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Risarcimento del danno: la NASpI non si detrae

La Corte di Cassazione ha stabilito che la NASpI, indennità di disoccupazione, non può essere sottratta dal risarcimento del danno spettante al lavoratore per licenziamento illegittimo. La Corte ha rigettato il ricorso di una cooperativa, confermando che le somme percepite a titolo di NASpI non costituiscono ‘aliunde perceptum’, ma prestazioni del sistema di sicurezza sociale, eventualmente ripetibili dall’INPS.

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Pubblicato il 18 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Risarcimento del danno: la NASpI non si detrae dall’importo dovuto al lavoratore

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è tornata su un tema di grande rilevanza pratica nel diritto del lavoro: la cumulabilità tra l’indennità di disoccupazione (NASpI) e il risarcimento del danno spettante al lavoratore per licenziamento illegittimo. La Suprema Corte ha confermato il suo orientamento consolidato, stabilendo che le somme percepite a titolo di NASpI non devono essere detratte dal risarcimento, poiché non costituiscono ‘aliunde perceptum’.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine dalla complessa situazione di un lavoratore, socio di una cooperativa, il quale era stato prima escluso dalla compagine sociale e poi licenziato. La Corte d’Appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado, aveva dichiarato illegittimi tali provvedimenti, riconoscendo al lavoratore il diritto a un cospicuo risarcimento. Tuttavia, nel quantificare il danno, la Corte territoriale aveva escluso dal calcolo delle somme da detrarre l’importo percepito dal lavoratore a titolo di NASpI. La motivazione di tale scelta risiedeva nel fatto che l’indennità di disoccupazione opera su un piano previdenziale, distinto da quello risarcitorio, ed è suscettibile di ripetizione da parte dell’INPS. Contro questa decisione, la cooperativa ha proposto ricorso per Cassazione.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La società ricorrente ha basato il proprio ricorso su tre motivi principali. Mentre i primi due, di natura prettamente processuale, sono stati rapidamente respinti dalla Corte per infondatezza e inammissibilità, il terzo motivo rappresentava il cuore della controversia.

Con esso, la cooperativa deduceva la violazione dell’articolo 1227 del Codice Civile e di altre norme specifiche, sostenendo che la Corte d’Appello avesse errato nel non considerare la NASpI come ‘aliunde perceptum’. Secondo la tesi della ricorrente, non detrarre l’indennità di disoccupazione avrebbe comportato una duplicazione del risarcimento, arricchendo ingiustamente il lavoratore, che avrebbe ricevuto sia il risarcimento dal datore di lavoro sia il sostegno al reddito dallo Stato per lo stesso periodo di inattività forzata.

Le Motivazioni della Cassazione sul risarcimento del danno

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, giudicando infondato anche il terzo motivo. Gli Ermellini hanno ribadito un principio ormai consolidato nella loro giurisprudenza. Le somme che traggono origine dal sistema di sicurezza sociale, come la NASpI, non sono deducibili a titolo di ‘aliunde perceptum’ dal risarcimento del danno per mancata costituzione o illegittima interruzione del rapporto di lavoro.

La Corte ha spiegato che queste prestazioni previdenziali hanno una natura e una finalità distinte dal risarcimento dovuto dal datore di lavoro. Esse costituiscono misure sostitutive del reddito erogate dallo Stato per sostenere il lavoratore in un momento di difficoltà, e non un guadagno alternativo derivante da un’altra attività. La loro eventuale non debenza, per esempio a causa del risarcimento ottenuto, crea un rapporto di debito/credito esclusivamente tra il lavoratore e l’Istituto previdenziale (INPS), il quale potrà agire per la ripetizione dell’indebito nei limiti previsti dalla legge.

Il datore di lavoro, responsabile dell’illecito, non può quindi beneficiare di una riduzione del proprio obbligo risarcitorio grazie a un intervento del sistema di welfare state. Il danno causato va integralmente ristorato, e la gestione delle prestazioni previdenziali rimane su un piano separato.

Conclusioni

L’ordinanza in esame consolida un importante principio a tutela del lavoratore illegittimamente licenziato. La decisione chiarisce definitivamente che l’obbligo risarcitorio del datore di lavoro e il sistema di tutele previdenziali viaggiano su binari paralleli e non comunicanti. Per i datori di lavoro, ciò significa che non è possibile sperare in uno ‘sconto’ sul risarcimento dovuto facendo leva sulle indennità percepite dal lavoratore. Per i lavoratori, rappresenta la garanzia che il diritto a un pieno ristoro del danno subito non verrà intaccato dalla percezione di un sostegno fondamentale come l’indennità di disoccupazione.

L’indennità di disoccupazione (NASpI) percepita dal lavoratore deve essere sottratta dal risarcimento del danno per licenziamento illegittimo?
No, secondo la Corte di Cassazione la NASpI non deve essere sottratta. Si tratta di una prestazione del sistema di sicurezza sociale e non di un guadagno alternativo (‘aliunde perceptum’).

Perché la NASpI non viene considerata come un ‘aliunde perceptum’?
Perché la sua origine è nel sistema di sicurezza sociale, che fornisce misure sostitutive del reddito. Non è un guadagno derivante da una nuova attività lavorativa. L’eventuale non debenza della NASpI è una questione tra il lavoratore e l’INPS, che può chiederne la restituzione.

Se un socio di cooperativa viene escluso illegittimamente, può chiedere il risarcimento del danno anche se non impugna la delibera di esclusione?
Sì. Secondo quanto richiamato nella sentenza, l’omessa impugnazione della delibera di esclusione impedisce di ottenere la reintegrazione nel posto di lavoro (tutela restituitoria), ma non preclude la possibilità di richiedere e ottenere un risarcimento del danno (tutela risarcitoria).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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