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Risarcimento danno: inerzia e valutazione equitativa

L’erede di un lavoratore, demansionato per anni, si è visto ridurre il risarcimento danno a causa dell’inerzia del defunto. La Cassazione ha chiarito che l’inattività del dipendente non costituisce concorso di colpa, ma rientra tra i criteri di valutazione equitativa del giudice. Inoltre, ha accolto il ricorso sulla liquidazione delle spese legali, confermando che il giudice deve sempre pronunciarsi d’ufficio su di esse.

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Pubblicato il 8 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Demansionamento e Risarcimento Danno: l’Inerzia del Lavoratore non è Colpa

L’ordinanza in esame affronta due questioni cruciali nel diritto del lavoro e processuale: come quantificare il risarcimento danno per demansionamento e quali sono gli obblighi del giudice in materia di spese di lite. La Corte di Cassazione, con questa pronuncia, chiarisce che l’inerzia prolungata del lavoratore nel reagire al demansionamento non configura un concorso di colpa che riduce automaticamente il risarcimento, ma è solo uno dei tanti elementi che il giudice può considerare nella sua valutazione equitativa. Approfondiamo i dettagli di questa importante decisione.

I fatti di causa

La vicenda trae origine dalla richiesta di risarcimento danni avanzata da un lavoratore, e proseguita dalla sua erede, nei confronti di una grande società di telecomunicazioni. Il lavoratore lamentava di essere stato vittima di demansionamento per un lungo periodo, dal 1997 al 2005.

La Corte d’Appello, chiamata a decidere in sede di rinvio dopo una prima pronuncia della Cassazione, aveva parzialmente riformato la sentenza di primo grado, limitando l’ammontare del risarcimento. La motivazione di tale riduzione si basava sul comportamento del lavoratore, il quale, per 98 mesi, non aveva intrapreso azioni giudiziarie per ottenere l’attribuzione di mansioni adeguate al suo profilo. Secondo i giudici di merito, questa inerzia aveva contribuito ad aggravare il danno subito. Inoltre, la Corte d’Appello aveva limitato la condanna al pagamento delle spese legali solo a quelle dei giudizi di cassazione e rinvio, ritenendo che la richiesta della parte fosse limitata a queste fasi.

La decisione della Corte di Cassazione

L’erede del lavoratore ha impugnato la sentenza d’appello dinanzi alla Corte di Cassazione, sollevando tre motivi di ricorso.

I primi due motivi contestavano la riduzione del risarcimento danno. La ricorrente sosteneva che la Corte d’Appello avesse erroneamente applicato il principio del concorso di colpa del danneggiato (art. 1227 c.c.), rimproverando al lavoratore di non aver intrapreso iniziative giudiziarie, e ignorando le prove documentali che dimostravano come egli avesse reagito in cinque diverse occasioni al demansionamento. La Cassazione ha ritenuto infondati questi due motivi.

Il terzo motivo, invece, riguardava la violazione delle norme sulla pronuncia sulle spese di lite (artt. 112 e 91 c.p.c.). La ricorrente lamentava che la Corte d’Appello avesse erroneamente limitato la condanna alle spese, mentre avrebbe dovuto provvedere d’ufficio alla regolamentazione delle spese di tutti i gradi di giudizio. Questo motivo è stato accolto dalla Suprema Corte.

Di conseguenza, la Cassazione ha rigettato i primi due motivi, accolto il terzo, cassato la sentenza impugnata limitatamente alla statuizione sulle spese e, decidendo nel merito, ha proceduto alla riliquidazione integrale delle spese di tutti i gradi di giudizio.

Le motivazioni

Per quanto riguarda i primi due motivi, la Corte ha chiarito un punto fondamentale. La Corte d’Appello non ha applicato la norma sul concorso di colpa (art. 1227, comma 2, c.c.), che presuppone un’eccezione specifica della controparte, ma ha utilizzato l’inerzia del lavoratore come uno dei tanti criteri per la valutazione equitativa del danno (art. 1226 c.c.). I giudici hanno spiegato che, nell’ambito di un giudizio equitativo basato su una pluralità di elementi (come la posizione di vertice del dirigente, le vicissitudini successive, le aspettative di carriera), il peso attribuito a un singolo criterio, come l’inerzia, non è decisivo se la valutazione finale rimane comunque sorretta da altre valide ragioni. L’inerzia del lavoratore, quindi, non diminuisce il suo diritto, ma può essere considerata dal giudice per ponderare l’entità del danno in modo equo.

Relativamente al terzo motivo, la Cassazione ha ribadito un principio consolidato: la condanna al pagamento delle spese di lite è una componente accessoria della domanda principale e il giudice deve provvedervi d’ufficio, anche senza una richiesta esplicita della parte vittoriosa. L’unico limite è la rinuncia espressa della parte. Nel caso di specie, la precedente ordinanza di cassazione aveva annullato integralmente la sentenza d’appello, compreso il capo sulle spese. Pertanto, il giudice del rinvio aveva il dovere di riliquidare le spese di tutti i gradi del giudizio in base all’esito finale della lite, senza potersi limitare a quelle delle fasi più recenti.

Le conclusioni

Questa ordinanza offre due importanti spunti pratici. In primo luogo, stabilisce che l’inerzia di un lavoratore nel far valere i propri diritti non può essere usata per decurtare automaticamente il suo risarcimento danno sulla base di un presunto concorso di colpa; essa è, al più, un elemento che il giudice può soppesare, insieme a molti altri, per arrivare a una quantificazione equa del pregiudizio. In secondo luogo, rafforza il principio secondo cui il regolamento delle spese processuali è un dovere del giudice, che deve provvedere per tutte le fasi del giudizio in base al principio della soccombenza, a meno che non vi sia una chiara e inequivocabile rinuncia da parte del vincitore.

Se un lavoratore non agisce subito in giudizio per un demansionamento, perde il diritto al pieno risarcimento del danno?
No. Secondo la Corte, l’inerzia del lavoratore non configura un concorso di colpa che riduce automaticamente il risarcimento. Può essere considerata dal giudice come uno dei vari elementi nella valutazione equitativa del danno, ma non è di per sé decisiva per diminuirne l’importo.

Cosa si intende per ‘valutazione equitativa’ del danno da demansionamento?
Significa che il giudice, quando non è possibile calcolare il danno in modo preciso, lo determina basandosi su una serie di criteri di giustizia e proporzionalità. Questi criteri possono includere la durata del demansionamento, la qualifica del lavoratore, le sue aspettative di carriera, le conseguenze sulla sua professionalità e anche il suo comportamento, come l’eventuale inerzia.

È necessario chiedere esplicitamente al giudice di condannare la controparte al pagamento delle spese legali di ogni grado di giudizio?
No. La Corte ha ribadito che il giudice ha il dovere di provvedere d’ufficio (cioè di sua iniziativa) alla regolamentazione delle spese di tutti i gradi del processo. La condanna alle spese è una conseguenza automatica della soccombenza e non richiede una domanda esplicita, a meno che la parte vittoriosa non vi abbia espressamente rinunciato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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