Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 29070 Anno 2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al N. 30450/2021 R.G. proposto da:
COGNOME elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentato e difeso da ll’avv. NOME COGNOME come da procura allegata al ricorso , domicilio digitale come in atti
-ricorrente –
contro
COMUNE DI BOLOGNA, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME come da procura allegata al controricorso, domicilio digitale come in atti
-controricorrente –
e contro
AZIENDA RAGIONE_SOCIALE BOLOGNA, in persona del legale rappresentante pro tempore ,
rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME come da procura allegata al controricorso, domicilio digitale come in atti
-controricorrente – avverso l ‘ordinanza N. 903/2021 emessa dalla Corte d ‘appello di Bologna, depositata in data 21.4.2021;
udita la relazione della causa svolta nella adunanza camerale del 24.9.2024 dal Consigliere relatore dr. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME, con atto del 10.6.2010, adì il Tribunale di Bologna, esponendo che suo padre, NOME COGNOME, quale profugo dalla Libia e dunque titolare delle provvidenze riservategli dall’art. 18 della legge n. 137/1952, era stato sin dal 1975 assegnatario di un alloggio in Bologna, INDIRIZZO; che tale alloggio, in forza delle previsioni di cui alla legge n. 560/1993, avrebbe potuto costituire oggetto del diritto di riscatto, a fronte di un”anzianità’ minima di 5 anni; che, con domanda del 17.2.1995 (assunta al protocollo n° 5783 del 20.2.1995), NOME COGNOME ne aveva chiesto il riscatto all’Istituto Autonomo Case Popolari; che nelle more, a seguito del decesso di NOME COGNOME (avvenuto il 28.10.1995), nell’assegnazione dell’alloggio era subentrata la moglie, NOME COGNOME madre dell’odierno ricorrente; che la predetta, a fronte dell’inerzia dell’I.A.C.P. (poi trasformatosi in Azienda Casa Emilia Romagna, ACER) sulla domanda di riscatto, aveva sollecitato formalmente l’Ente per ben quattro volte: il 28. 9.2004, il 25.5.2005, il 10.2.2006, il 2.2.2006; che solo a distanza di undici anni dalla domanda, con nota del 15.6.2006 (portante nr. prot. 3898), l’ACER dando atto
dell’esistenza dei requisiti previsti dalla legge -aveva avviato l’ iter per il riscatto dell’alloggio; che nel frattempo, con atto del 31.5.2007, la COGNOME aveva comunicato la convivenza con il figlio e con la nipote; che il 15.10.2007 NOME COGNOME era deceduta; che successivamente, ACER -con nota prot. n. 37229 del 29.10.2008 -aveva comunicato al Comune (proprietario dell’alloggio) il proprio nulla osta al riscatto dell’alloggio da parte di NOME COGNOME, determinandone il prezzo di cessione; che tuttavia, con nota prot. gen. n. 24350 del 4.2.2009 il Comune di Bologna aveva rigett ato la domanda di riscatto dell’alloggio, ritenendo mancante in capo ad NOME COGNOME il requisito dalla quinquennale convivenza con la madre, poi deceduta.
L’attore chiedeva quindi accerta rsi il proprio diritto al riscatto dell’alloggio, sia iure proprio che iure hereditatis ; in via subordinata, il Gulino chiedeva il diritto al risarcimento dei danni patrimoniali (quantificati ne lla differenza tra il prezzo di mercato dell’alloggio e la somma prevista per il riscatto, pari ad € 1.661,49 ), e non patrimoniali (perdita dell’alloggio). Infine, chiedeva il risarcimento del danno patrimoniale per tutti i canoni versati per l’intera -e ritenuta abnorme durata del procedimento amministrativo, pari a quattordici anni.
Nella resistenza dell’ACER e del Comune di Bologna, con sentenza del 25.3.2016, il Tribunale di Bologna respinse tutte le domande azionate dal Gulino, condannandolo altresì alla rifusione delle spese di giudizio. Il Gulino propose quindi appello, cui resistettero entrambi gli enti.
Con sentenza del 21.4.2021, la Corte d’appello di Bologna rigettò il gravame. Osservò la Corte felsinea che: a) sul presupposto per cui l’esaurimento del procedimento amministrativo attribuisce all’assegnatario e ai suoi eredi il diritto a pretendere la va lutazione della domanda, ma non il diritto alla stipulazione del contratto (Cass. 11334/2007), l’ente proprietario debba subordinare il riscatto alla verifica della permanenza dei presupposti necessari in capo al richiedente; b) quanto al riscatto iure proprio , le norme invocate dal COGNOME erano afferenti al contratto di locazione e non quella alla cessione e/o riscatto dell’alloggio ERP; c) quanto alla subordinata domanda di risarcimento del danno, esso non era dovuto a fronte del mancato diritto al riscatto, ed inoltre perché la legge non prevede un termine per la conclusione del relativo procedimento.
Avverso detta sentenza ricorre per cassazione NOME COGNOME sulla base di un unico motivo, cui resistono con controricorso l’ACER della Provincia di Bologna e il Comune di Bologna. Il ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1 Con l’unico motivo il ricorrente lamenta la ‘ Violazione, mancata valutazione e falsa applicazione da parte del Corte d’Appello di Bologna di norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., segnatamente del principio del neminem laedere, violazione ed errata applicazione dell’art. 97, Co st., degli artt. 2043, cod. civ. e 2, L. 7.8.1990, n. 241, nonché del dovere di buona fede sancito dagli art. 1175 e 1375 cod. civ. “. In particolare, si censura l’affermazione della Corte d’appello
per cui la legge n. 560/1993 non prevede un termine per la conclusione del procedimento, giacché tanto non può comunque condurre a statuire che la P.A. non sia tenuta al rispetto dei termini generali come previsti dall’art. 2 della legge n. 241/1990 , già vigente all’epoca dei fatti. In ogni caso, la durata di quattordici anni per la definizione del procedimento non può che denotare la colpa della P.A., giacché quest’ultima non ha allegato alcuna causa giustificativa di tanto.
2.1.1 -L’unico motivo del ricorso è inammissibile.
Con la sentenza impugnata, la Corte felsinea ha proceduto all’esame dei tre motivi di appello proposti dal Gulino, indicati nell’esposizione del fatto. Ora, per quanto il ricorso non indichi espressamente a quale parte della motivazione vuole rivolgere le sue critiche, sia dal riferimento nell’intestazione della rubrica all’art. 2 della legge n. 241/1990, sia dal tenore dell’illustrazione dell’unico mezzo, risulta evidente che l’impugnazione concerne esclusivamente la motivazione resa sul terzo motivo di appello.
Ebbene, una volta considerata la scarna motivazione resa da quella Corte sulla questione ivi specificamente agitata (indicata in sentenza come ‘ mancata valutazione e falsa applicazione da parte del Tribunale di Bologna del principio del neminem laedere, violazione degli artt. 2043 c.c. e 2, l. 7/08/1990 n. 241 ‘ ; la sentenza così indica le ragioni dell’infondatezza del mezzo: ‘ la legge n. 560/1993 non ha previsto alcun termine per la conclusione dei procedimenti di cessione degli alloggi di E.R.P., con conse guente inapplicabilità dell’art.2 della legge 241/1990 per
la peculiarità e complessità propria del procedimento di riscatto di un alloggio E.R.P. ‘ ) ed una volta considerato che non la si è censurata per la violazione dell’ art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. (in relazione al profilo dell’apparenza) , il confronto fra il tenore del motivo qui in esame e la stessa sentenza evidenzia che il ricorrente non si preoccupa in prima battuta (pag. 6, ultima proposizione fino alle prime due righe della pagina successiva) di mettere in discussione la motivazione stessa, quanto l’affermazione che l’art. 2 cit. non potesse trovare applicazione ‘ per la peculiarità e complessità propria del procedimento di riscatto di un alloggio E.R.P. ‘ , salvo poi, nella pag. 7 evocare il termine di trenta giorni di cui alla suddetta norma, ma in modo contraddittorio rispetto all’affermazione precedente e, fra l’altro , facendo riferimento generico a due documenti (docc. n . 9 e 18) di data ben successiva sia all’epoca di presentazione della domanda da parte del de cuius , sia all’ultimo sollecito indicato -a pag. 2 del ricorso -nel 2.2.2006.
2.1.2 -In secondo luogo, il motivo si pone su un terreno diverso rispetto a ll’invoca ta portata precettiva del citato art. 2 della legge n. 241/1990, là dove sostiene -evocando giurisprudenza anche del Consiglio di Stato -che il ritardo dell’Amministrazione nel provvedere è comunque rilevante anche quando esiste un termine per provvedere.
In proposito, il ricorrente omette però di specificare se tale prospettazione era stata formulata nel giudizio di merito e, soprattutto, in appello: poiché la questione è sorretta da circostanze di fatto inerenti allo svolgimento della vicenda, è palese che non si tratta di mera quaestio iuris di cui
legittimamente potrebbe essere investita questa Corte (salvo il limite dell’esistenza di un giudicato interno preclusivo), ma di questione mista di fatto e di diritto. Tuttavia, poiché parte ricorrente non ha riferito se essa era stata introdotta nel giudizio di merito e, soprattutto e decisivamente, come motivo di appello (anzi, non avendo neppure contestato l’indicazione del motivo di appello nei succinti termini riferiti dalla sentenza impugnata), la censura svolta deve ritenersi inammissibile, perché non consente a questa Corte di verificare, dalla mera lettura del ricorso, se essa si fondi su elementi novità o meno.
Né possono svolgere alcun rilievo le considerazioni dedotte in memoria, in replica ai controricorsi, noto essendo che la funzione della memoria, nel giudizio di legittimità, è solo quella ‘ di illustrare e chiarire le ragioni svolte in ricorso o in controricorso e di confutare le tesi avversarie, non di dedurre nuove eccezioni o sollevare nuove questioni di dibattito ‘ ( ex multis , Cass. n. 26291/2023).
2.1.3 -Infine, ad abundantiam , occorre anche considerare che, prima che la domanda di riscatto venisse rigettata, la madre del ricorrente (e in seguito alla sua morte lo stesso NOME COGNOME nella qualità di erede) avrebbe(ro) potuto far leva sul disposto del comma 4bis dell’art. 2 della legge n. 241/1990, introdotto dalla legge n. 15/2005, impugnando il silenzio amministrativo per il supposto superamento del termine di durata del procedimento , pur senza diffida e fintantoché l’inadempimento della P.A. fosse perdurato; la scelta dell’odierno ricorrente di perseguire
soltanto la via risarcitoria, con la domanda che qui ancora occupa, non coglie dunque nel segno, anche per tale ragione.
3.1 -In definitiva, il ricorso è inammissibile. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
In relazione alla data di proposizione del ricorso (successiva al 30 gennaio 2013), può darsi atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n.115 (nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228).
P. Q. M.
la Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite, spese liquidate in favore di ciascun controricorrente in € 3.000,00 per compensi, oltre € 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario in misura del 15%, oltre accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n.115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente al competente ufficio di merito, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile,