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Risarcimento del danno per mancata assunzione

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna di una società al risarcimento del danno per mancata assunzione. È stato chiarito che l’incentivo all’esodo percepito dal lavoratore dal precedente datore di lavoro non può essere detratto dal risarcimento, in quanto ha una causa giuridica diversa e non è un guadagno derivante dall’inadempimento della società.

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Risarcimento del Danno: La Promessa di Assunzione non Mantenuta

Una promessa di assunzione non mantenuta può causare notevoli difficoltà a un lavoratore. La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha affrontato un caso emblematico, chiarendo aspetti fondamentali sul calcolo del risarcimento del danno e su quali somme possano essere detratte. Questa decisione offre importanti spunti di riflessione per lavoratori e aziende sulle conseguenze legali di un recesso ingiustificato da un impegno ad assumere.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un lavoratore che aveva ricevuto una promessa di assunzione da una società energetica. Sulla base di questo impegno, datato 21 gennaio 2019, il lavoratore aveva risolto il rapporto con il suo precedente datore di lavoro. Tuttavia, la società energetica ha successivamente ritirato l’offerta, lasciando il lavoratore senza impiego. Di conseguenza, il lavoratore ha citato in giudizio la società, chiedendo il risarcimento del danno.

Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello hanno dato ragione al lavoratore, riconoscendo l’illegittimità del recesso della società e condannandola a pagare una somma di circa 119.000 euro. La società ha quindi presentato ricorso in Cassazione, non per contestare la propria responsabilità, ma per impugnare esclusivamente i criteri di quantificazione del danno.

I Motivi del Ricorso e il risarcimento del danno

L’azienda ricorrente ha basato il suo appello su quattro motivi principali, tutti volti a ridurre l’importo del risarcimento del danno stabilito nei gradi di giudizio precedenti:

1. Errata valutazione della domanda iniziale: secondo la società, i giudici avrebbero liquidato un danno superiore a quello richiesto in via principale dal lavoratore.
2. Mancata detrazione dell’incentivo all’esodo: la società sosteneva che la somma percepita dal lavoratore come incentivo all’esodo dal precedente datore di lavoro dovesse essere sottratta dal risarcimento (secondo il principio della compensatio lucri cum damno).
3. Genericità dei criteri di liquidazione: si lamentava una motivazione apparente o generica riguardo ai criteri usati per calcolare il danno.
4. Condotta del lavoratore: la società riteneva che si dovesse tener conto del fatto che il lavoratore avesse formalizzato la risoluzione con il precedente datore di lavoro quando già sapeva del recesso della nuova azienda.

La Decisione della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha respinto tutti i motivi del ricorso, confermando la decisione della Corte d’Appello. Gli Ermellini hanno analizzato punto per punto le censure della società, fornendo chiarimenti cruciali sulla liquidazione del danno in casi simili.

Per quanto riguarda il primo e il quarto motivo, la Corte li ha dichiarati inammissibili. Il primo per difetto di specificità, in quanto la società non aveva adeguatamente riportato gli atti processuali necessari a sostenere la propria tesi. Il quarto perché introduceva una questione nuova (novum), mai trattata nei precedenti gradi di giudizio.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si sono concentrate sui punti più rilevanti della controversia. Sul terzo motivo, la Corte ha ritenuto che la motivazione della sentenza d’appello fosse chiara e logicamente coerente. I giudici di merito avevano legittimamente fatto ricorso a un criterio equitativo per determinare la durata verosimile del rapporto di lavoro non concluso, basandola sulla media dei rapporti di lavoro precedenti del lavoratore. Questo approccio è stato considerato corretto, soprattutto a fronte di una promessa di assunzione a tempo indeterminato e senza patto di prova.

Il punto centrale della decisione riguarda il secondo motivo, cioè la mancata detrazione dell’incentivo all’esodo. La Cassazione ha stabilito che la compensatio lucri cum damno non era applicabile in questo caso. La somma ricevuta dal lavoratore dal suo ex datore di lavoro non era una conseguenza diretta della mancata assunzione, ma la contropartita per la sua rinuncia a contestare la risoluzione consensuale del precedente rapporto. In altre parole, il lavoratore avrebbe percepito quella somma a prescindere dall’effettiva assunzione presso la nuova società. Mancava, quindi, il nesso causale diretto tra l’inadempimento della società promettente e il vantaggio economico (l’incentivo) ottenuto dal lavoratore. L’incentivo remunerava la mancata opposizione al licenziamento, mentre il risarcimento compensava la perdita delle retribuzioni future derivante dalla promessa non mantenuta.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso e ha condannato la società al pagamento delle spese legali. Questa ordinanza rafforza un principio fondamentale in materia di risarcimento del danno: affinché un vantaggio economico ottenuto dal danneggiato possa essere detratto dall’importo del risarcimento, deve esistere un legame causale diretto e immediato con il fatto illecito. Un beneficio che deriva da una causa giuridica autonoma e distinta, come un accordo conciliativo con un precedente datore di lavoro, non può ridurre l’obbligazione risarcitoria di chi ha violato un impegno contrattuale. La decisione sottolinea la serietà di una promessa di assunzione e le conseguenze economiche per chi decide di non onorarla.

Se una società non rispetta una promessa di assunzione, l’incentivo all’esodo che ho ricevuto dal mio precedente lavoro può essere detratto dal risarcimento?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che l’incentivo all’esodo non può essere detratto perché ha una causa giuridica diversa. Esso rappresenta il compenso per la rinuncia a impugnare la risoluzione del precedente rapporto di lavoro e non è una conseguenza diretta della mancata assunzione.

Come viene calcolato il danno se non c’è un contratto di lavoro firmato?
In assenza di un contratto, il giudice può utilizzare un criterio equitativo. Nel caso esaminato, il danno è stato calcolato proiettando le retribuzioni perdute su un periodo di tempo ritenuto verosimile per la durata del rapporto, basandosi sulla media dei precedenti rapporti di lavoro del dipendente.

Posso presentare nuovi argomenti o prove per la prima volta davanti alla Corte di Cassazione?
No, di regola non è possibile. Il giudizio di Cassazione è un giudizio di legittimità, non di merito. Introdurre questioni nuove (il cosiddetto novum) è vietato, poiché la Corte deve decidere sulla base di quanto già discusso e provato nei precedenti gradi di giudizio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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