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Risarcimento del danno: la provocazione non lo riduce

Un soggetto condannato a risarcire i danni per lesioni personali ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che la provocazione della vittima dovesse ridurre l’importo dovuto. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo un principio consolidato: la provocazione non costituisce concorso di colpa del danneggiato ai sensi dell’art. 1227 c.c. e non può diminuire il risarcimento del danno, poiché la reazione violenta è una scelta volontaria dell’aggressore.

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Pubblicato il 10 ottobre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Risarcimento del danno: la provocazione della vittima non è una scusante

In tema di risarcimento del danno derivante da un fatto illecito, come un’aggressione fisica, la condotta provocatoria della vittima può ridurre l’ammontare del risarcimento dovuto? A questa domanda ha risposto la Corte di Cassazione con una recente ordinanza, confermando un principio giuridico solido e di grande rilevanza pratica. La Suprema Corte ha stabilito che la provocazione, pur potendo rilevare in ambito penale, non costituisce un ‘concorso di colpa’ del danneggiato e, pertanto, non giustifica una diminuzione del risarcimento in sede civile.

I fatti di causa: dalla lite al ricorso in Cassazione

La vicenda trae origine da una richiesta di risarcimento avanzata da un soggetto per le lesioni personali subite durante un diverbio. Il Tribunale di primo grado aveva accolto parzialmente la domanda, condannando l’aggressore al pagamento di una somma a titolo di danno patrimoniale e spese mediche. La Corte d’Appello, in parziale riforma, aveva aumentato l’importo della condanna, respingendo l’appello incidentale dell’aggressore.

Non soddisfatto, quest’ultimo ha proposto ricorso per cassazione, basando le proprie doglianze su due motivi principali:
1. La violazione dell’art. 1227 del codice civile (concorso del fatto colposo del creditore), sostenendo che la condotta ‘antigiuridica e provocatoria’ della vittima avrebbe dovuto portare a una riduzione, se non a un’esclusione totale, del risarcimento.
2. La violazione delle norme sull’onere della prova (art. 2697 c.c.) e sulla valutazione delle prove (art. 116 c.p.c.), lamentando un’errata analisi del materiale istruttorio da parte dei giudici di merito.

L’analisi della Corte: la provocazione e il Risarcimento del danno

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, rigettando entrambe le censure con argomentazioni chiare e in linea con la propria giurisprudenza consolidata.

Il primo motivo: la provocazione non è concorso di colpa

Il cuore della decisione riguarda l’interpretazione dell’art. 1227 c.c. La Corte ha ribadito un principio espresso per la prima volta nel 1958 e mai smentito: la provocazione non può essere valutata per diminuire la misura del risarcimento del danno. La ragione è di natura causale. Il danno non è una conseguenza diretta e immediata della provocazione, ma della reazione volontaria e illecita del provocato. In altre parole, chi reagisce con violenza a una provocazione compie una scelta autonoma di cui deve assumersi la piena responsabilità civile.

La Corte chiarisce che il nesso di causalità tra la provocazione e il danno è interrotto dalla decisione cosciente dell’aggressore di rispondere con un’azione lesiva. Pertanto, la condotta della vittima non può essere considerata una ‘causa mediata’ del danno subito, come richiesto dall’art. 1227 c.c.

Il secondo motivo: l’inammissibile tentativo di riesame del merito

Anche il secondo motivo è stato giudicato inammissibile. La Corte ha sottolineato che le critiche mosse dall’aggressore non denunciavano una reale violazione di legge, ma miravano a ottenere una nuova e diversa valutazione dei fatti e delle prove, attività preclusa in sede di legittimità. Il ricorso per cassazione non è un ‘terzo grado’ di giudizio dove si possono ridiscutere gli accertamenti fattuali, purché questi siano sorretti da una motivazione logica e coerente, come nel caso di specie.

Le motivazioni della decisione della Corte

Le motivazioni della Corte si fondano su una netta distinzione tra la rilevanza della provocazione in ambito penale e in quello civile. Mentre nel diritto penale la provocazione può costituire un’attenuante (art. 62, n. 2, c.p.), riducendo la pena, nel diritto civile essa non incide sull’obbligo di risarcire integralmente il danno cagionato. La reazione all’ingiusto fatto altrui, se si traduce in un atto illecito, è una scelta volontaria che pone in capo all’aggressore l’intera responsabilità per le conseguenze dannose. La Corte ha qualificato il ricorso come ‘manifestamente infondato’, proprio perché si poneva in contrasto con un indirizzo giurisprudenziale pacifico e consolidato, senza offrire argomenti validi per un suo superamento.

Conclusioni: le implicazioni pratiche della sentenza sul Risarcimento del danno

Questa ordinanza rafforza un principio fondamentale in materia di responsabilità civile: la reazione a un’offesa o a un comportamento provocatorio non deve mai sfociare nella violenza. Chi sceglie di reagire con un atto illecito non potrà invocare la provocazione subita per ottenere uno ‘sconto’ sul risarcimento del danno dovuto alla vittima. La decisione serve da monito, sottolineando che l’ordinamento giuridico tutela l’integrità fisica e morale della persona e non ammette giustificazioni per chi decide di farsi ‘giustizia’ da sé. Per le vittime di aggressioni, questa pronuncia conferma la piena tutela risarcitoria, indipendentemente da eventuali comportamenti provocatori che possano aver preceduto l’illecito.

La provocazione da parte della persona danneggiata può ridurre l’importo del risarcimento del danno?
No. Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione, la provocazione non può essere valutata al fine di diminuire la misura del risarcimento del danno ai sensi dell’art. 1227, comma 1, c.c., poiché non costituisce concorso colposo del danneggiato.

Perché la reazione violenta a una provocazione è considerata una scelta volontaria dell’aggressore?
Perché il danno non è considerato una conseguenza diretta della provocazione, ma dell’azione volontaria e illecita di chi reagisce. La scelta di rispondere con la violenza interrompe il nesso causale con la provocazione iniziale, attribuendo la piena responsabilità dell’evento lesivo all’aggressore.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove e i fatti di un processo?
No, non è possibile. Il giudizio di Cassazione è un giudizio di ‘legittimità’, non di ‘merito’. La Corte può solo verificare la corretta applicazione delle norme di diritto e la logicità della motivazione della sentenza impugnata, ma non può riesaminare i fatti o valutare nuovamente le prove.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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