Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 7331 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 7331 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 01876/2024 R.G., proposto da
Presidenza del Consiglio dei Ministri , in persona del Presidente del Consiglio pro tempore ; domiciliata ex lege in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato (pec: EMAIL), da cui è difesa ope legis ;
-ricorrente –
nei confronti di
NOME COGNOME rappresentato e difes o dall’Avv. NOME COGNOME (pec: avvEMAIL), in virtù di procura allegata al controricorso;
-controricorrente – per la cassazione della sentenza n. 2302/2023 della CORTE d ‘ APPELLO di BOLOGNA, depositata il 20 novembre 2023;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 16 gennaio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con ricorso ex art. 702bis cod. proc. civ. del 25 maggio 2016 NOME COGNOME convenne la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente pro tempore , dinanzi al Tribunale di Bologna, chiedendone la condanna al risarcimento del danno per mancato recepimento della Direttiva 2004/80/CE, che impone agli Stati membri, con riguardo ai cittadini dell’Unione Europea e con riferimento ai fatti verificatisi nei rispettivi territori, di riconoscere alle vittime di reati intenzionali violenti un indennizzo «equo» e «adeguato».
Espose che, in data 21 novembre 2009, suo padre, NOME COGNOME, era stato assassinato con un colpo di pistola alla testa e che il suo assassino, NOME COGNOME condannato in sede penale per questo omicidio, non aveva adempiuto all’obbligo di pagamento della provvisionale risarcitoria a lui attribuita in qualità di parte civile, essendo sprovvisto di disponibilità economica.
La domanda, rigettata dal Tribunale, è stata accolta dalla Corte d’appello di Bologna, la quale ha condannato la Presidenza del Consiglio dei Ministri a pagare a NOME COGNOME la somma di Euro 50.000, oltre rivalutazione monetaria, calcolata dalla data di scadenza del termine per la trasposizione della Direttiva 2004/80/CE (1° luglio 2005), oltre agli interessi legali da computarsi sulla predetta somma via via rivalutata sino al saldo.
Propone ricorso per cassazione la Presidenza del Consiglio dei Ministri, sulla base di un unico motivo.
Con esso -deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 1223 cod. civ. e dell’art. 100 cod. proc. civ. -l’amministrazione statale ricorrente lamenta che il diritto alla rivalutazione monetaria sia stato riconosciuto con decorrenza dalla data di scadenza del termine per la trasposizione della Direttiva 2004/80/CE (1° luglio 2005), anziché dalla
data del fatto dannoso, ovverosia dell’evento lesivo omicidiario posto in essere in danno del congiunto dell’attore, attuale controricorrente.
Osserva, per un verso, che solo in tale momento sarebbe sorto in capo all’attore medesimo il diritto di credito al risarcimento del danno , trattandosi di diritto subordinato al possesso dello status di vittima di un reato intenzionale violento o di congiunto superstite della stessa, ai sensi dell’art.11 , comma 2bis , della legge n. 122 del 2016; sostiene, per altro verso, che , prima dell’acquisto di tale status (acquisto avvenuto, appunto, a seguito dell’evento omicidiario), il controricorrente (originario attore) non avrebbe potuto ammissibilmente esercitare l’azione risarcitoria per mancanza di interesse ad agire.
NOME COGNOME risponde con controricorso, riconoscendo la fondatezza del motivo di ricorso, ma precisando, tuttavia, che la data dell’evento omicidiario (a far tempo dalla quale dovrebbe essere riconosciuta la rivalutazione monetaria) non è quella -erroneamente indicata nel ricorso della Presidenza del Consiglio dei Ministri -del 21 novembre 2019, bensì quella del 21 novembre 2009.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ..
Il pubblico ministero non ha depositato conclusioni scritte.
Non sono state depositate memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Al fine di delibare il motivo di ricorso proposto, giova ricordare i principi, ormai consolidatisi, affermati da questa Corte con riguardo al tema della responsabilità dello Stato italiano, quale membro dell’Unione europea , per omesso, intempestivo e/o incompleto
recepimento nell’ordinamento interno della Direttiva 2004/80/CE, relativa ai diritti delle vittime di reati intenzionali violenti.
Questi principi sono stati enunciati a seguito di un intenso dialogo con la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la quale dopo essersi pronunciata al riguardo con la sentenza 11 ottobre 2016, in C-601/14 (a conclusione della procedura di infrazione promossa dalla Commissione europea in data 22 dicembre 2014, per omessa adozione di tutte le misure necessarie al fine di garantire l’esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di tutti i reati intenzionali violenti commessi sul territorio dello Stato, ai sensi de ll’ art.12, par.2, della Direttiva 2004/80/CE), nonch é con l’ordinanza presidenziale 28 febbraio 2017 (a seguito di rinuncia al rinvio pregiudiziale operato dal Tribunale di Roma, con ordinanza del 24 marzo 2015, sull’interpretazione dell o stesso art.12, par.2, della Direttiva) -è stata adìta, nuovamente in via pregiudiziale, direttamente da questa Corte, con ordinanza 31 gennaio 2019, n. 2964, sui quesiti della configurabilità della responsabilità dello Stato membro anche nei confronti di soggetti non transfrontalieri, nonché della possibilità di reputare «equo» e «adeguato» l’indennizzo per le vittime di reati intenzionali violenti stabilito in misura fissa dal d.m. 31 agosto 2017, attuativo della legge 7 luglio 2016, n. 122; il giudizio di rinvio pregiudiziale è stato definito dalla Corte di Giustizia con sentenza 16 luglio 2020, in C-129/19.
All’esito di questa pronuncia e tenuto conto altresì dei criteri fondamentali già affermati dalla stessa Corte di Giustizia sul tema più generale della responsabilità degli Stati membri o delle istituzioni comunitarie verso singoli cittadini per violazione del diritto dell’ Unione Europea (la quale, come è noto, postula l’integrazione delle tre
fondamentali condizioni: che la norma giuridica oggetto della violazione sia preordinata a conferire diritti a singoli; che lo Stato membro o l’istituzione comunitaria abbiano compiuto una violazione manifesta e grave dei limiti posti al loro potere discrezionale; che esista un nesso causale diretto tra la violazione e il danno subìto dal singolo: tra le altre, sentenze 19 novembre 1991, COGNOME e a., in C-6/90 e C9/90; 5 marzo 1996, RAGIONE_SOCIALE , in Cause riunite C-46/93 e C-48/93; 30 settembre 2003, Köbler , in C-224/01; 15 novembre 2016, Ullens de Schooten , in C-268/15) -questa Corte ha, dunque, affermato (Cass., Sez. 3, 24/11/2020, n. 26757) -e già reiteratamente ribadito (Cass., Sez. 3, 29/09/2021, n. 26302; Cass. 11/05/2022, n. 14954; Cass. 27/07/2022, nn. 23413 e 23414, non mass.) -i seguenti principi:
a) occorre tenere distinte la pretesa azionata in giudizio avente ad oggetto il risarcimento del danno p er l’ inadempimento statuale all’obbligo di trasposizione tempestiva del diritto dell’Unione ( derivante dall’ art. 12, par. 2, della Direttiva 2004/80/CE), da quella avente ad oggetto il conseguimento, in base al diritto nazionale, dell’ indennizzo previsto dall’art.11 della legge 7 luglio 2016, n. 122 ( legge emanata a seguito della procedura di infrazione, poi definita con la sentenza della Corte di Giustizia 11 ottobre 2016), la cui applicabilità è stata retroattivamente estesa a tutti i reati intenzionali violenti commessi successivamente al 30 giugno 2005 (data di scadenza del termine per il recepimento della Direttiva) con legge 20 novembre 2017, n. 167. Si è, infatti, chiarito, al riguardo, che si tratta di domande aventi ad oggetto distinte causae petendi e distinti petita , in quanto la seconda riguarda una prestazione indennitaria stabilita dalla legge come effetto dell’ attuazione di obblighi derivanti dalla partecipazione dello Stato
all’ Unione Europea (ed ha, pertanto, ad oggetto l’adempimento di una obbligazione ex lege , da assolversi nei confronti degli aventi diritto, individuati dalla stessa disciplina di fonte legale, che prescinde dalla ricorrenza degli elementi costitutivi dell’ illecito, il quale, nel sistema della responsabilità civile, sia di fonte contrattuale che aquiliana, si pone come indefettibile presupposto per la liquidazione del danno, ossia delle conseguenze pregiudizievoli da esso scaturenti); la prima, invece, concerne il diritto al risarcimento dei danni per omessa o tardiva trasposizione di una Direttiva non autoesecutiva da parte del legislatore italiano nel termine prescritto dalla Direttiva stessa (ed ha, pertanto, ad oggetto l’accertamento di una obbligazione risarcitoria nascente da una fattispecie di responsabilità per inadempimento dell’ obbligazione ex lege dello Stato; responsabilità che, in ragione della natura antigiuridica del comportamento omissivo dello Stato stesso anche sul piano dell’ ordinamento interno, nonché della necessità di ricondurre ogni obbligazione nell’ ambito della ripartizione di cui all’ art. 1173 cod. civ., deve essere inquadrata nella figura della responsabilità contrattuale, in quanto nascente non dal fatto illecito di cui all’ art. 2043 cod. civ., bensì da un illecito ex contractu , e cioè dall’inadempimento di un rapporto obbligatorio preesistente);
b) avuto riguardo ai dicta contenuti nelle sentenze della Corte di Giustizia 11 ottobre 2016, in C-601/14, e 16 luglio 2020, in C-129/19, deve ritenersi che l’art.12, par. 2 , della Direttiva 2004/80/CE imponga ad ogni Stato membro di dotarsi di un sistema di indennizzo che comprenda tutte le vittime di qualsiasi reato intenzionale violento commesso nel suo territorio, non assumendo rilievo né il dato oggettivo relativo alla natura o alla tipologia dei reati (sicché non può ritenersi adempiente lo Stato che attribuisca il diritto di indennizzo solo in
relazione a talune specie di reati, come ad es., quelli posti in essere nell’esercizio di attività di terrorismo, estorsione od usura, o nell’ambito di criminalità organizzata) né il dato soggettivo relativo alla residenza o meno delle vittime nello Stato in cui il reato viene commesso (sicché l’accesso all’indennizzo non può essere circoscritto ai soggetti che versano in una situazione transfrontaliera);
c) la portata soggettivamente estensiva dell ‘ art. 12, par. 2, (ovverosia la sua applicabilità anche in favore delle vittime residenti nello Stato membro in cui il reato è stato commesso) deve essere desunta da una interpretazione piana e diretta (senza altre mediazioni volte a dissipare incertezze interpretative, non altrimenti palesate) della sola Direttiva 2004/80/CE, di per sé ritenuta, ab origine , fonte chiaramente orientata a conferire anche alle vittime non transfrontaliere la tutela indennitaria da essa contemplata; pertanto, non solo l’art.12, par.2, della Direttiva integra una norma preordinata a conferire un diritto anche alle persone stabilmente residenti nel territorio dello Stato membro, ma, inoltre, la mancata tempestiva trasposizione di essa nell’ordinamento interno costituisce una violazione grave e manifesta dell’ ordinamento europeo, non sussistendo al riguardo un potere discrezionale del singolo Stato né un precedente ‘diritto vivente unionale ‘ in contrasto con questa soluzione interpretativa;
d) il diritto al risarcimento verso lo Stato non postula l’ impossibilità ma solo l’ obiettiva difficoltà di conseguire il risarcimento dal responsabile del reato: la disciplina recata dalla Direttiva trova infatti il proprio fondamento nella necessità di ovviare, attraverso il sistema indennitario da essa contemplato, alle oggettive « difficoltà » (e non all ‘ impossibilità ) che la vittima di reato intenzionale violento può
incontrare nel conseguire il ristoro del danno patito, in conseguenza di fattori diversi attinenti alla persona del responsabile, allorché -come previsto dal Considerando 10 della Direttiva medesima -il reo sia privo di risorse economiche sufficienti per ottemperare alla condanna al risarcimento, oppure non sia stato individuato o non sia stato perseguito; l a circostanza che, ai fini della concessione dell’indennizzo ex lege , l’art.12 della legge n. 122 del 2016 (come modificato dall’art.6 della legge n. 167 del 2017) richieda che la vittima abbia già esperito infruttuosamente l’ azione esecutiva verso l’autore del reato ( salvo che questi sia rimasto ignoto o sia stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato), al fine di ottenere l’ ottemperanza alla condanna contenuta nella sentenza irrevocabile o disposta con provvisionale, non assume rilevanza ai fini dell’azionabilità del diverso diritto al ri sarcimento del danno per omessa, incompleta o tardiva trasposizione della Direttiva eurounitaria nell’ordinamento interno , stante la diversità di oggetto e di titolo tra le due domande; l ‘ azione risarcitoria verso lo Stato, pertanto, non è subordinata alla preventiva escussione del responsabile del reato;
quando viene proposta la domanda risarcitoria, il parametro per determinare il danno risarcibile è costituito anzitutto dalla misura dell’indennizzo che la vittima avrebbe avuto ab origine come bene della vita garantito dall’obbligo di conformazione del diritto nazionale alla Direttiva non tempestivamente attuata, in quanto è la relativa perdita che si manifesta come conseguenza dell’illecito contrattuale ascrivibile allo Stato. Tuttavia, i l danneggiato può dimostrare l’esistenza di perdite supplementari patite per il fatto di non aver potuto usufruire, nel momento previsto, dei vantaggi pecuniari garantiti dalla Direttiva: ciò, in quanto il risarcimento, a differenza dell’indennizzo, deve
determinarsi in base al criterio del ‘danno effettivo’, e cioè deve tener conto di tutti gli effetti pregiudizievoli (perdita subìta e mancato guadagno) che siano conseguenza dell’illecito (art.1223 c od. civ.) e, anche quando venga liquidato in via equitativa per non essere possibile dimostrare il danno nel suo preciso ammontare (art.1226 cod. civ.), deve tendere al ristoro integrale dello stesso;
f) d ‘altra parte, l’indennizzo, pur essendo la risultanza di un intervento conformativo rimesso alla discrezionalità del legislatore che trova fondamento nell’esigenza di interesse generale di garantire un ristoro, altrimenti non conseguibile, alle vittime di crimini che investono l’integrità e la dignità della persona (e pur non postulando, in ragione di tale suo fondamento, l’integrale riparazione delle conseguenze pregiudizievoli dell’illecito), deve nondimeno ess ere « equo e adeguato » in relazione alle lesioni subìte dalle vittime (Art.12, par.2, Direttiva 2004/80/CE; nello stesso senso il Considerando 6 della Direttiva medesima). Avuto riguardo alle statuizioni contenute nella sentenza 16 luglio 2020 della Corte di Giustizia, i parametri di «equità» e «adeguatezza», al rispetto dei quali deve essere orientata la discrezionalità del legislatore interno nella determinazione dell’indennizzo, se, per un verso, non pongono la necessità che esso garantisca, al pari del risarcimento, il completo ristoro del danno morale e materiale subìto dalla vittima, per altro verso escludono che possa essere puramente simbolico o insufficiente, in relazione al reato e alle sue conseguenze, dovendo comunque compensare, in misura appropriata, le sofferenze a cui le vittime sono state esposte; si è ulteriormente precisato, al riguardo, che il criterio dell’«equità» richiede che, nella determinazione dell’ammontare dell’indennizzo, si consideri anzitutto, in termini generali, la gravità intrinseca del reato,
ponendo le vittime, in ragione della loro uguale dignità, in una situazione di tendenziale parità di trattamento ; mentre il criterio dell’«adeguatezza» impone di individuare parametri di personalizzazione che consentano di quantificare l’importo definitivo dell’indennizzo (eventualmente all’interno di un massimale predefinito), tenendo conto delle circostanze, soggettive ed oggettive, del concreto accadimento criminoso violento; dunque, sebbene risarcimento e indennizzo si differenzino concettualmente e giuridicamente, quali distinti oggetti di due diversi diritti e distinti petita di due diverse domande (il primo da ancorare al danno effettivo , il secondo alla garanzia di un ristoro della dignità e integrità della vittima), tuttavia, nel loro concreto ammontare, tendono ad avvicinarsi, perché anche l’indennizzo, sebbene non debba necessariamente garantire un ristoro completo del danno, deve com unque rispondere ai criteri dell’equità e dell’adeguatezza;
g) in ogni caso, dall’ammontare riconosciuto a titolo di risarcimento del danno per omessa, incompleta o tardiva trasposizione dell’art. 12, par. 2, delle Direttiva 2004/80/CE deve essere detratta la somma eventualmente corrisposta quale indennizzo ai sensi della legge n. 122 del 2016 (e successive modifiche), in applicazione della regola generale della compensatio lucri cum damno ; l’operatività di questa regola, nella fattispecie, trova fondamento nel rilievo che un unico soggetto, sulla base di titoli differenti, è tenuto sia al risarcimento del danno che alla corresponsione, in favore dello stesso danneggiato, di una provvidenza indennitaria, la quale, ove effettivamente erogata, va ‘diffalcata’ dall’ammontare del risarcimento , in quanto avente una «cospirante finalità compensativa» (Cass., Sez. U, 22/05/2018, nn.12564, 12565, 12566, 12567).
2. In applicazione degli illustrati principi -cui il Collegio intende senz’altro dare ulteriore continuità il ricorso proposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri deve reputarsi fondato, nei termini che si vanno a precisare, in quanto nella fattispecie è stata azionata in giudizio la pretesa avente ad oggetto il risarcimento del danno per l’inadempimento statuale all’obbligo di trasposizione tempestiva del diritto dell’Unione , derivante dall’art. 12, par. 2, della Direttiva 2004/80/CE; diritto soggettivo che, appunto, postula (quale situazione giuridica soggettivapresupposto ) lo status di vittima di un reato intenzionale violento o di congiunto superstite della stessa (art. 11 legge n. 122 del 2016) e che pertanto, sorge, in relazione ad ogni singola fatt ispecie, nel momento in cui, con il verificarsi dell’evento lesivo, tale status viene effettivamente acquistato.
La pretesa risarcitoria, avendo natura di debito di valore, deve essere annualmente rivalutata, secondo gli indici Istat, con decorrenza dal giorno del fatto dannoso (e non già dalla precedente data di scadenza del termine di trasposizione della Direttiva) sino al giorno in cui, con la liquidazione, si converte in debito di valuta, come tale non più soggetto a rivalutazione (v., in generale, Cass., Sez. Un., 17/02/1995, n.1712; successivamente, Cass. 18/07/2011, n. 15709; Cass. 17/09/2015, n. 18243).
Con riguardo alla specifica fattispecie in esame, va però precisato -conformemente al rilievo formulato dal controricorrente -che il giorno del fatto dannoso -e, dunque, la data di decorrenza della rivalutazione dell’importo spettante a titolo risarcitorio -va individuato nel 21 novembre 2009, essendo erronea la diversa indicazione contenuta in ricorso.
In questi termini il ricorso va accolto, con conseguente cassazione della sentenza impugnata, circoscritta alla specifica statuizione relativa all’individuazione del termine di decorrenza della rivalutazione monetaria della somma con essa liquidata.
Poiché non sono necessari ulteriori accertamenti in fatto (art.384, secondo comma, cod. proc. civ.), questa Corte può decidere la causa nel merito, statuendo che la somma di Euro 50.000,00, attribuita a NOME COGNOME quale congiunto superstite di vittima di un reato intenzionale violento, a titolo di risarcimento del danno per l’inadempimento statuale all’obbligo di trasposizione tempestiva della Direttiva 2004/80/CE), deve essere annualmente rivalutata, secondo gli indici Istat, dal giorno 21 novembre 2009 sino alla data di pubblicazione della sentenza di merito impugnata e deve essere accresciuta degli interessi, nella misura legale, da calcolarsi sulla somma capitale annualmente rivalutata sino al saldo.
Le spese dei due gradi di merito restano regolate secondo la statuizione contenuta nella sentenza impugnata, non interessata dalla cassazione.
Quelle del giudizio di legittimità vanno compensate tra le parti, in ragione della circostanza che il controricorrente non ha resistito al ricorso ma si è limitato ad evidenziare l’errore in esso contenuto in ordine alla data dell’evento dannoso.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa in relazione la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, statuisce che la somma di Euro 50.000,00, liquidata a favore di NOME COGNOME quale congiunto superstite di vittima di un reato intenzionale violento, a titolo di risarcimento del danno per l’inadempimento statuale all’obbligo di
trasposizione tempestiva della Direttiva 2004/80/CE, va annualmente rivalutata, secondo gli indici Istat, dal giorno 21 novembre 2009 sino alla data di pubblicazione della sentenza di merito impugnata e va accresciuta degli interessi, nella misura legale, da calcolarsi sulla somma capitale annualmente rivalutata sino al saldo.
Compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile il