggio è dato dal giudicato formatosi sulla statuizione del Tribunale di Alessandria che ha accertato la costituzione della servitù di passaggio e che non è stata impugnata e non già, come sostiene l’appellante,
dalla scrittura privata del 04/10/2007, intercorsa tra COGNOME e l’RAGIONE_SOCIALE
Dal secondo punto di vista (inammissibilità del motivo), la censura concernente l’omesso esame di fatti decisivi collide con il principio della doppia conforme, richiamato al punto 1.1.;
il terzo motivo denuncia, come ‘omessa valutazione di un fatto decisivo’ , la circostanza che la Corte d’appello non abbia considerato che la scrittura privata 04/10/2007, costitutiva della servitù a favore di NOME, era un titolo valido e quindi cogente anche verso la promissaria acquirente RAGIONE_SOCIALE;
3.1. il motivo è inammissibile: anche in relazione a questa doglianza opera il meccanismo della doppia conforme;
il quarto motivo, ai sensi del n. 5, dell’art. 360 c.p.c., evidenzia che l’accoglimento delle precedenti censure comporta la cassazione della sentenza impugnata per non avere riconosciuto all’attore i danni da mancata percezione della plusvalenza correlata al prezzo pattuito con la promessa di vendita del 10/08/2007;
4.1. il motivo è inammissibile per quanto detto in precedenza (punti 1.1., 2.1., 3.1.);
il quinto motivo denuncia la falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c.
Il ricorrente si duole che la Corte d’appello abbia respinto la sua pretesa risarcitoria in ragione della ravvisata inammissibile mutatio libelli dell’attore che, in primo grado, aveva fondato la domanda sull’impossibilità di richiedere il permesso di costruire e che, in sede di gravame, aveva ricondotto il danno all’impossibilità di edificare concretamente il proprio fondo.
La parte rileva che, in realtà, non vi era stata alcuna mutatio libelli , dato che le conclusioni rassegnate in primo grado erano più articolate rispetto a quanto inteso dalla Corte territoriale e che lo
stesso attore , nell’intero arco del giudizio (compresi i ricorsi incidentali in corso di causa), aveva basato la pretesa risarcitoria sull’impossibilità di edificare;
5.1. il motivo è inammissibile;
è il caso di richiamare il consueto indirizzo di questa Corte (Sez. 1, Sentenza n. 18641 del 27/07/2017, Rv. 645076 -01), secondo cui, ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza .
Nel caso in esame, il ricorrente sottopone a critica la ratio della pronuncia d’appello che ravvisa un’inammissibile mutatio libelli nelle conclusioni dell’appellato, ma omette di prendere posizione sul dictum della Corte territoriale che ha respinto per genericità la pretesa risarcitoria di COGNOME basata sull’impossibilità di edificare concretamente il fondo;
6. il sesto motivo denuncia , ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., l’omesso esame di un motivo di appello e la violazione dell’art. 189 c.p.c.
Si addebita alla sentenza di non avere esaminato la circostanza che il Tribunale d’ufficio aveva inspiegabilmente limitato il periodo nel quale si era protratta l’impossibilità dell’attore di edificare soltanto all’ anno 2008, anziché considerare l’intera durata della causa, protrattasi dal 2008 al 2016;
6.1. il motivo è inammissibile per le ragioni indicate ai punti 1.1., 2.1., 3.1., 4.1.;
7. il settimo motivo denuncia il vizio di motivazione della sentenza impugnata.
Si assume è che la c.t.u. aveva appurato che il posizionamento delle baracche e dei silos sul terreno della convenuta aveva impedito all’attore il libero passaggio e la posa di condotti e tubazioni in vista delle proprie iniziative edilizie.
Ciò premesso, il ricorrente rileva che la sentenza impugnata prima nega il diritto al risarcimento del danno in ragione del fatto che l’attore aveva accettato una limitazione della servitù a causa e per la durata dei lavori di edificazione dell ‘ RAGIONE_SOCIALE, salvo poi riconoscere che l’appellante aveva subito un danno per effetto della malafede dell’RAGIONE_SOCIALE nell’esecuzione del contra tto 04/10/2007;
7.1. il motivo è infondato;
non sussiste il prospettato difetto di motivazione della sentenza d’appello, la cui ratio decidendi appare evidente: per la Corte di Torino , l’attore -il quale ha omesso di proporre la relativa domanda giudiziale – al fine di vedere riconosciuta la sua pretesa risarcitorio, avrebbe dovuto svolgere una domanda risarcitoria fondata su una diversa causa petendi , ossia una domanda di risarcimento del danno per malafede della convenuta nell’adempimento della scrittura privata del 04/10/2007;
8. l’ottavo motivo -‘ Violazione ex art. 360 comma 1 n. 3 in relazione al punto n. 6 della motivazione della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 113 e 342 c.p.c. nonché violazione ex art. 360 comma 1 n. 5 per vizio di motivazione -Violazione dell’art. 1227 codice civile in relazione al comportamento tenuto dalla ricorrente, creditrice, per non aggravare il danno della debitrice. D ifetto di motivazione’ muove dalla premessa che la Corte d’appello ha respinto la domanda di risarcimento del danno per
oggettiva impossibilità di edificare a causa della mancanza di prova del danno, avendo l’attore prodotto solo due preventivi Amag del gennaio 2009, redatti in pendenza del giudizio.
Si addebita alla Corte territoriale l’ omesso esame delle argomentazioni dell’appellante, il quale aveva spiegato che, non avendo accesso all’area, non aveva fatto progettare un’opera edilizia né presentato il corrispondente permesso di costruire, attenendosi al principio di diritto sancito dall’art. 1227 c.c., secondo cui il creditore (COGNOME) ha l’obbligo di tenere una condotta che non aggravi la posizione della debitrice ( l’RAGIONE_SOCIALE );
Si censura, inoltre, la sentenza impugnata che, pur ritenendo che l’attore abbia subito un danno dalla convenuta, consistente nella malafede di quest’ultima nell’esecuzione del contratto del 04/10/2007, tuttavia, ha disatteso la domanda risarcitoria per essere la malafede un’autonoma causa petendi ex artt. 1375, 1218 c.c., non dedotta dall’ attore.
Il ricorrente obietta che la qualificazione della domanda spetta al giudice e aggiunge che, pur senza citare espressamente gli artt. 1375 c.c., 1218, c.c., aveva stigmatizzato, in entrambi i gradi di giudizio, il doloso comportamento ostativo ed emulativo della controparte che, travalicando il contenuto tecnico della scrittura privata 04/10/2007, andava dicendo che avrebbe impedito a chiunque il normale esercizio della servitù;
8.1. il motivo è inammissibile;
in base al consolidato orientamento di questa Corte ( ex multis , Sez. 2, Ord. n. 8864 del 2024), il giudizio di cassazione è a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito. Ne consegue che il motivo del ricorso deve necessariamente
possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c. Nella specie, il complesso motivo di ricorso, sussunto, contemporaneamente, nei diversi paradigmi della violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c.), dell’ error in procedendo ( ibidem , n. 4) lì dove si lamenta la violazione dell’art. 342 c.p.c., e dell”omesso esame’ ( ibidem , n. 5), contiene – in sostanza – una critica lacunosa, inammissibilmente ampia e incerta nella fisionomia, che finisce col demandare a questa Corte, in modo non consentito, il compito di sostituirsi al ricorrente al fine di trarre , dall’insieme indistinto delle doglianze congiuntamente proposte, autonomi profili di censura (Cass. 18/04/2018, n. 9486);
in definitiva, respinti il secondo e il settimo motivo, dichiarati inammissibili gli altri, il ricorso va rigettato;
le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo in favore della parte vittoriosa costituita, seguono la soccombenza;
11 . ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto;
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in € 7.000 ,00, oltre a € 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, in data 15 maggio 2024.