Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 15496 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 15496 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 10/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25161/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa, giusta procura in calce al ricorso, dall’avv. NOME COGNOME domicilio digitale come per legge
-ricorrente – contro
C RAGIONE_SOCIALE DI NAPOLI (già Amministrazione Provinciale di Napoli), in persona del Sindaco pro tempore , rappresentata e difesa, giusta procura in calce al controricorso, dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME, domicili o digitale come per legge
-controricorrente –
RAGIONE_SOCIALE
-intimata – avverso la sentenza del la Corte d’appello di Napoli n. 2698/2021, pubblicata in data 8 luglio 2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15 aprile 2025 dal Consigliere dott.ssa NOMECOGNOME
Fatti di causa
RAGIONE_SOCIALE conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Napoli, Sezione distaccata di Ischia, la Provincia di Napoli, deducendo che in data 28 novembre 2008, alla INDIRIZZO in Casamicciola Terme, un albero di pino, ivi piantato, a causa del cattivo stato di vegetazione, era caduto colpendo l’autocarro modello Leomar Maia tender 62 tg. TARGA_VEICOLO, di sua proprietà, che si trovava a transitare su quel tratto di strada; assumendo che la responsabilità del sinistro dovesse essere imputata all’Ente locale, ai sensi dell’art. 2043 cod. civ. o ai sensi dell’art. 2051 cod. civ., ne chiedeva la condanna al risarcimento dei danni subiti.
Autorizzata, su richiesta della Provincia di Napoli, la chiamata in causa di Allianz s.p.aRAGIONE_SOCIALE ed all’esito della costituzione di quest’ultima, il Tribunale adito, disposta c.t.u., accoglieva la domanda, condannando i convenuti, in solido, al risarcimento dei danni, liquidati in euro 16.668,86, oltre interessi.
La sentenza, impugnata da RAGIONE_SOCIALE, è stata riformata dalla Corte d’appello di Napoli , che ha rigettato la domanda risarcitoria avanzata dalla società RAGIONE_SOCIALE rilevando che quest’ultima, dal libretto di circolazione e dalla relazione del c.t.u.,
nonché
non risultava proprietaria del veicolo, ma solo utilizzatrice in virtù di contratto di leasing .
In particolare, la Corte napoletana ha osservato che la circostanza che l’appellata fosse proprietaria del veicolo non poteva presumersi dalla data di scadenza del contratto di leasing , fissata per il 30 agosto 2008, né dal fatto che alla data del sinistro la società avesse ancora la disponibilità dell’autocarro, non trattandosi di indizi univoci a sostegno della tesi difensiva, fatta valere da RAGIONE_SOCIALE, che il bene fosse stato riscattato; ha inoltre ritenuto tardiva, perché avvenuta solo in appello, la produzione della fattura V2/00208411 del 31 agosto 2008, relativa al prezzo di riscatto, posto che di tale documento non si faceva menzione nella sentenza di primo grado, né nei verbali del giudizio e nella relazione del c.t.u., aggiungendo che, in difetto di produzione del contratto di leasing , non si poteva ritenere provato né che l’utilizzatrice fosse tenuta alla manutenzione ordinaria e straordinaria dell’autocarro e che i relativi danni subiti dal veicolo avessero inciso nella sua sfera patrimoniale, né ancora che l’esborso sostenuto per una prima riparazione, risultante dalla fattura n. 147/09 rilasciata dalla RAGIONE_SOCIALE fosse rimasto definitivamente a carico della RAGIONE_SOCIALE
Ricorre, con quattro motivi, per la cassazione della suddetta decisione RAGIONE_SOCIALE
Città Metropolitana di Napoli resiste con controricorso.
RAGIONE_SOCIALE non ha svolto attività difensiva in questa sede.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio ai sensi dell ‘ art. 380bis .1. cod. proc civ., in prossimità della quale entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo, denunziando , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., ‹‹ violazione degli artt. 115 e 116
cod. proc. civ. e 2031 cod. civ. ›› , la società ricorrente lamenta che la Corte d’appello non abbia ad essa riconosciuto, quale utilizzatrice del bene, il diritto al risarcimento del danno, nonostante agli atti fosse stata acquisita la fattura n. 147/09, ad essa intestata, ed il libretto di circolazione, elementi che provavano, se non la proprietà, il possesso del bene e la circostanza che aveva fatto riparare il danno, subendo una diminuzione patrimoniale, e ciò anche in ipotesi di gestione di affari altrui, dovendo anche in questo ultimo caso essere tenuta indenne delle spese sostenute.
Con il secondo motivo, censurando la sentenza impugnata per ‹‹ violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonché dell’art. 324 c.p.c. per l’esistenza di giudicato interno – sussistenza della prova della legittimazione attiva ›› , la ricorrente attinge la statuizione con la quale la Corte territoriale ha ritenuto fondata l’eccezione di difetto di legittimazione attiva, rilevando che la documentazione attestante il riscatto dell’autocarro era stata depositata solo in grado di appello. Sostiene, al contrario, che la documentazione era stata prodotta nel fascicolo di primo grado e che, proprio sulla base di tale emergenza istruttoria, il Tribunale aveva ritenuto fondata la domanda risarcitoria e l’aveva qualificata quale proprietaria dell’autocarro , tanto che aveva anche ammesso i mezzi istruttori richiesti e, segnatament e, la consulenza tecnica d’ufficio; la relativa ordinanza resa dal giudice di primo grado, avente carattere decisorio, non era stata contestata, né era stata formulata riserva di gravame, con conseguente formazione del giudicato interno sul punto.
Con il terzo motivo, deducendo la violazione dell’art. 345 cod. proc. civ., la ricorrente si duole che la Corte d’appello non si sia pronunciata sulla deduzione, svolta in via subordinata, di ammissibilità della produzione in appello del documento comprovante
la proprietà; deduce che, a fronte della contestazione sollevata da Allianz s.p.a., che negava la legittimazione di essa ricorrente, il documento, anche ove prodotto in appello, avrebbe dovuto essere preso in considerazione proprio per consentire di fornire la prova della legitimatio ad causam .
Con il quarto motivo, denunciando la ‹‹ violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 cod. civ., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., ragionamento illogico ed errato in tema di presunzione ›› , la ricorrente censura la decisione gravata nella parte in cui ha negato valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio (intervenuta scadenza del contratto di leasing e disponibilità dell’autocarro), senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, fossero in grado di offrirla ove valutati nella loro sintesi.
Il primo motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.
5.1. La giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che anche colui che si trovi ad esercitare un potere soltanto materiale sulla cosa può dal danneggiamento di questa risentire un danno al suo patrimonio, indipendentemente dal diritto, reale o personale, che egli abbia all’esercizio di quel potere e cioè senza che sia tenuto a dimostrare il titolo di proprietà (cfr. Cass., sez. 3, 05/07/2007, n. 15233; Cass., sez. 3, 28/04/2000, n. 5421).
Non si dubita, pertanto, che legittimato a pretendere il risarcimento del danno non è soltanto il proprietario del bene danneggiato, ma anche colui che al momento del verificarsi del fatto illecito ne abbia soltanto la materiale disponibilità e sia tenuto a riconsegnarlo integro al proprietario, non essendo necessaria l’identità tra il titolo al risarcimento e titolo giuridico di proprietà (Cass., sez. 1, 25/09/1997, n. 9405; Cass., sez. 1, 28/07/2001, n. 10334).
Proprio con specifico riferimento all’eventualità, come nel caso di
specie, che sia stata danneggiata una res concessa in leasing , è incontroverso che la legittimazione ad agire nei confronti del danneggiante spetti anche all’utilizzatore e non soltanto alla società di leasing , proprietaria della cosa; ma «il detentore di cosa altrui, danneggiata dal fatto illecito del terzo, incidente nella propria sfera patrimoniale, è legittimato a domandare il risarcimento solo se dimostri, da un lato, la sussistenza di un titolo in virtù del quale è obbligato a tenere indenne il proprietario, e, dall’altro, che l’obbligazione scaturente da quel titolo sia stata già adempiuta, in modo da evitare che il terzo proprietario possa pretendere anche egli di essere risarcito dal danneggiante» (Cass., sez. 3, 26/10/2009 n. 22602; Cass., sez. 3, 12/10/2010, n. 21011; Cass., sez. 3, 08/06/2017, n. 14269).
In altri termini l’utilizzatore, dovendo fornire prova della diretta incidenza del danno nella propria sfera patrimoniale, è tenuto a dimostrare di essere tenuto alla manutenzione ordinaria e straordinaria della cosa stessa e che al momento della conclusione del contratto e del trasferimento del possesso della res gli siano stati trasferiti tutti i rischi di questa (Cass., sez. 3, 01/07/2002, n. 9554).
5.2. Da tali principi non si è discostata la Corte territoriale là dove ha affermato che la produzione della fattura n. 147/2009 rilasciata dalla RAGIONE_SOCIALE, sebbene intestata all’odierna ricorrente e comprovante la spesa ‘di prima riparazione del mezzo’, non potesse, unitamente al libretto di circolazione, far ritenere raggiunta la prova, incombente sulla RAGIONE_SOCIALE, che l’esborso fosse definitivamente rimasto a suo carico e che non fosse stato solo anticipato, in mancanza di produzione del contratto di leasing e del relativo regolamento.
5.3. Siffatta valutazione, con la quale i giudici di appello escludono, in modo determinante, un pregiudizio per il patrimonio
della odierna ricorrente, sfugge alle censure mosse con il motivo in disamina.
5.3.1. Difatti, la Corte, per le ragioni già sopra esposte, ha fatto buon governo dei criteri di ripartizione dell’onere della prova , cosicché è infondata la dedotta violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ., che è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti del “nuovo” art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.) (Cass., sez. 3, 29/05/2018, n. 13395): nel caso di specie, premesso che l’onere di dimostrare i fatti costitutivi della pretesa risarcitoria azionata spettava alla odierna ricorrente, il giudice del merito non ha operato un’indebita inversione di tale onere, ma ha piuttosto ritenuto che tale onere non fosse stato assolto dall’odierna ricorrente .
5.3.2. Sotto altro profilo, si appalesa inammissibile la doglianza con riguardo alla presunta violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., perché essa non risulta formulata nei termini precisati dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 20867 del 2020, dovendosi rammentare che, per dedurre la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza
di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 cod. proc. civ.; mentre per la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. occorre allegare che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass., sez. U, 30/09/2020, n. 20867).
5.3.3. Quanto, poi, alla ulteriore censura di violazione dell’art. 2031 cod. civ., manca non solo l’allegazione dell’avvenuta deduzione della relativa questione dinanzi al giudice di merito, ma anche l’indicazione degli atti specifici dei gradi precedenti in cui quell a è stata a quegli sottoposte, onde dare modo a questa Corte, alla quale sono prospettate questioni giuridiche che implicano accertamenti di fatto -di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa; ne segue, in mancanza di ottemperanza ad un tale onere, la inammissibilità per novità della censura (Cass., sez. 6 – 3, 10/08/2017, n. 19988; Cass., sez. 6 -1, 13/06/2018, n. 15430; Cass., sez. 2, 24/01/2019, n. 2038).
Peraltro, anche ove si potesse superare tale assorbente rilievo, risulterebbe comunque improprio il richiamo ad un ‘rimborso spese’ ai sensi dell’art. 2031 cod. civ., in quanto la ricorrente ha sempre
manifestato di avere agito per il riconoscimento di un danno risarcitorio asseritamente incidente nella propria sfera patrimoniale.
Il secondo motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.
6.1. Infondata è anzitutto la doglianza nella parte in cui si assume che si sarebbe formato un giudicato interno sulla questione della legittimazione attiva.
Anche se si potesse prescindere dalla genericità della censura, che si riferisce ad una ordinanza resa dal giudice di primo grado, avente carattere decisorio, avverso la quale non sarebbe stata formulata riserva di gravame, ma di cui la ricorrente omette di specificare anche gli estremi, è dirimente osservare che le ordinanze con cui il giudice o il collegio decidono in ordine alle richieste di ammissione delle prove e dispongono in ordine all’istruzione della causa sono di norma revocabili, anche implicitamente, e non pregiudicano il merito della decisione della controversia, non essendo pertanto idonee ad acquistare efficacia di giudicato, né per altro verso spiegano alcun effetto preclusivo, qualsiasi questione potendo essere nuovamente trattata in sede di decisione e diversamente delibata (Cass., sez. 3, 22/11/2018, n. 30161).
Come è noto, peraltro, il giudicato interno si forma su una statuizione minima della sentenza, costituita dalla sequenza rappresentata da fatto, norma ed effetto, suscettibile di acquisire autonoma efficacia decisoria nell’ambito della controversia, cosicché l’appello motivato con riguardo ad uno soltanto degli elementi di quella statuizione riapre la cognizione sull’intera questione che essa identifica, così espandendo nuovamente il potere del giudice di riconsiderarla e riqualificarla anche relativamente agli aspetti che, sebbene ad essa coessenziali, non siano stati singolarmente coinvolti, neppure in via implicita, dal motivo di gravame (Cass., sez. 3, 14/12/2024, n. 32563; Cass., sez. 3, 19/10/2022, n. 30728).
6.2. Con riguardo alle altre censure fatte valere con lo stesso mezzo, la ricorrente sostiene che il giudice, ritenendola tardivamente allegata in grado di appello, non avrebbe preso in considerazione la documentazione afferente il riscatto del veicolo danneggiato, comprovante che la società ne era divenuta proprietaria, benché tale documentazione fosse già stata prodotta in primo grado e richiamata nel foliario del fascicolo di parte, ma la censura, sotto tale profilo, è inammissibile, per violazione dell’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ., perché la ricorrente si limita a richiamare il documento, senza riprodurlo nel ricorso ovvero, laddove riprodotto, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla sua individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la sua acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità (Cass., sez. U, 27/12/2019, n. 34469).
7. Infondato è anche il terzo motivo.
La tesi censoria di parte ricorrente secondo cui il documento atto a comprovare il riscatto avrebbe potuto essere prodotto anche in secondo grado non può essere condivisa.
La questione dibattuta tra le parti, concernente la reale titolarità del diritto sostanziale fatto valere in giudizio, attiene al merito della causa, e soggiace, per l’effetto, alle normali regole e preclusioni dettate per il processo civile nei rispettivi gradi di merito (Cass., sez. U, 16/02/2016, n. 2951). Correttamente, pertanto, il giudice d’appello ha ritenuto, a fronte delle contestazioni sollevate dalle controparti, che il documento comprovante il riscatto del bene concesso in leasing , riguardando la titolarità del diritto azionato, avrebbe dovuto essere tempestivamente prodotto in primo grado; ciò
che esclude la violazione dell’art. 345 cod. proc. civ.
8. Alla sanzione d’inammissibilità non si sottrae, infine, il quarto motivo, con cui si contesta la presunta violazione dell’art. 2729 cod. civ. In sintesi, al giudice a quo parte ricorrente imputa di non aver rigorosamente applicato il ragionamento presuntivo, valutando complessivamente piuttosto che atomisticamente i singoli elementi indiziari , quali il possesso dell’autocarro, il pagamento delle riparazioni, la proposizione dell’azione risarcitoria, così pervenendo ad una decisione opposta a quella che sarebbe stata raggiunta ove i singoli elementi acquisiti al giudizio fossero stati complessivamente considerati.
La doglianza, in realtà, non viene presentata nei termini indicati da Cass., sez. U, 24/01/2018 n. 1785 che, in motivazione, identifica la violazione degli articoli 2727 e 2729 cod. civ. nell’avere il giudice di merito fondato la presunzione ‘su un fatto storico privo di gravità o di precisione o di concordanza ai fini della inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota’, per cui ai sensi dell’articolo 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., il giudice di legittimità può essere investito ‹‹dell’errore in cui il giudice di merito sia incorso se considera grave una presunzione (cioè un’inferenza) che non lo sia o sotto un profilo logico generale o sotto il particolare profilo logico (interno ad una certa disciplina) entro il quale essa si collochi ›› , e lo stesso vale per il controllo della precisione e della concordanza; ontologicamente diversa è infatti la critica al ragionamento presuntivo del giudice di merito che si concreta appunto nell’addurre che la ricostruzione fattuale poteva essere espletata in altro modo. Ciò che è avvenuto nella specie in cui la ricorrente tende , sotto l’apparente deduzione di un vizio di violazione di legge, a sollecitare un diverso apprezzamento degli elementi acquisiti al giudizio e già vagliati dal giudice di merito, al solo fine di confutare la ratio della decisione che ha escluso, con
profilo assorbente, la sussistenza di un pregiudizio per il patrimonio dell’odierna ricorrente.
L’inammissibilità ed infondatezza dei motivi di ricorso impone il rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio del merito dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione