Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 9076 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 9076 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 05/04/2024
preposto – Conseguente sottoposizione di proprio dipendente a processo penale
NOME COGNOME
Presidente
PASQUALE COGNOME
AVV_NOTAIO
ANTONELLA PELLECCHIA
AVV_NOTAIO
NOME COGNOME
AVV_NOTAIO
Ud. 14.2.2024 CC
COGNOME.
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO2021
COGNOME COGNOME
AVV_NOTAIO – COGNOME.
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso N. 26961/2021 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO come da procura in calce al ricorso, domicilio digitale ;
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– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del procuratore speciale NOME COGNOME, domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso la cancelleria della Corte di cassazione, rappresentata e difesa dagli AVV_NOTAIO.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME, come da procura in calce al controricorso, domicilio digitale
;
– controricorrente –
GRAVILI NOME
intimato –
avverso la sentenza del la Corte d’appello di Lecce, Sez. dist. di Taranto, n. 275/2021, depositata il 21.7.2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14.2.2024 dal AVV_NOTAIO relatore AVV_NOTAIO.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME convenne in giudizio NOME COGNOME, titolare della ditta individuale ‘RAGIONE_SOCIALE‘ e agente per la RAGIONE_SOCIALE, a sua volta mandataria della RAGIONE_SOCIALE, anch’essa convenuta, per ottenerne la condanna (la società , ai sensi dell’art. 2049 c.c.) al risarcimento del danno subito per essere stata coinvolta in un procedimento penale – era stato emesso nei suoi confronti decreto penale di condanna per il reato di cui all’art. 485 c.p., dalla stessa NOME opposto – conclusosi con la sua assoluzione per non aver commesso il fatto. Espose che ella – quale procacciatrice di nuovi clienti col sistema ‘porta a porta’, per conto del COGNOME – era stata accusata di aver falsificato la firma di un potenziale cliente (tale NOME COGNOME), formando falsamente un contratto di adesione per la fornitura di energia elettrica, poi trasmesso a RAGIONE_SOCIALE Con sentenza n. 267/2017, il Tribunale di Taranto rigettò le domande attoree, compensando le spese. La NOME propose gravame, cui resistettero NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE La Corte d’appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, con sentenza del 21.7.2021 rigettò l’appello, osservando che il fatto generatore del danno era da attribuire alla erronea sottoposizione a processo penale per iniziativa della Procura della Repubblica di Taranto, che non aveva compiuto le necessarie indagini, il che
N. 26961/21 R.G.
determinava senz ‘altro una cesura, sul piano causale, rispetto alla dedotta falsificazione (attribuita dal denunciante NOME COGNOME ad essa COGNOME, ma ascrivibile, secondo quest’ultima, ad incaricati del COGNOME o della RAGIONE_SOCIALE); ha pure aggiunto che la COGNOME non aveva dimostrato che il denunciato fatto illecito fosse stato effettivamente commesso da soggetti riferibili, appunto, al COGNOME o alla società.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, sulla base di tre motivi, illustrati da ‘sintetiche note illustrative’, cui resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME non ha svolto difese. Ai sensi dell’art. 380 -bis.1, comma 2, c.p.c., il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nei sessanta giorni successivi all’odierna adunanza camerale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1 Con il primo motivo si denuncia la v iolazione dell’art. 111 Cost., degli artt. 132, comma 1, n. 4, c.p.c e 118, comma 1, disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. per motivazione apparente, contraddittoria, insufficiente e carente, per avere la Corte territoriale acriticamente confermato le risultanze giuridiche della sentenza di prime cure senza vagliare nel merito e rispondere alle censure formulate dalla COGNOME nel proprio atto d’appello .
1.2 Col secondo motivo si lamenta la v iolazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., per aver la Corte d’ a ppello omesso l’esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ; si assume che il giudice d’appello non abbia tenuto conto del contratto di fornitura elettrica, con relativa sottoscrizione falsificata e artatamente attribuita a NOME COGNOME, dunque di un documento
N. 26961/21 R.G.
interno riferibile all’organizzazione aziendale della ditta del RAGIONE_SOCIALE e della società. La circostanza non solo non è stata contestata, ma è stata anche espressamente indicata, nella ricostruzione dei fatti, nella sentenza del Tribunale di Taranto con cui essa COGNOME venne assolta da ogni addebito. Dunque, prosegue la ricorrente, è di tutta evidenza che tale documento non può che essere considerato connesso all’attività di impresa tanto della RAGIONE_SOCIALE, che della RAGIONE_SOCIALE
1.3 Col terzo motivo, infine, si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2049 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c, per aver la Corte d’appello ritenuto non applicabile alla RAGIONE_SOCIALE detta disposizione, benché i fatti fossero riferibili alla RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME.
2.1 Preliminarmente, deve rilevarsi l’inammissibilità del controricorso di RAGIONE_SOCIALE e di ogni conseguente attività difensiva, giacché, agli atti del presente giudizio legittimamente ed effettivamente consultabili dal Collegio al momento della decisione, non risulta versata in atti la procura speciale del 25.1.2016, autenticata dal AVV_NOTAIO, in forza della quale NOME COGNOME conferì, a suo tempo, la procura ad litem agli AVV_NOTAIO e AVV_NOTAIO, onde resistere al ricorso che occupa.
3.1 Ciò posto, il primo motivo (a parte l’erroneo riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., il vizio denunciato consistendo in una nullità processuale, dunque sussumibile nella disposizione di cui al n. 4 dell’art. citato) è infondato.
La Corte territoriale, confermando sul punto la prima decisione e rigettando le contrarie argomentazioni della COGNOME, ha ritenuto di risolvere la vicenda per cui è processo in quanto la decisione sul se sottoporre o meno l’incolpato ad
indagini ed, eventualmente, a ll’esercizio dell’azione penale nei suoi confronti, non può che ascriversi alle determinazioni dell’ufficio del Pubblico Ministero; detta attività, dunque, è idonea ad interrompere il nesso di causalità tra il preteso illecito e il danno arrecato all’incolpato che si riveli, poi, innocente, con ogni conseguenza sulla impossibilità di configurare la risarcibilità del nocumento da questi patito. Nel far ciò, la Corte – pur nella piena consapevolezza della diversità di fattispecie, rispetto a quella che ancora occupa – ha evidenziato la correttezza del richiamo, operato dal Tribunale, a quell’orientamento giurisprudenziale secondo cui, in caso di denuncia penale all’Autorità Giudiziaria che si riveli semplicemente infondata, ma non anche calunniosa, non può configurarsi alcun fatto illecito, appunto perché l’iniziativa del Pubblico Ministero determina la cesura rispetto all’ iter causale tra la denuncia e il danno lamentato (da ultimo, sia in relazione a reati procedibili d’ufficio, s ia a querela di parte, v. Cass. n. 30988/2018).
Ora – a parte la obiettiva opinabilità di un tale accostamento, come operato dalla Corte tarantina , rispetto alla specificità dell’illecito prospettato dalla COGNOME (giacché altro è la presentazione di una denuncia-querela meramente infondata, ma non anche calunniosa, altro è il compimento di atti illeciti idonei ad esporre chicchessia non solo al rischio di veder esercitata, nei propri confronti, l’azione penale, ma anche di suscitare, ancora nei propri confronti, lo stesso interesse investigativo dell’u fficio del Pubblico Ministero, con ogni intuibile conseguenza, non solo sul piano strettamente patrimoniale) -, la motivazione resa sul punto dalla Corte territoriale è certamente coerente col ‘minimo costituzionale’ ex art. 111, comma 6, Cost. (v. Cass., Sez. Un., n. 8053/2014), essendosi spiegato con
chiarezza il percorso argomentativo seguito dal giudice d’appello, come già s’è evidenziato, né emergendo alcuna contraddittorietà tra affermazioni tra loro inconciliabili : il giudice d’appello, infatti, non s’è limitato a richiamare acriticamente detto orientamento, ma – nella piena consapevolezza della diversità di fattispecie, rispetto a quella al suo vaglio – ha ritenuto quel ragionamento interamente replicabile anche in relazione alle domande della COGNOME.
Pertanto, giusto o sbagliato che sia un simile percorso, la motivazione è certamente priva di quei difetti che – soli – possono oggi giustificare la censura del vizio motivazionale nel giudizio di legittimità , a seguito della riforma dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., com’è noto operata nel 2012 (si rinvia sul punto, per brevità, alla già citata Cass., Sez. Un., n. 8053/2014).
La contestata decisione, circa l’idoneità dell’improvvida iniziativa del P.M. nei confronti della COGNOME ad interrompere il nesso di causalità tra l’illecito da questa prospettato e i danni subiti, avrebbe dunque dovuto censurarsi con la denuncia del pertinente vizio, ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. (ed in particolare, con la denuncia della violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2043 e 2059 c.c.); ma la stessa COGNOME non ha proposto una simile doglianza, né – per la categoricità degli argomenti ivi spesi – appare minimamente possibile riqualificare in tal senso il primo motivo, qui in discussione.
4.1 Il secondo e il terzo motivo, da esaminarsi congiuntamente perché connessi, sono a tal punto inammissibili.
A parte, anche in tal caso, l’incerta formulazione delle censure, essendosi richiamata l’ipotesi – certamente non pertinente di cui all’art. 360, comma 1,
n. 5, c.p.c., anziché quella del n. 3 della stessa disposizione, occorre evidenziare che, u na volta rigettato l’unico motivo proposto dalla COGNOME sulla assorbente questione della accertata inesistenza della efficienza causale tra il fatto illecito dedotto e il danno lamentato, la ulteriore questione della riferibilità dello stesso fatto illecito al COGNOME e alla RAGIONE_SOCIALE (e/o a loro incaricati), nonché della sussistenza di una possibile responsabilità di quest’ultima ex art. 2049 c.c., perdono di interesse e decisività: giammai la eventuale fondatezza dei mezzi in esame potrebbe giustificare la cassazione della sentenza impugnata, posto che – con statuizione oramai coperta dal giudicato – il danno lamentato dalla COGNOME non può comunque riferirsi all’eventuale condotta illecita ascrivibile al COGNOME o alla RAGIONE_SOCIALE.
5.1 Il ricorso è dunque rigettato.
Nulla va disposto sulle spese di lite, stante l’inammissibilità del controricorso della RAGIONE_SOCIALE e l’assenza di attività difensiva del COGNOME .
In relazione alla data di proposizione del ricorso (successiva al 30 gennaio 2013), può darsi atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228).
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n.115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il giorno