Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 51 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 51 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 29543-2018 proposto da:
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME e NOME COGNOME
– ricorrente principale –
AZIENDA RAGIONE_SOCIALE TORINO, in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio RAGIONE_SOCIALE
Oggetto
Risarcimento pubblico impiego
R.G.N. 29543/2018
COGNOME
Rep.
Ud. 23/11/2023
CC
COGNOME rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME e NOME COGNOME;
– controricorrente –
ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 159/2018 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 05/04/2018 R.G.N. 694/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/11/2023 dal Consigliere Dott. COGNOME
RILEVATO CHE:
l a Corte d’appello di Torino, pronunciando sulle impugnazioni proposte da entrambe le parti, ha confermato la sentenza del Tribunale che aveva riconosciuto il diritto di NOME COGNOME, dirigente medico della ASL Città di Torino, al risarcimento del danno a titolo di responsabilità precontrattuale per la mancata conclusione del contratto individuale di dirigente di struttura complessa, pur in presenza della designazione operata dal Direttore Generale;
la Corte d’appello, precisato, relativamente all ‘impugnazione incidentale dell’Azienda, che gli atti inerenti al conferimento dell’incarico dirigenziale hanno natura privatistica e rispetto ad stessi l’aspirante è titolare di un interesse legittimo di diritto privato, ha evidenziato che il COGNOME aveva i requisiti per essere designato responsabile della struttura complessa e che in tal senso si era espresso anche il Direttore Generale, il quale non aveva mai formalmente revocato l ‘originaria designazione e si era limitato a sospendere di fatto la conclusione del contratto;
tale sospensione si era rivelata priva di giustificazione perché il COGNOME, sottoposto a processo penale, era stato assolto, tanto che l’azienda gli aveva conferito, sebbene la sentenza di primo grado non fosse passata in giudicato, l’incarico di direzione in discorso, sia pure in attesa della copertura della vacanza; la Corte di merito ha ritenuto, quindi, che del tutto legittimamente il Tribunale avesse ravvisato una violazione delle regole di correttezza e buona fede e indi liquidato, oltre al danno emergente, anche il lucro cessante; seguiva, dunque, la reiezione dell’appello incidentale dell’Azienda;
quanto all’impugnazione, principale, del COGNOME ha ritenuto tardiva la richiesta, formulata solo in corso di causa, di ulteriori voci retributive (indennità di direttore struttura complessa, differenze di indennità di esclusività e quote di Tfr), ed ha precisato che il principio della unitarietà del danno risarcibile può essere invocato nei soli casi in cui il danneggiato abbia formulato in modo generico la richiesta risarcitoria, non già qualora abbia espressamente indicato singole componenti (il ricorso introduttivo facendo riferimento solo alla perdita della retribuzione di posizione, di risultato e alla perdita di chance); ha altresì escluso che il COGNOME avesse provato il danno non patrimoniale ed ha evidenziato che il ragionamento presuntivo deve essere fondato su elementi concreti mentre il ricorrente si era limitato a far leva sull’illegittimità del comportamento datoriale e a richiamare la lesione dell ‘immagine che, però, era stata conseguenza del processo penale (dipeso da segnalazione di altro dirigente medico) e non della mancata conclusione del contratto; nessuna lesione del bagaglio professionale si era (infine) verificata perché l’appellante principale aveva continuato a svolgere identiche mansioni;
avverso tale decisione propone ricorso per cassazione il COGNOME affidato a un unico motivo, illustrato da memoria, cui si oppone
l’Azienda con controricorso contenente ricorso incidentale basato su unico motivo.
CONSIDERATO CHE:
nel suo ricorso principale il COGNOME denuncia la nullità della sentenza per violazione degli artt. 414, 420 e 437 cod. proc. civ.; il ricorrente sostiene che con il ricorso di primo grado era stato domandato il risarcimento di tutti danni e, seppur fossero state indicate solo talune specifiche voci retributive, l’ indicazione non poteva valere a limitare la domanda di integrale ristoro del danno;
il motivo è fondato alla stregua delle argomentazioni già espresse, sia pure in diversa fattispecie, da questa Corte (Cass., Sez. L, n. 22879/2021) alle quali, ex art. 118 att. cod. proc. civ., può farsi in questa sede diretto richiamo;
invero, l’unitarietà del diritto al risarcimento del danno, che si traduce sul piano processuale nel principio dell’infrazionabilità della domanda risarcitoria, da tempo è stata affermata da questa Corte (cfr. fra le tante Cass. n. 15523/2019; Cass. n. 2038/2019; Cass. n. 11789/2017) che ne ha tratto quale conseguenza l’inammissibilità dell’azione successivamente proposta in relazione al medesimo fatto illecito nei casi in cui il diritto al risarcimento era già stato fatto valere con una prima iniziativa assunta in sede giudiziale (Cass. n. 17019/2018; Cass. n. 22503/2016);
sempre sul principio dell’unitarietà riposa, poi, l’orientamento secondo cui nell’ambito di un giudizio risarcitorio la domanda, in assenza di una specifica diversa manifestazione di volontà dell’attore, comprende tutti i possibili pregiudizi causalmente r iconducibili all’inadempimento o al fatto illecito, con la conseguenza, da un lato, che alle indicazioni delle voci contenute nell’atto introduttivo si deve riconoscere un valore meramente esemplificativo (Cass. n. 15523/2019, cit.), dall’altro che la
domanda stessa si intende estesa ai pregiudizi che si produrranno nel corso del giudizio (Cass. n. 11789/2017, cit.) e, pertanto, è consentita a chi agisce, non solo la modifica quantitativa dell’originaria domanda, ma anche l’allegazione di un pregiudizio diverso e d ulteriore rispetto a quello inizialmente dedotto, se manifestatosi a processo già instaurato e derivato dal medesimo fatto illecito (Cass. n. 2038/2019, cit.; Cass. n. 9453/2013; Cass. n. 16819/2003), a meno che non si possa ragionevolmente ricavare ex actis la volontà attorea di escludere dal “petitum” le voci non menzionate inizialmente (Cass. 23 ottobre 2014, n. 22514; 31 agosto 2011, n. 17879);
in tal modo, il principio dell’unitarietà della domanda, del diritto e del processo risarcitorio è stato armonizzato altresì con quello della necessaria integralità del risarcimento, assicurata dalla possibilità concessa al danneggiato di far valere anche i danni non ancora apprezzabili al momento dell’instaurazione del giudizio e verificatisi in corso di causa;
il bilanciamento così realizzato produce, quindi, evidenti effetti sulla delimitazione dell’efficacia oggettiva del giudicato perché, una volta affermata l’unitarietà del danno e ritenuta ammissibile la deduzione anche dei pregiudizi verificatisi in pendenza del giudizio, questi ultimi, se non espressamente dedotti, rilevano ai fini del deducibile, e ciò impedisce che gli stessi possano essere fatti valere in un successivo giudizio risarcitorio, nel quale si discuta degli effetti della medesima condotta inadempiente o illecita, esauritasi al momento dell’instaurazione della prima controversia;
nella specie il giudice d’appello, nell’affermare che la rivendicazione delle ulteriori ‘voci retributive’ fosse tardiva, perché avanzata solo in corso di causa, si è apertamente discostato dall’indirizzo di questa Corte sopra richiamato, e non ha tenuto conto che nel ricorso introduttivo era stata formulata, e poi reiterata in sede
di gravame, una richiesta di ristoro «di tutti i danni, patrimoniali e non, come esposti in narrativa, da determinare nella somma di €. 150.000,00 o altra, anche superiore, accertanda», il che doveva lasciar intendere che fossero ricomprese anche le voci poi ulteriormente precisate (i.e., quelle legate all’indennità di direttore struttura complessa, alle differenze di indennità di esclusività e alle quote di Tfr);
ne consegue, pertanto, che la sentenza impugnata deve essere in parte qua cassata e la causa rimessa per un nuovo esame alla Corte d’appello di Torino che si uniformerà al principio di diritto suesposto;
4. nel suo ricorso incidentale, l’Azienda denuncia , ex art. 360 nn. 3-5 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175 e 1337 cod. civ. e sostiene, in estrema sintesi, che ha errato la Corte d’appello nel ritenere violati gli obblighi di correttezza e buona fede perché al COGNOME erano noti l’avvio del procedimento finalizzato al recesso per giusta causa dal rapporto di lavoro, ossia la contestazione di addebiti del 21 ottobre 2009 e la segnalazione delle irregolarità commesse in servizio che avevano determinato l’instaurazione del processo penale; aggiunge che non vi era stata ancora nessuna designazione perché non era stato formato l’atto deliberativo e il Direttore generale si era limitato ad inviare all’ufficio del personale una nota informale: nessun atto, quindi, poteva essere oggetto di formale revoca; nel corpo del motivo si fa altresì riferimento all’omesso esame di fatti decisivi (come l’esistenza delle segnalazioni del dirigente medico su fatti rivelatisi poi esistenti, l’avvio della procedura di licenziamento e, ancora, il successivo blocco dei conferimenti degli incarichi disposto dalla Regione Piemonte con delibera n. 30-43/2010);
5. il motivo è inammissibile;
la censura, là dove è formulata ai sensi dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. non è conforme al testo dell’art. 360 cod. proc. civ. , n. 5, come novellato dell’art. 54 del d.l. n. 83/2012, convertito in l egge n. 134/2012 ed inoltre incontra l’ulteriore sbarramento della ‘doppia conforme’ ai sensi dell’art. 348 ter , comma 5, cod. proc. civ., norma introdotta dall’art. 54, comma 1, lett. a ) del medesimo d.l. n. 83/2012 ed applicabile ai giudizi di appello instaurati, come nella specie, dopo il trentesimo giorno successivo alla entrata in vigore della medesima legge; inoltre, al di là della formulazione della rubrica, la censura investe direttamente l’accertamento di fatto del giudice del merito, non suscettibile di riesame in sede di legittimità;
è utile rammentare al riguardo che il vizio di violazione di norme di diritto consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie normativa astratta e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di una errata ricostruzione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione, ma nei limiti fissati dalla disciplina applicabile ratione temporis . Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (fra le tante, Cass. 12.9.2016 n. 17921; Cass. 11.1.2016 n. 195; Cass. 30.12.2015 n. 26110);
nel caso di specie, l’Azienda torna a prospettare la tesi difensiva, ritenuta non fondata dal giudice d’appello, secondo la quale vi erano nella specie plurimi elementi di fatto che avrebbero escluso, se opportunamente e criticamente valutati, la configurabilità di una condotta scorretta e/o lesiva dell’aspettativa del dirigente medico
all’ottenimento dell’incarico. Le allegazioni della ASL sono state vagliate dalla Corte torinese, che le ha disattese attribuendo rilievo preponderante alla designazione, mai revocata, del Direttore Generale nonché all’ulteriore designazione del COGNOME per l’incarico di sostituzione, e ciò pur in pendenza del giudizio penale d’appello (pag. 17 dell a motivazione), sicché la censura si risolve in un’inammissibile sollecitazione di un diverso giudizio di merito, non consentito al giudice di legittimità;
conclusivamente, deve essere accolto il ricorso principale, mentre quello incidentale va dichiarato inammissibile; va conseguentemente cassata la sentenza impugnata, con rinvio per nuovo esame alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione, cui si demanda anche la liquidazione delle spese di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso principale, dichiara inammissibile quello incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese di legittimità, alla Corte di appello di Torino in diversa composizione.
Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma-1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso incidentale, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell ‘adunanza camerale del 23 novembre