Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 20251 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 20251 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14001/2021 R.G. proposto da:
NOME, NOME, domiciliazione telematica EMAIL e EMAIL, rappresentati e difesi dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrenti- contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME, domiciliazione telematica EMAIL e EMAIL, rappresentati e difesi dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrenti-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO SALERNO n. 420/2021 depositata il 30/03/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/04/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che
NOME COGNOME e NOME COGNOME ricorrono, sulla base di otto motivi, per la cassazione della sentenza n. 420 del 2021 della Corte di appello di Salerno, esponendo, per quanto qui ancora di utilità, che:
–NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, rispettivamente figli e vedova di NOME COGNOME, avevano ereditato un cespite immobiliare su cui il loro dante causa aveva intrapreso lavori di ampliamento e sopraelevazione cui si era opposta la sorella, NOME COGNOME, con azione possessoria a titolo di servitù di passaggio che, in quanto accolta, aveva dato luogo ad esecuzione coattiva mediante demolizione;
–NOME COGNOME aveva quindi instaurato giudizio petitorio per la negatoria della servitù, ottenendo, nel 2003, sentenza definitiva di accoglimento della propria pretesa, con riconoscimento del diritto al risarcimento del danno da liquidarsi in separata sede;
-di qui la chiamata in lite di NOME COGNOME, poi deceduta con riassunzione del giudizio nei confronti degli eredi deducenti;
-questi ultimi, proseguendo il giudizio, avevano resistito ribadendo che il risarcimento avrebbe dovuto limitarsi ai costi di edificazione del fabbricato che poi aveva dovuto essere demolito in ragione della tutela possessoria accordata, senza, però, che potesse essere riconosciuto il
diritto al ristoro del pregiudizio asseritamente corrispondente alla perdita di vocazione edificatoria del terreno, in quanto non causalmente imputabile essendovi stata abdicazione per inerzia da parte del titolare;
-il Tribunale aveva invece accolto la domanda, con pronuncia di rigetto del gravame da parte della Corte di appello secondo cui, in particolare: «il factum principis , indipendente dalla volontà del titolare dell’abilitazione urbanistica, come tale idoneo a legittimare la proroga dei termini di esecuzione delle fabbriche autorizzate e ad evitare la decadenza di diritto dalla relativa abilitazione, venuto meno all’atto dell’esecuzione del ripristino dello status quo ante , accertato dall’Ufficiale Giudiziario investito in sede esecutiva», essendo poi evidente che se fosse stata intrapresa una nuova costruzione la stessa sarebbe stata plausibilmente inibita allo stesso modo; il silenzio del RAGIONE_SOCIALE sulle istanze di proroga dei termini della concessione, formulate da NOME COGNOME, non poteva essere inteso come silenzio assenso, al di fuori delle ipotesi tassativamente previste dalla legge, sicché, essendosi trattato solo di silenzio inadempimento, non poteva spostare la conclusione; riguardo alla quantificazione dei danni, la consulenza tecnica officiosa, espletata anche a tal fine, aveva detratto il valore dell’area inedificabile da quello edificatorio infine perduto e aveva aggiunto i valori economici di redditualità ricavabili dai volumi che avrebbero potuto ottenersi, attualizzando per il resto in specie i costi di demolizione;
resistono con controricorso NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME quale erede di NOME COGNOME;
le parti hanno depositato memorie;
rilevato che
con il primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 132, 112, 115, 116, cod. proc. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato: a) introducendo un elemento decisorio nuovo e mai discusso come il sopra descritto factum principis ; b) attribuendo all’interdetto possessorio una portata ulteriore rispetto a quella cessata con il giudizio petitorio, e mai allegata dalla controparte attrice;
con il secondo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 132, 112, 115, 116, cod. proc. civ., 1, legge n. 1902 del 1952, 4, legge n. 10 del 1977, 11, d.P.R. n. 380 del 2001, poiché la Corte di appello avrebbe errato adeguandosi acriticamente alle conclusioni parimenti errate del perito giudiziale così come del Tribunale, secondo cui la concessione originaria del 1986 era divenuta inutilizzabile ai fini edificatori poiché il RAGIONE_SOCIALE aveva adottato nuovi Piani Regolatori Generali, nel 1994 e nel 1999, con relative norme di salvaguardia ostative rimaste efficaci fino al 2004, mentre tali ultime prescrizioni, correlate peraltro a strumenti urbanistici decaduti perché non approvati, avevano impedito il rilascio di nuove abilitazioni edilizie ma non avevano inciso su quelle già in essere e mai revocate o annullate;
con il terzo motivo si prospetta l’omesso esame di un fatto decisivo e discusso relativo alla persistente efficacia della concessione in cui termini erano stati prorogati, su domanda, fino al 1993 secondo quanto dato atto nella originaria citazione, non essendo ostative, come detto, le norme di salvaguardia;
con il quarto motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 132, 115, 116, cod. proc. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando di spiegare perché non avrebbe avuto rilievo il fatto che NOME COGNOME non aveva esercitato i suoi diritti edificatori dopo aver avuto la ragione petitoria che, nel 2003, aveva superato ogni efficacia dell’interdetto possessorio, ovvero mancando considerare la circostanza che lo
stesso aveva considerato efficace l’originaria concessione posto che nel 2001, avendo trasferito il cespite alla figlia NOME COGNOME, aveva segnalato l’alienazione al RAGIONE_SOCIALE indicando la nuova proprietaria come la beneficiaria dell’atto concessorio medesimo;
con il quinto motivo si prospetta l’omesso esame di un fatto decisivo e discusso rappresentato dalla risultata efficacia della originaria concessione quale ritenuta dallo stesso NOME COGNOME dopo la vendita dell’immobile alla figlia;
con il sesto motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 132, 112, 115, 116, cod. proc. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando di spiegare perché sarebbe stata da riconoscere sia la perdita dei diritti edificatori che quella dei volumi non edificati, la quale ultima comprendeva la prima, altrimenti duplicandosi il preteso danno, fermo restando che gli attori avevano richiesto, con la relazione tecnica di parte, la rifusione di un valore edificatorio e di un valore dei costi di edificazione e ripristino inferiori a quelli accordati, potendosi al contempo ammettere solo un pregiudizio dato dalla positiva differenza tra i minori costi di edificazione sostenuti nel 1986, e i maggiori che avrebbero dovuto sostenersi nel 2003, una volta definitivamente superata l’inibitoria possessoria;
con il settimo motivo si prospetta l’omesso esame di un fatto decisivo e discusso rappresentato dalla circostanza per cui il valore del suolo edificabile in tesi perduto non poteva non comprendere anche quello del suolo su cui i volumi sarebbero andati a incidere;
con l’ottavo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 91, 92, cod. proc. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare, ai fini della regolazione delle spese di lite, il parziale accoglimento della domanda proposta in modo speculativo per la liquidazione di un ristoro fino a 100 mila euro;
considerato che
i primi di cinque motivi, da esaminare congiuntamente per connessione, sono fondati per quanto di ragione;
la Corte territoriale ha motivato nel senso che:
-l’interdetto possessorio era factum principis legittimante la proroga dei termini per l’esercizio della concessione edilizia originaria;
-tale efficacia era però venuta a cessare con l’esecuzione della suddetta statuizione giurisdizionale;
-successivamente, per converso, la concessione non era stata più sfruttabile, poiché la relativa attività sarebbe incorsa, verosimilmente, in analoga reazione con tutela possessoria;
-pertanto (a quanto è dato evincere), la condotta di NOME COGNOME aveva contribuito causalmente alla perdita dei diritti edificatori, stante poi il silenzio inadempimento dell’ente locale a fronte delle successive istanze di proroga di NOME COGNOME;
ora, va sùbito chiarito che non vi è alcuna violazione dell’art. 112, cod. proc. civ., posto che la Corte di appello ha semplicemente sussunto i fatti accertati, e discussi dalle parti, nelle fattispecie legali ritenute tali, senza alcuna innovazione lesiva quale quella oggetto di doglianza;
parimenti, va rimarcato che le deduzioni di omesso esame sono inibite dalla doppia decisione conforme dei giudici di merito: ciò ai sensi dell’art. 348 -ter, quinto comma, cod. proc. civ., applicabile ratione temporis , peraltro al contempo reintrodotto dal d.lgs. n. 149 del 2022, come previsto dall’art. 360, quarto comma, cod. proc. civ., non avendo la parte ricorrente dimostrato che le ragioni di fatto poste a base delle due decisioni di merito sono state diverse (Cass., 22/12/2016, n. 26774, Cass., 28/02/2023, n. 5947);
deve anche aggiungersi che la motivazione della sentenza gravata non lascia comprendere compiutamente perché l’esercizio della tutela possessoria, avvenuto e rinnovabile, avrebbe integrato di per sé un illecito fonte di danno risarcibile, ma, sul punto, il ricorso medesimo assume (a pag. 3) che il profilo aveva fondamento nella sentenza conclusiva del giudizio petitorio e affermativa del risarcimento del danno, in linea, del resto, con l’accenno della sentenza di appello riguardo al riconoscimento dell’ an risarcitorio (a pag. 4);
ciò detto, la decisione di seconde cure effettivamente, come complessivamente dedotto nelle censure, non spiega in modo compiutamente decifrabile perché la concessione edilizia originaria non avrebbe potuto esercitarsi al di là del ricostruito silenzio inadempimento -non assenso né rigetto -del RAGIONE_SOCIALE, e neppure spiega, in ogni caso, perché NOME COGNOME non avrebbe potuto esercitare ex novo i diritti edificatori;
sul punto potrebbe supporsi un adeguamento alla decisione di prime cure ovvero agli assunti peritali, discussi da parte ricorrente e controricorrente, e però senza decifrabilità motivazionale del provvedimento di secondo grado, stante al riguardo l’assenza anche di meri richiami, ed attesa la totale apoditticità dell’affermazione concernente «il mutamento del quadro normo -urbanistico di riferimento» (contenuta ancora a pag. 4) che nulla chiarisce sulle ragioni dello stesso afferenti anche all’accertamento fattuale dei provvedimenti seppure regolamentari dell’ente locale;
potrebbe dunque immaginarsi che si sia assunto per un verso la scadenza della originaria concessione, e poi l’effetto ostativo delle norme di salvaguardia correlate ai P.R.G. susseguitisi, ma, come detto, tutto ciò non è affatto chiarito;
in altri termini, la motivazione nulla dice del concreto regime urbanistico al momento della sentenza di definizione del giudizio
petitorio nel 2003, rendendo incomprensibile la decisione sull’assunto pregiudizio da perdita della vocazione edificatoria;
il sesto e settimo motivo, da esaminare congiuntamente per connessione, sono in parte assorbiti, in parte inammissibili;
infatti, l’accertamento sulla spettanza della perdita dei diritti edificatori rimane sub iudice all’esito del descritto accoglimento cassatorio, e sul punto vi è logico assorbimento;
quanto ai costi di realizzazione originaria delle opere poi oggetto di riduzione in pristino, avrebbe colto nel segno la censura svolta alla fine del settimo motivo, quando afferma, in buona sostanza, che il danno non avrebbe potuto essere dato che dalla differenza rispetto ai costi, in tesi maggiori, necessari alla riedificazione, posto che, se fosse stata possibile quest’ultima, evidentemente non avrebbero potuto costituire voce di danno i costi comunque necessari alla stessa;
anche in tale ultimo caso, però, dovrà procedersi a nuovo e motivato accertamento all’esito di quello sulle possibilità edificatorie nel 2003, con conseguente assorbimento, in questa sede, del motivo;
quanto ai costi di demolizione le critiche assumono a parametro la relazione tecnica del consulente di parte attrice, e però nulla dimostrano, in violazione del principio di specificità di cui all’art. 366, n. 6, cod. proc. civ., riguardo a com’era stata formulata la domanda, ovvero se, come poi palesato da parte controricorrente, rimettendosi, nei limiti di quanto indicativamente e complessivamente richiesto fino a 100 mila euro, alle risultanze degli accertamenti anche peritali d’ufficio, fonte oggettiva di prova (cfr. Cass., Sez. U., 1/02/2022, n. 3086);
dunque, per un verso è inammissibile la censura di ultrapetizione, per altro verso vi è inammissibilità nella parte residua delle deduzioni che mirano a una rilettura istruttoria estranea alla presente sede di legittimità;
l’ottavo motivo è logicamente assorbito;
P.Q.M.
La Corte accoglie per quanto di ragione i primi cinque motivi, inammissibili il sesto e settimo per quanto non assorbiti, assorbito l’ottavo, cassa in relazione la decisione impugnata e rinvia alla Corte di appello di Salerno perché, in diversa composizione, pronunci anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 12/04/2024.