Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23654 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 23654 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 28132-2022 proposto da:
NOMECOGNOME nella qualità di erede di NOMECOGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2140/2022 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 20/05/2022 R.G.N. 3011/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
04/06/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Fatti di causa
La Corte d’appello di Roma, con la sentenza in atti, decidendo in sede di rinvio a seguito della ordinanza n. 16595/2019 di
Oggetto
R.G.N. 28132/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 04/06/2025
CC
questa Corte di cassazione, per quanto ancora di interesse, in parziale riforma della sentenza del tribunale di Roma n. 21024 del 18/12/2008, ha limitato la liquidazione del risarcimento del danno da demansionamento dovuto da Telecom RAGIONE_SOCIALE a NOME COGNOME nella somma pari al 33% delle retribuzioni percepite dal 16/7/1997 sino al settembre 2005 (retribuzione mensile di riferimento € 9200,00 33% 98 mesi) oltre accessori; ha respinto ogni altra domanda del lavoratore; ha condannato Telecom S.p.A. al pagamento della metà delle spese del giudizio di cassazione e del grado di rinvio quantificate per l’intero, quanto al giudizio rescindente in complessivi € 5200,00 e quanto al grado rescissorio sempre per l’intero in complessivi € 7000, oltre a spese generali al 15%, IVA e cpa.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME in qualità di erede di NOME COGNOME con tre motivi di ricorso ai quali ha resistito con controricorso Telecom Italia S.p.A. La parte ricorrente ha depositato memoria. Il Collegio ha autorizzato il deposito della motivazione nel termine di 60 giorni successivi alla decisione.
Ragioni della decisione
In via preliminare deve respingersi l’eccezione di inammissibilità del ricorso per intervenuta decadenza a seguito del decorso del termine di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza d’appello non notificata, ai sensi dell’articolo 327 c.p.c. atteso che il 20.11.2022, giorno di scadenza del termine semestrale, era domenica ed il termine di impugnazione era quindi prorogato di diritto al lunedì successivo ai sensi dell’art.155 c.p.c.
1.- Col primo motivo di ricorso si deduce violazione e/o falsa applicazione degli articoli 416, comma 2 c.p.c., 112 c.p.c., 1226 e/o 223 c.c. avendo la Corte d’appello ridotto l’ammontare del risarcimento per il danno alla professionalità patito da NOME
COGNOME in applicazione, pur senza farne espressa menzione, del disposto di cui all’art. 1227, comma 2, sostenendo, pur in mancanza di una tempestiva eccezione svolta in primo grado, che il comportamento colposo dello stesso lavoratore aveva concorso ad un aggravamento del danno, posto che, a suo dire, per 98 mesi non aveva mai posto in essere alcuna reazione né tantomeno agito in giudizio al fine di ottenere l’attribuzione di mansioni corrispondenti al profilo ricoperto.
2.- Col secondo motivo si deduce, in via subordinata, violazione e/o falsa applicazione dell’art.1227, comma 2 e dell’art. 1223 c.c. e si contesta l’erroneità della sentenza impugnata anche per aver affermato che il lavoratore avrebbe dovuto assumere iniziative rischiose, quale l’introduzione di un’azione giudiziaria. 2.1. Inoltre, sotto la medesima censura, si sostiene l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. laddove, oltre a rimproverare erroneamente di non aver agito giudizialmente, la sentenza impugnata afferma contro il vero che il lavoratore a fronte dell’inadempimento datoriale non avesse mai posto in essere alcuna reazione senza considerare invece quanto il ricorrente aveva dedotto e documentato avendo reagito al demansionamento e richiesto l’assegnazione di mansioni coerenti col proprio profilo in cinque occasioni.
2.1.- I primi due motivi sono infondati.
In primo luogo, deve ritenersi che la Corte d’appello non abbia accolto l’eccezione sul concorso di colpa del danneggiato, ai sensi dell’art. 1227, comma 2, c.c. ma si sia limitata a valorizzare il contegno tenuto dalla parte nella prospettiva di una mera valutazione equitativa del danno, sia pure attraverso un articolato giudizio fondato su un ampio spettro di criteri.
In secondo luogo le critiche sollevate nei predetti motivi non possono considerarsi d ecisive, posto che nell’ambito del giudizio equitativo formulato sulla scorta di una pluralità di criteri non è dato valutare il ruolo attribuito al criterio censurabile, quando la valutazione finale rimanga inalterata anche sulla scorta di altri criteri correttamente individuati.
Inoltre è infondato sostenere che la Corte abbia omesso di valutare i fatti posto che non costituisce violazione dell’art.360 n. 5 c.p.c. l’omessa valutazione di un fatto probatorio quan do i fatti cui esso si riferisce sono stati comunque valutati.
In ogni caso, come già detto, il ricorrente non comprova che i fatti in oggetto, relativi all’inerzia stragiudiziale e/o giudiziale del danneggiato, siano stati decisivi ai fini della quantificazione del danno operata nel contesto della pronuncia impugnata; quantificazione che potrebbe essere parimenti sorretta in via equitativa dai rimanenti criteri individuati dalla Corte (posizione di vertice come dirigente, adibizione al settore risorse umane, vicissitudini successive al licenziamento, pregiudizi alle aspettative di carriera); sicchè la considerazione della Corte potrebbe ridursi alla stregua di un’argomentazione ultronea, espressa ad abundantiam, che non ha lo scopo di sorreggere la decisione, già basata su altra decisiva ragione; e che come questa non è suscettibile, quindi, di censura in sede di legittimità (Cass. S.U. n. 8087/07; Cass. n. 10420/05).
3.- Con il terzo motivo si deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112 e 91 c.p.c. laddove la Corte d’appello ha sostenuto che il ricorrente in riassunzione ha limitato la richiesta di condanna alle sole competenze relative ai giudizi di cassazione e di rinvio e che pertanto la condanna andava emessa nei limiti della richiesta, e che l’obbligo del giudice del gravame di provvedere d’ufficio, in caso di riforma della
sentenza impugnata al regolamento di tutti i gradi di giudizio, incontra il limite dell’art. 112 c.p.c. ove la parte abbia in modo espresso limitato la domanda.
3.1. Il motivo è fondato. E’ noto che il giudice deve provvedere d’ufficio alla regolamentazione delle spese di lite a prescindere dal fatto che le parti gliene abbiano fatto esplicita istanza, essendo la rifusione delle spese una componente accessoria della domanda principale. L’unico limite può ravvisarsi nel caso in cui la parte abbia espressamente rinunciato alle spese con una manifestazione di volontà contraria.
L’ordinanza n. 16595/2019 con cui questa Corte aveva cassato la sentenza aveva pure comportato l’eliminazione integrale della sentenza di appello anche in relazione alle spese, a cui si estendeva inevitabilmente l’effetto caducatorio della pronuncia di legittimità. Pertanto essa aveva rimesso al giudice del rinvio il compito di effettuare la liquidazione delle spese processuali per l’intero giudizio svolto e la Corte di appello doveva perciò rili quidare le spese di tutti i gradi in base all’esito del gi udizio di rinvio.
Negli stessi termini è sul punto la consolidata giurisprudenza di questa Corte, tra cui ad es. Cass. n. 21244/ 2006: ‘La condanna al pagamento delle spese del giudizio, in quanto consequenziale ed accessoria, può essere legittimamente emessa dal giudice a carico del soccombente anche d’ufficio, in mancanza di una esplicita richiesta dalla parte che risulti vittoriosa, sempreché la stessa non abbia manifestato espressa volontà contraria, e financo quando il giudice debba dichiarare cessata la materia del contendere, dovendosi in tal caso delibare il fondamento della domanda per decidere sulle spese, secondo il principio della soccombenza virtuale (massime precedenti conformi: n. 3346/1990, n. 5516 del 1996)’.
4. In conclusione vanno quindi rigettati i primi due motivi di ricorso e va accolto il terzo motivo. La sentenza deve essere cassata in relazione al motivo accolto e, non essendo necessari ulteriori accertamenti, la causa può essere decisa nel merito con l ‘integrale riliquidazione delle spese processuali di tutti i gradi del giudizio, nei termini effettuati in dispositivo, nella percentuale del 50%, pure individuata dal giudice di appello ai sensi dell’art.92 c.p.c. , dato il parziale accoglimento della domanda, mentre per il residuo, non oggetto di compensazione, le spese vanno poste a carico della società resistente sulla base dell’esito complessivo del giudizio.
PQM
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso e rigetta i primi due; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, condanna Telecom spa al pagamento della metà delle spese dei giudizi intercorsi tra le parti che liquida, per compensi, nei seguenti importi: per il primo grado € 4000 (intero € 8000), per il secondo grado € 4000 (intero € 8000), per il primo giudizio di cassazione € 4000 (intero € 8000), per giudizio di rinvio € 4000 (intero € 8000), per il nuovo giudizi o di cassazione € 1500 (intero € 3000), oltre ad € 200,00 per esborsi, rimborso forfettario nella misura del 15% e agli altri oneri di legge, per il resto disponendo la compensazione ex art.92 c.p.c. .
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale del 4.6.2025 La Presidente dott.ssa NOME COGNOME