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Risarcimento danno direttiva: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione si è pronunciata sul caso di un risarcimento danno direttiva, dovuto dallo Stato per la mancata attuazione di una normativa europea a tutela delle vittime di reati violenti. L’ordinanza chiarisce un importante principio processuale: se in appello non viene specificamente contestato l’ammontare (quantum) del risarcimento stabilito in primo grado, tale punto non può essere sollevato per la prima volta in Cassazione. La Corte ha quindi rigettato il ricorso dello Stato, non per una valutazione nel merito della quantificazione del danno, ma perché il motivo del ricorso verteva su una questione estranea al perimetro del giudizio di appello, confermando così la condanna.

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Pubblicato il 12 novembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Risarcimento danno direttiva: L’Importanza di Impugnare il Quantum in Appello

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha affrontato un caso significativo riguardante il risarcimento danno direttiva, ovvero la responsabilità dello Stato per la mancata o non corretta attuazione di una direttiva dell’Unione Europea. La vicenda, che vede contrapposti i familiari di una vittima di un reato violento e la Presidenza del Consiglio dei Ministri, si conclude con una lezione fondamentale di procedura civile: i motivi di appello devono essere specifici e completi, altrimenti si rischia di perdere la possibilità di contestare aspetti cruciali della sentenza.

I Fatti del Caso: La Richiesta di Risarcimento Contro lo Stato

La vicenda trae origine da un tragico evento di cronaca: un omicidio preterintenzionale. I familiari della vittima, dopo aver ottenuto una condanna penale a carico dell’autrice del reato, si sono trovati nell’impossibilità di ottenere da quest’ultima il risarcimento del danno, poiché insolvente. Di conseguenza, hanno agito in giudizio contro lo Stato italiano, chiedendo il risarcimento per la non corretta e integrale attuazione della direttiva europea 2004/80/CE, che impone agli Stati membri di garantire un indennizzo equo e adeguato alle vittime di reati intenzionali violenti, anche quando il colpevole non può risarcirle.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno dato ragione ai familiari, condannando lo Stato a versare somme equivalenti a quelle liquidate nel processo penale a titolo di danno. La Presidenza del Consiglio dei Ministri ha quindi proposto ricorso per cassazione.

Il ricorso dello Stato e la quantificazione del danno

Nel suo ricorso, l’Amministrazione statale ha sostenuto un punto cruciale: la sua responsabilità non deriva direttamente dal reato (responsabilità aquiliana), ma dall’inadempimento di un obbligo di legge, cioè attuare la direttiva (responsabilità ex lege). Secondo questa tesi, l’indennizzo dovuto dallo Stato non dovrebbe automaticamente coincidere con l’integrale risarcimento del danno causato dal reato, ma dovrebbe essere quantificato secondo parametri diversi, potenzialmente inferiori. Lo Stato ha lamentato che i giudici di merito avessero erroneamente equiparato le due forme di responsabilità, condannandolo come se fosse il diretto responsabile del crimine.

Le Motivazioni: Il Principio ‘Tantum Devolutum Quantum Appellatum’

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ma basando la sua decisione su un aspetto puramente processuale, senza entrare nel merito della distinzione tra indennizzo e risarcimento. I giudici hanno rilevato che, nel giudizio di appello, la Presidenza del Consiglio dei Ministri non aveva mai specificamente contestato il quantum, ovvero l’ammontare del risarcimento liquidato dal Tribunale. I motivi di appello si concentravano esclusivamente sull’an, cioè sull’esistenza stessa della responsabilità dello Stato.

La Corte ha applicato il principio fondamentale del processo civile noto come ‘tantum devolutum quantum appellatum’. Questo canone stabilisce che il giudice di secondo grado può esaminare e decidere solo sulle parti della sentenza di primo grado che sono state oggetto di specifica impugnazione. Se una parte della sentenza, come la quantificazione del danno, non viene contestata con un motivo di appello, essa passa in giudicato e non può più essere messa in discussione.

Di conseguenza, la Corte d’Appello non aveva il potere (né il dovere) di riesaminare l’importo del risarcimento. Poiché la questione del quantum era rimasta estranea al perimetro del giudizio di appello, la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il motivo di ricorso che la sollevava per la prima volta in quella sede. In sostanza, lo Stato non poteva lamentarsi in Cassazione di un errore che non aveva sottoposto al giudice d’appello.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa ordinanza offre un’importante lezione pratica. Quando si impugna una sentenza di condanna, non è sufficiente contestare genericamente la responsabilità. Se si ritiene errata anche la quantificazione del danno, è indispensabile formulare un motivo di appello specifico e dettagliato su quel punto. Omettere tale contestazione significa, di fatto, accettare la somma liquidata dal primo giudice, precludendosi ogni possibilità di ridiscuterla nelle fasi successive del giudizio. La decisione sottolinea la necessità di una strategia processuale attenta e completa sin dal primo atto di impugnazione, per evitare che questioni potenzialmente fondate vengano respinte per ragioni puramente procedurali.

Lo Stato è responsabile se non attua correttamente una direttiva europea a tutela delle vittime di reato?
Sì, la sentenza conferma il principio secondo cui lo Stato è tenuto a risarcire i danni derivanti dalla mancata o non corretta attuazione di una direttiva comunitaria, come quella che prevede un indennizzo per le vittime di reati violenti.

Se in appello si contesta solo l’esistenza della responsabilità, si può contestare l’importo del risarcimento in Cassazione?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che se l’ammontare (quantum) del risarcimento non è oggetto di uno specifico motivo di appello, quella parte della sentenza di primo grado diventa definitiva. La questione non può quindi essere sollevata per la prima volta nel giudizio di legittimità.

L’indennizzo dovuto dallo Stato deve essere necessariamente uguale al danno causato dal colpevole del reato?
La Corte non si è pronunciata su questo punto sostanziale. Ha rigettato il ricorso per motivi procedurali, poiché la parte ricorrente non aveva sollevato la questione della quantificazione del danno nel giudizio d’appello. Pertanto, la questione sulla differenza tra indennizzo statale e risarcimento del danno rimane non decisa nel caso specifico.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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