Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 32528 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 32528 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 14/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 16647-2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore, MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE in persona del Ministro pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domiciliano in ROMA, alla INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
FALZARANO NOME COGNOME NOME COGNOME NOME nella qualità di eredi di COGNOME NOME e COGNOME NOME, tutte elettivamente domiciliate in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentate e difese dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrenti –
Oggetto
Pubblico impiego –
retribuzione direttore
divisione di ruolo ad
esaurimento
R.G.N. 16647/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 10/10/2024
CC
avverso la sentenza n. 620/2021 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 23/03/2021 R.G.N. 901/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/10/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
La Corte d’Appello di Napoli, con la sentenza del 23 marzo 2021, ha rigettato l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate e dal Ministero dell’Economia e delle Finanze avverso la sentenza di primo grado del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, che aveva dichiarato il difetto di giurisdizione del Giudice Ordinario in merito al capo di domanda relativo al ricalcolo del trattamento pensionistico di reversibilità. La sentenza di primo grado condannava altresì l’Agenzia delle Entrate e il MEF al pagamento, in favore degli eredi di NOME COGNOME, delle differenze retributive tra quanto percepito dal de cuius come retribuzione complessiva per le funzioni di direttore di divisione del ruolo ad esaurimento (ex IX qualifica) e quanto gli sarebbe spettato come stipendio tabellare e retribuzione di posizione nella sua parte fissa, per il periodo compreso tra il 9 luglio 1999 e il 1 novembre 2000.
La Corte d’Appello ha premesso che il signor COGNOME, pur essendosi classificato prima al posto 359 e successivamente al posto 356 nella graduatoria del concorso per titoli e colloquio, definito con decreto del 30 marzo 1999 per il conferimento di 999 posti di dirigente amministrativo del Ministero delle Finanze, non aveva mai ottenuto l’assegnazione di funzioni dirigenziali fino alla data del suo collocamento in quiescenza, avvenuto il 1 novembre 2000, neppure attraverso distacchi presso gli uffici ce ntrali, l’Agenzia del Demanio o altre agenzie competenti.
Pertanto la Corte, sul rilievo dell’esistenza di un ‘interesse legittimo di diritto privato’ riconducibile alla categoria tutelata
dall’art. 2907 c.c., ha accertato che il de cuius aveva diritto al risarcimento del danno causato dal colpevole ritardo dell’Amministrazione nell’assegnazione delle funzioni dirigenziali, ritenendo che tale condotta violasse i canoni di correttezza e buona fede. Il danno subito, secondo la Corte, si configurava come una lesione alla professionalità del de cuius e una forzata inattività nell’ambito di mansioni corrispondenti alla qualifica rivestita.
Su tali basi ha ritenuto corretta la liquidazione del danno effettuata dal Tribunale, elaborata all’esito di un ragionamento presuntivo, confermando che le differenze retributive dovute coprivano adeguatamente il periodo in cui il de cuius non aveva potuto esercitare le funzioni corrispondenti alla qualifica dirigenziale acquisita.
Per la cassazione della predetta sentenza propongono ricorso l’Agenzia delle Entrate e del Territorio e il Ministero dell’E conomia e delle Finanze con cinque motivi, cui resistono con controricorso gli eredi; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli articoli 100, 112 c.p.c. e dell’art. 57 del D.Lgs. n. 300/1999 in cui la Corte di Appello sarebbe incorsa non pronunciandosi sul difetto di legittimazione passiva dell’Agenzia delle Entrate e del Territorio che sar ebbe estranea all’oggetto della controversia. Ed infatti, il contenzioso riguarda una procedura concorsuale di competenza del Ministero dell’Economia e delle Finanze, mentre l’Agenzia è stata istituita solo successivamente, il 1° gennaio 2001, e non ha avuto alcun ruolo nella vicenda, non avendo mai il COGNOME prestato
servizio presso la stessa (essendo stato collocato in quiescenza il 1° novembre 2000).
Inoltre, ai sensi dell’art. 57 del D.Lgs. n. 300/1999, l’Agenzia ha piena autonomia rispetto al Ministero, limitandosi a subire la vigilanza dello stesso, senza subentrare nei rapporti o nelle responsabilità pregresse del Ministero.
Con il secondo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., i ricorrenti lamentano violazione e/o falsa applicazione dell’art. 14 del CCNL del personale avente qualifica dirigenziale dipendente dal comparto Ministeri sottoscritto il 9 gennaio 1997; avrebbe errato la corte a conferire agli eredi del COGNOME il trattamento economico, poiché il rapporto di lavoro dirigenziale, ai sensi della normativa contrattuale, e il diritto al relativo trattamento, derivano solo dalla stipula di un contratto individuale.
Con il terzo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., i ricorrenti lamentano violazione e/o falsa applicazione degli articoli 2, comma 1, 5, comma 2, e 63, comma 1, del D.Lgs. 165/2001, 2907 e 2126 c.c., giacchè la disciplina del lavoro pubblico privatizzato attribuisce al datore di lavoro pubblico una potestà discrezionale nella gestione degli incarichi dirigenziali, limitando il riconoscimento di eventuali diritti economici solo alla fase successiva alla stipula del co ntratto e all’effettivo conferimento dell’incarico.
Con il quarto motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., i ricorrenti lamentano violazione e/o falsa applicazione dell’art. 28, comma 5, del D.Lgs. n. 29/1993, come modificato dal D.Lgs. n. 387/1998, e dell’art. 1, comma 5, del CCNL area dirigenza -biennio economico 2000/2001, norme non applicabili al concorso del 1993, 19, co. 10 d.lgs. 29/93 e 6 d.p.r. 150/99; pertanto avrebbe errato la corte poichè la retribuzione dirigenziale può essere riconosciuta solo dal
momento dell’effettivo conferimento dell’incarico e non retroattivamente.
Con il quinto motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 4 c.p.c., i ricorrenti lamentano violazione e/o falsa applicazione degli articoli 2697 e seguenti c.c., e 2727 c.c., nonché degli articoli 115 e 116 c.p.c. in cui sarebbe incorsa la corte riconoscendo il diritto al risarcimento in assenza di prova sufficiente del danno lamentato né del nesso causale con il mancato conferimento dell’incarico dirigenziale .
9. Il ricorso è infondato.
I ricorrenti deducono, come primo motivo di ricorso, la nullità della sentenza per violazione degli articoli 100 e 112 c.p.c., nonché per violazione e falsa applicazione dell’art. 57 del D.Lgs. n. 300/1999, censurando l’omessa pronuncia della Corte d’Appello sulla ques tione del difetto di legittimazione passiva dell’Agenzia delle Entrate e del Territorio. Essi sostengono che l’Agenzia sia del tutto estranea alla procedura concorsuale oggetto del giudizio, che sarebbe stata interamente gestita dal Ministero delle Finanze. Tale estraneità sarebbe ulteriormente confermata dal fatto che il lavoratore in questione non ha mai prestato servizio presso l’Agenzia, essendo stato collocato in quiescenza il 1° novembre 2000, ossia prima della sua istituzione, avvenuta il 1° gennaio 2001.
Tale doglianza è infondata. Pur dovendosi ammettere che vi sia stata un’omessa pronuncia su un capo specifico della domanda -circostanza che, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte (Cass. n. 20518/2008; Cass. n. 15430/2018; Cass. n. 2038/2019), non consente di ritenere implicita la reiezione della questione -è possibile per questa Corte decidere direttamente nel merito. Ciò in ossequio ai principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo sanciti dall’art. 111, secondo comma, Cost., e in applicazione di
un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 384 c.p.c. (Cass. n. 2313/2010; Cass. n. 21257/2014; Cass. n. 16171/2017; Cass. n. 23876/2018; Cass. n. 10999/2021).
Sul tema, in particolare, questa corte ha avuto modo di evidenziare come, in materia di pubblico impiego e di istituzione delle Agenzie fiscali, il D.lgs. 300/99 ha previsto il trasferimento delle funzioni e dei relativi rapporti giuridici attivi e passivi dalle strutture preesistenti alle nuove Agenzie, che sono entrate in funzione il 1° gennaio 2001. Tuttavia, tale trasferimento non ha comportato una successione nell’universalità dei rapporti, bensì un subentro limitato alle specifiche competenze e rapporti individuati dalla norma (Cass. 21809/13). Ne consegue che l’Agenzia delle Entrate è legittimata passivamente rispetto alle domande dei ricorrenti riguardanti il periodo antecedente al 1° gennaio 2001, trattandosi di un’ipotesi di successione a titolo particolare nel diritto controverso, ai sensi dell’art. 111 c.p.c.
I successivi secondo, terzo, quarto e quinto motivo, riguardanti presunte violazioni contrattuali e legislative in materia di trattamento economico dei dirigenti pubblici, possono essere esaminati congiuntamente, poiché tutti convergono sul medesimo tema del mancato conferimento dell’incarico dirigenziale al de cuius.
I ricorrenti contestano la violazione e falsa applicazione dell’art. 14 del CCNL del personale dirigenziale e delle disposizioni del D.Lgs. 165/01, sostenendo che il lavoratore avesse diritto alle differenze retributive anche in assenza del conferimento di un incarico dirigenziale e lamentano l’errata applicazione retroattiva dell’art. 28 del D.Lgs. 29/ 93.
Tuttavia, questa Corte ha già affermato che, in tema di pubblico impiego contrattualizzato, al dipendente vincitore di concorso per dirigente spetta la differenza tra il trattamento economico fisso previsto dal contratto collettivo e quello effettivamente
percepito, ma escludendo la retribuzione accessoria (come la retribuzione di posizione), che è invece correlata all’effettivo svolgimento delle funzioni dirigenziali e all’assunzione delle connesse responsabilità (Cass. 9807/12; Cass. 22835/14; Cass. 13121/15; Cass. 5283/18). Tale principio è stato enunciato con riferimento a fattispecie sovrapponibili a quella dedotta in giudizio, relativa al concorso indetto con D.M. 19 gennaio 1993 ed alla graduatoria approvata il 9 luglio 1999, sul rilievo della applicabilità, ai vincitori del detto concorso per dirigenti, inseriti nell’allora ruolo unico della dirigenza, del D.Lgs. n. 387 del 1998, art. 28, comma 5, poi integralmente riprodotto nel corrispondente articolo del D.Lgs. n. 165 del 2001 (Cass. 9807/2012; Cass. 22835/2014; Cass. 13121/2015; Cass. 5283/18; Cass. 21973/18) La decisione della Corte di appello risulta conforme ai suddetti principi.
Infine, riguardo alla prova del danno derivante dal mancato conferimento dell’incarico dirigenziale, è stato ribadito che in tema di inadempimento contrattuale, il creditore deve provare solo la fonte del suo diritto e l’inadempimento della controparte, mentre è il debitore a dover dimostrare l’avvenuto adempimento (Cass. 1743/07; Cass. 15677/09). Nel caso di specie, la Corte d’Appello ha correttamente applicato i principi probatori, escludendo le componenti retributive accessorie (quali la retribuzione di risultato e quella di posizione variabile), in quanto non correlate all’effettivo esercizio delle funzioni dirigenziali.
Il ricorso deve essere quindi rigettato con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, da distrarsi in favore del difensore dei controricorrenti, come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge, in favore del difensore dei controricorrenti, per dichiarato anticipo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio, il 10 ottobre 2024