Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 32937 Anno 2024
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Civile Ord. Sez. 3 Num. 32937 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/12/2024
composta dai signori magistrati:
dott. NOME COGNOME
Presidente
dott. NOME COGNOME
Consigliera
dott. NOME COGNOME
Consigliere
dott. NOME COGNOME
Consigliere
dott. NOME COGNOME
Consigliere relatore
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al numero 20663 del ruolo generale dell’anno 2022, proposto da
COGNOME NOME (C.F.: DRM VGL 43B10 H501T)
rappresentato e difeso dall’avvocat o NOME COGNOMEC.F.: CODICE_FISCALE
-ricorrente-
nei confronti di
COGNOME NOME (C.F.: TARGA_VEICOLO
rappresentato e difeso dall’avvocat o NOME COGNOMEC.F.: CODICE_FISCALE
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza della Corte d’a ppello di Roma n. 3586/2022, pubblicata in data 25 maggio 2022 (e notificata in data 30 maggio 2022);
udita la relazione sulla causa svolta alla camera di consiglio del 25 ottobre 2024 dal consigliere NOME COGNOME
Fatti di causa
NOME COGNOME ha agito in giudizio nei confronti di NOME COGNOME per ottenere il risarcimento dei danni conseguenti alle lesioni personali che quest’ultimo gli aveva provocato nel corso di un diverbio.
Oggetto:
RESPONSABILITÀ CIVILE GENERALE
Ad. 25/10/2024 C.C.
R.G. n. 20663/2022
Rep.
La domanda del COGNOME è stata parzialmente accolta dal Tribunale di Velletri -Albano Laziale, che ha condannato il convenuto a pagare all’attore l’importo di € 4.445,50 a titolo di danno patrimoniale e l’importo di € 243,73 a titolo di spese mediche, oltre accessori.
La Corte d’a ppello di Roma, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha condannato il COGNOME al pagamento dell’ulteriore somma di € 5.000,00 in favore del COGNOME, oltre accessori, in accoglimento dell’appello di quest’ultimo, rigettando invece l’appello incidentale proposto dallo stesso COGNOME avverso la decisione di primo grado.
Ricorre il COGNOME , sulla base di due motivi.
Resiste con controricorso il COGNOME.
È stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis .1 c.p.c..
Le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 380 bis .1 c.p.c..
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza decisoria nei sessanta giorni dalla data della camera di consiglio.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo del ricorso si denunzia « Violazione dell ‘ art. 360 c.p.c. n. 3, per omessa applicazione di norme di diritto: art. 3 Cost., art. 52 c.p.; art. 1227 c.c. con omessa valutazione di violazione dell ‘ art. 11 D.P.R. 380/01 e normativa precedente e per omessa rilevanza ex art. 2043 c.c. della ferita da lancio di tavola ».
Il ricorrente, nel quadro di una esposizione che risulta quanto meno confusa e di certo non rispondente ai requisiti di chiarezza e sintetic ità nell’illustrazione dei motivi a fondamento dell’impugnazione, che pur dovrebbero caratterizzare il ricorso per cassazione, pare intendere sostenere, almeno per quanto questa Corte è in grado di comprendere nonostante la segnalata scarsa chiarezza delle censure, che il risarcimento avrebbe
Ric. n. 20663/2022 – Sez. 3 – Ad. 25 ottobre 2024 – Ordinanza – Pagina 2 di 7
dovuto essere ridotto, se non del tutto escluso, ai sensi dell’art. 1227 c.c., a causa del concorso colposo del fatto del danneggiato, nella specie ravvisabile nella provocazione posta in essere dal COGNOME con la sua condotta antigiuridica (avente ad oggetto pretesi abusi edilizi dei quali non è necessario precisare il dettaglio), condotta che avrebbe addirittura dovuto essere qualificata come una vera e propria azione aggressiva dello stesso.
Il motivo è in parte inammissibile ed in parte manifestamente infondato (e, come tale, inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis , comma 1, n. 1, c.p.c.).
1.1 La decisione impugnata, nell’escludere la possibilità di configurare il concorso del fatto colposo del danneggiato, ai sensi dell’art. 1227, comma 1, c.c., nell’ipotesi della provocazione da parte della persona offesa, è conforme al risalente, consolidato e mai espressamente contraddetto indirizzo di questa Corte, che il ricorso non offre ragioni idonee ad indurre a rimeditare, secondo il quale « la provocazione, accertata o meno in sede di giudizio penale per la concessione dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 2, c.p., non può essere valutata al fine di diminuire la misura del risarcimento del danno a norma e per gli effetti dell’art. 1227, comma 1, c.c., non potendo essere considerata una causa mediata del danno stesso, che il provocato abbia volontariamente inferto al provocatore reagendo in stato d’ira al fatto ingiusto di questo » (giurisprudenza costante sin da Cass., Sez. 3, Sentenza n. 1445 del 03/05/1958, Rv. 880674 -01; conf.: Sez. 3, Sentenza n. 1882 del 16/07/1962, Rv. 252959 01; Sez. 3, Sentenza n. 2227 del 05/08/1964, Rv. 303329 -01; Sez. 3, Sentenza n. 2425 del 18/06/1975, Rv. 376306 -01; Sez. 3, Sentenza n. 3445 del 20/10/1975, Rv. 377609 -01: Sez. 3, Sentenza n. 3447 del 20/10/1975, Rv. 377610 -01; Sez. 3, Sentenza n. 3941 del 25/11/1975, Rv. 378212 -01; Sez. 3, Sentenza n. 2956 del 14/04/1988, Rv. 458507 –
01; Sez. 3, Sentenza n. 9209 del 30/08/1995, Rv. 493829
– – – –
01; Sez. 3, Sentenza n. 20137 del 18/10/2005, Rv. 585230
01; Sez. 3, Sentenza n. 5679 del 23/03/2016, Rv. 639388
01; Sez. 3, Ordinanza n. 23024 del 22/08/2024, Rv. 672136 01).
Sotto tale profilo, pertanto, il ricorso deve ritenersi manifestamente infondato e, quindi, inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis , comma 1, n. 1, c.p.c..
1.2 Per ogni altro aspetto, le censure formulate dal ricorrente con il motivo di ricorso in esame (in particolare, con riguardo alla pretesa sussistenza di una vera e propria condotta aggressiva, e non meramente provocatoria, del danneggiato COGNOME nei suoi confronti, che avrebbe determinato la propria reazione violenta) si risolvono nella contestazione di accertamenti di fatto operati dai giudici del merito sulla base della prudente valutazione del materiale istruttorio e sostenuti da adeguata motivazione, non meramente apparente né insanabilmente contraddittoria sul piano logico, come tale non sindacabile nella presente sede, se non addirittura nella inammissibile deduzione di questioni di fatto (o che comunque richiedono anche accertamenti fatto) del tutto nuove, per la prima volta in sede di legittimità.
Con il secondo motivo si denunzia « Violazione dell ‘ art. 2697 c.c. e dell ‘ art. 116 c.p.c. in loro combinata disposizione ».
Anche questo motivo è inammissibile.
Si premette che le censure di violazione degli artt. 2697 c.c., nonché 115 e 116 c.p.c., non risultano effettuate con la necessaria specificità, in conformità ai canoni a tal fine individuati dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass., Sez. U, Sentenza n. 16598 del 05/08/2016, Rv. 640829 -01; Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016, Rv. 640192 -01, 640193 -01 e 640194 -01; Sez. U, Sentenza n. 1785 del 24/01/2018, Rv. 647010 -01, non massimata sul punto; da ultimo: Sez. U,
Sentenza n. 20867 del 30/09/2020, Rv. 659037 -02: « in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato -in assenza di diversa indicazione normativa -secondo il suo ‘prudente apprezzamento’, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria -come, ad esempio, valore di prova legale -oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione »).
In effetti, il motivo di ricorso in esame risulta formulato in modo talmente confuso che non è neanche possibile, per questa Corte, ricostruire con certezza le effettive censure, in diritto, che il ricorrente intenderebbe muovere alla decisione impugnata.
Può esclusivamente rilevarsi che parte ricorrente fa ampio riferimento ad una serie di elementi istruttori che dimostrerebbero le pretese condotte illegittime poste in essere dal COGNOME e che avrebbero determinato il diverbio nel corso del quale gli sono state inflitte le lesioni per cui è causa, in qualche modo reiterando gli assunti in fatto e in diritto posti a base del precedente motivo di ricorso.
Poiché, peraltro, come si è già chiarito (proprio nell’esame delle censure di cui al primo motivo del ricorso), le condotte in questione non possono avere alcun concreto rilievo in ordine all’ an ed al quantum del risarcimento dovuto, finanche se eventualmente qualificabili in termini di vera e propria provocazione
(essendo del resto stata esclusa in base a insindacabile accertamento in fatto, la sussistenza di una condotta aggressiva del danneggiato), si tratta di argomentazioni del tutto irrilevanti ai fini dell’esito della controversia e, come tali, inammissibili.
Il ricorso è dichiarato inammissibile.
Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo, con distrazione in favore del difensore del controricorrente, che ha reso la dichiarazione di cui all’art. 93 c.p.c., avvocato NOME COGNOME.
Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, co. 1 quater , del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.
Per questi motivi
La Corte:
-dichiara inammissibile il ricorso;
-condanna il ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente, liquidandole in complessivi € 2.500,00, oltre € 200,00 per esborsi, nonché spese generali ed accessori di legge, con distrazione in favore del difensore del controricorrente avvocato NOME COGNOME.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, comma 1 quater , del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, per il versamento al competente ufficio di merito, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso nella camera di consiglio della Terza Sezione Ci-