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Risarcimento danno distanze: prova con presunzioni

Una società costruttrice viene citata in giudizio per violazioni edilizie ai danni di una proprietà vicina non ancora ultimata. La Corte di Cassazione, con questa ordinanza, chiarisce che il risarcimento danno distanze può essere provato anche tramite presunzioni, come l’impedimento a completare la costruzione. La Corte ha inoltre stabilito un importante principio sulla gestione delle spese legali: quando una sentenza d’appello riforma parzialmente quella di primo grado, il giudice deve ricalcolare d’ufficio anche le spese del primo giudizio.

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Pubblicato il 16 settembre 2025 in Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Risarcimento danno distanze: la prova con presunzioni è sufficiente?

Il tema del risarcimento danno distanze tra costruzioni è un classico del contenzioso civile. Ma cosa succede se l’immobile che subisce il danno è ancora un cantiere, allo stato grezzo? È possibile ottenere un risarcimento? La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, offre importanti chiarimenti, segnando un’evoluzione rispetto al passato e dettando precise regole anche sulla gestione delle spese legali in caso di riforma della sentenza in appello. La vicenda analizzata riguarda proprio una controversia tra proprietari di immobili confinanti, di cui uno non ancora ultimato.

I fatti del caso

Una società costruttrice veniva condannata in primo grado a tenere indenni gli acquirenti di un suo immobile da quanto questi erano tenuti a versare ai loro vicini. Il motivo? Una serie di violazioni edilizie, tra cui il mancato rispetto delle distanze legali, la creazione di vedute non regolamentari e uno stillicidio illegittimo di acque meteoritiche. La particolarità del caso risiedeva nel fatto che l’immobile dei vicini danneggiati si trovava allo stato grezzo da oltre dieci anni. La società costruttrice, pertanto, sosteneva in appello che non potesse esserci un danno concreto per un edificio non abitabile e non produttivo di reddito. La Corte d’Appello accoglieva solo parzialmente il gravame, riducendo l’importo del risarcimento ma confermando l’esistenza di un danno. La questione è così giunta dinanzi alla Corte di Cassazione.

L’evoluzione della giurisprudenza sul risarcimento danno distanze

Il cuore della decisione della Cassazione ruota attorno alla prova del danno. Per anni, la giurisprudenza ha sostenuto che il danno derivante dalla violazione delle distanze fosse in re ipsa, cioè presunto nell’esistenza stessa della violazione, senza necessità di una prova specifica da parte del danneggiato.

La Corte, richiamando recenti pronunce delle Sezioni Unite, ha chiarito che questo orientamento è superato. Oggi, chi chiede il risarcimento deve allegare e provare il danno subito. Tuttavia, questa prova non deve essere necessariamente diretta. Il danneggiato può infatti avvalersi di presunzioni semplici, ovvero di ragionamenti logici che, partendo da fatti noti (le violazioni edilizie), consentono al giudice di ritenere provato il fatto ignoto (il danno). Nel caso di specie, i proprietari dell’immobile grezzo avevano lamentato di non aver potuto completare la costruzione proprio a causa delle violazioni del vicino. Questo elemento è stato ritenuto sufficiente dalla Corte d’Appello per presumere l’esistenza di un danno concreto, consistente nella ridotta fruibilità e nel deprezzamento del valore della proprietà.

La gestione delle spese legali in caso di riforma parziale

Un altro motivo di ricorso riguardava la condanna alle spese legali. La società costruttrice, pur avendo ottenuto una riforma parziale della sentenza in appello (con una riduzione del risarcimento), era stata comunque condannata a pagare integralmente le spese del secondo grado e la statuizione sulle spese del primo grado era rimasta invariata. Su questo punto, la Cassazione ha dato ragione alla ricorrente, affermando un principio procedurale di grande importanza. Quando un giudice d’appello modifica, anche solo in parte, la decisione di primo grado, ha il dovere di procedere d’ufficio a una nuova regolamentazione delle spese processuali del primo giudizio. Questo perché la riforma della sentenza modifica l’equilibrio della soccombenza complessiva tra le parti.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha ritenuto inammissibili i motivi relativi alla prova del danno. Ha spiegato che la motivazione della Corte d’Appello, sebbene sintetica, era sufficiente e logicamente corretta. Presumere un danno dall’impossibilità di completare un edificio a causa di stillicidio e vedute illegittime del vicino è un ragionamento valido e non censurabile in sede di legittimità. La Corte ha ribadito che l’onere del danneggiato è quello di fornire al giudice gli elementi di fatto da cui desumere, anche in via presuntiva, l’esistenza e l’entità del pregiudizio.

Al contrario, la Corte ha accolto il motivo relativo alle spese legali. Ha censurato la decisione della Corte d’Appello per non aver riconsiderato le spese del primo grado dopo aver parzialmente riformato la sentenza. La riforma, infatti, determinando una diversa distribuzione della vittoria e della sconfitta tra le parti, imponeva una nuova valutazione complessiva della soccombenza, con effetti anche sulle spese del giudizio precedente.

Le conclusioni

Questa ordinanza offre due importanti spunti pratici. In primo luogo, conferma che per ottenere un risarcimento danno distanze non è più sufficiente provare solo la violazione, ma occorre dimostrare il pregiudizio concreto. Tale prova, tuttavia, può essere fornita anche attraverso presunzioni, allegando fatti specifici (come l’impossibilità di proseguire i lavori) che dimostrino una compromissione del diritto di proprietà. In secondo luogo, stabilisce un principio fondamentale in materia di spese di lite: la riforma parziale di una sentenza in appello comporta sempre la necessità per il giudice di ricalcolare le spese di entrambi i gradi di giudizio, per adeguarle all’esito finale della controversia.

È possibile chiedere un risarcimento danni per violazione delle distanze legali se il proprio immobile è ancora in costruzione?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che è possibile ottenere un risarcimento anche per un immobile allo stato grezzo, a condizione che il proprietario riesca a provare, anche tramite presunzioni, di aver subito un pregiudizio concreto, come ad esempio l’impossibilità di completare la costruzione a causa delle violazioni del vicino.

Il danno da violazione delle distanze tra edifici si presume automaticamente (in re ipsa)?
No. Secondo l’orientamento più recente della giurisprudenza, richiamato in questa ordinanza, il principio del danno ‘in re ipsa’ è stato superato. Il danneggiato ha l’onere di allegare e provare l’esistenza del danno, ma può farlo utilizzando presunzioni semplici, ovvero dimostrando fatti noti da cui il giudice può logicamente dedurre l’esistenza del pregiudizio.

Se una sentenza di primo grado viene modificata in appello, cosa succede alle spese legali di primo grado?
Se il giudice d’appello riforma, anche solo parzialmente, la sentenza di primo grado, è tenuto a provvedere d’ufficio a una nuova regolamentazione delle spese di lite del primo giudizio. Questo perché la modifica della decisione altera l’esito complessivo della lite e, di conseguenza, la valutazione sulla soccombenza delle parti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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