Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 11026 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 11026 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10360/2022 R.G. proposto da :
NOME COGNOME, domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE e COGNOME (CODICE_FISCALE, con domiciliazione digitale legale
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE e COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, con domiciliazione digitale legale
-controricorrente-
nonché
NOME COGNOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE e COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, con domiciliazione digitale legale
–
contro
ricorrente e ricorrente incidentale – avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di PALERMO n. 1644/2021 depositata il 15/10/2021;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9/1/2025 dal Consigliere NOME COGNOME:
Rilevato che:
NOME COGNOME conveniva davanti al Tribunale di Palermo NOME COGNOME direttore di ‘Giornale di Sicilia’ – e NOME COGNOME -giornalista del quotidiano -per ottenerne il risarcimento del danno per diffamazione che avrebbe subito in un articolo del COGNOME pubblicato su tale quotidiano il 29 marzo 2012. I convenuti si costituivano, resistendo. Con sentenza n. 452/2017 il Tribunale rigettava la domanda.
La COGNOME proponeva appello, cui resistevano le controparti. Con sentenza n. 1644/2021 la Corte d’appello di Palermo accoglieva in parte il gravame: confermava il difetto di legittimazione passiva dell’COGNOME, non essendo direttore responsabile, e accoglieva invece l’impugnazione nei confronti del COGNOME, per avere egli nell’articolo affermato che il Tribunale del riesame aveva attribuito
all’appellante gravi indizi per il reato di corruzione, mentre al contrario il Tribunale li aveva espressamente esclusi; lo condannava quindi a risarcire, per il ‘disvalore sociale’ così attribuito all’appellante, il danno equitativamente determinato in euro 10.000, oltre interessi legali dalla pronuncia al saldo.
La COGNOME ha presentato ricorso principale, da cui il COGNOME si è difeso con controricorso, veicolante pure ricorso incidentale; si è difeso con controricorso anche l’Ardizzone. Sia il COGNOME sia l’Ardizzone hanno depositato memorie.
Considerato che:
Il primo motivo del ricorso principale denuncia violazione, falsa applicazione ed errata interpretazione degli articoli 57 e 595 c.p.
1.1 Si osserva che il giudice d’appello disattende il motivo del gravame relativo alla legittimazione passiva dell’Ardizzone perché ‘non spende alcun argomento per censurare le ragioni poste dal giudice a fondamento della decisione, limitandosi a dare atto di una giurisprudenza di legittimità non univoca’.
Richiamata giurisprudenza in tema, la ricorrente svolge argomenti in ordine alla responsabilità di cui all’articolo 57 c.p., così prendendo le mosse: ‘L’appellante si duole della decisione ecc.’ (ricorso, pagina 21), poco oltre aggiungendo: ‘Sul punto, infatti, come già dedotto in primo grado ecc.’.
1.2 Il motivo è palesemente inammissibile: invece di censurare l’inammissibilità del motivo d’appello dichiarata dalla Corte territoriale, si dipana in argomentazioni relative alla responsabilità del direttore della pubblicazione, non consentendo di conoscere come aveva argomentato al riguardo nell’atto d’appello l’attuale ricorrente; né tantomeno viene indicato nella premessa, dove, sul contenuto dell’atto d’appello, sono riportati soltanto i titoli di due
motivi (per il primo ‘errata pronuncia di difetto di legittimazione passiva di Ardizzone Antonio’: ricorso, pagina 20).
Il secondo motivo del ricorso principale denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. nonché 2697 c.c., e altresì violazione e falsa applicazione degli articoli 2043 c.c. e 132, secondo comma, n.4 c.p.c. ‘sotto il profilo della mancanza di motivazione’.
2.1.1 In primis , si riconosce (ricorso, pagina 26) che il giudice d’appello, ‘sotto il profilo di erroneità della notizia pubblicata’, ha accolto ‘la doglianza sub a)’, cioè la doglianza d’appello al riguardo, la quale aveva dedotto che il Tribunale del riesame ‘aveva espressamente escluso i gravi indizi di colpevolezza per il delitto di corruzione’ (così la sentenza impugnata, pagina 4 e poi pagine 5-6).
Si lamenta inoltre (ricorso, pagina 28) che la sentenza non abbia accolto ‘la censura sub b’ – sempre relativa alla imputazione di corruzione , argomentando poi sulla ‘assoluta erroneità della ricostruzione giornalistica’ della vicenda, sulla posizione assunta dal gip e sulla successiva sequenza impugnatoria della cautela (vale a dire attraverso il Tribunale della libertà di Palermo, la Corte di Cassazione, che annullò con rinvio, e ancora il Tribunale della libertà, che negò infine ogni cautela) nonché sulla completa assoluzione pronunciata nel 2014 dalla Corte d’appello di Palermo in riforma della sentenza del gup, trascrivendo pure l’articolo ‘diffamatorio’ (ricorso, pagine 29 -32), concludendo con l’attribuzione al giudice d’appello della violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. e così insistendo ‘nella responsabilità sia dell’articolista sia del direttore … per le notizie non vere riportate nell’articolo di stampa del 29 marzo 2012’.
2.1.2 Non si comprende quale sia l’interesse che sorregge questa censura – comunque qualificabile come primo submotivo – poiché il giudice d’appello ha riconosciuto l’illecito come commesso
dall’articolista; quanto poi alla responsabilità del direttore COGNOME, la questione è già stata risolta con la dichiarazione del difetto di legittimazione, in relazione al quale il primo motivo del ricorso si è mostrato inammissibile.
2.2.1 In secondo luogo, nelle pagine 38 e s. del ricorso si deduce un ulteriore submotivo: si lamenta, cioè, che sarebbe stato ‘esiguo liquidare nella misura di euro 10.000,00’ il danno non patrimoniale di lesione alla reputazione personale e professionale, invocando gli articoli 2 e 3 Cost. sugli ‘aspetti positivi dei diritti della personalità’ ivi garantiti; e in seguito ‘si invoca il diritto dell’attrice al risarcimento del danno alla salute’, avendo ‘riportato una grave forma di depressione psico -fisica’ per cui sarebbe stata richiesta una consulenza tecnica d’ufficio, però non disposta.
Il giudice d’appello avrebbe pertanto ‘omesso di valutare i vari profili di danno lamentati’.
2.2.2 Questa censura si appalesa del tutto generica e ictu oculi anche fattuale.
È poi vero -si nota ad abundantiam -che l’attuale ricorrente aveva chiesto pure il risarcimento del danno alla salute (si vedano la pagina 7 e la pagina 18 del ricorso); la ricorrente stessa, tuttavia, non indica (pagina 20) di averne fatto riferimento nell’atto d’appello, ove riporta soltanto che avrebbe chiesto ‘l’accoglimento delle proprie domande’.
La Corte territoriale non esamina, effettivamente, il danno alla salute, ma la genericità evidenziata non consente di vagliare l’attuale relativa censura.
Il ricorso principale va dunque rigettato.
Il ricorso incidentale del Marannano è composto di tre motivi.
3.1.1 Il primo denuncia, in riferimento all’articolo 360, primo comma, n. 5 c.p.c., omesso esame di fatto discusso e decisivo: il giudice d’appello avrebbe inteso ‘contestazione’ (del reato di corruzione) nell’articolo come attribuzione di un elemento in senso
di fondatezza della imputazione, ma ciò sarebbe errato perché si sarebbe trattato di un mero riferimento alla ‘imputazione’.
3.1.2 Poiché questa censura non è riconducibile, in realtà a una denuncia di violazione dell’articolo 360, primo comma, n.5 c.p.c., bensì integra -e con evidenza – una differente valutazione del testo motivazionale, deve essere qualificata inammissibile.
3.1.3 Inoltre, lamenta qui il ricorrente che il giudice d’appello non avrebbe tenuto in conto che la COGNOME non ha chiesto ‘rettifica o smentita della notizia’: oppone il COGNOME (invocando Cass. 9038/2010) che in tal modo si può incidere sulla quantificazione del danno ex articolo 1227, primo comma, c.c.
3.1.4 Come riporta la stessa massima invocata, l’istituto della rettifica ex articolo 8 l. 47/1948 è una mera facoltà, il che subito priva di ogni fondatezza la censura.
D’altronde si nota ad abundantiam – la pubblicazione della rettifica non ridurrebbe in modo automatico il danno, come da ultimo condivisibilmente insegna (smentendo la ormai risalente Cass. ord. 16040/2013) la recente Cass. ord. 1152/2022, cui questo collegio intende appunto aderire e dare prosieguo.
3.2 Il secondo motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., nullità della sentenza per violazione dell’articolo 112 c.p.c.
3.2.1 Se il giudice d’appello avesse tenuto conto della mancata rettifica, ad avviso del ricorrente avrebbe dovuto ‘concludere che il presunto danno era evitabile’: sussisterebbe, quindi, un’omessa pronuncia.
3.2.2 Vale quanto appena rilevato a proposito del primo motivo, che conduce questa censura, di sostanziale ripetizione di quella appena vagliata, al rigetto.
3.3 Il terzo motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli articoli 2043 c.c. – anche in relazione agli articoli 2 e 21 Cost. – e 2059 c.c., nonché
violazione e falsa applicazione degli articoli 1226, 1227, 2043, 2056, 2697, 2727, 2729 c.c. e 115 c.p.c.
3.3.1 Si sostiene che non sarebbe stato provato il danno, neppure in via presuntiva o indiziaria; al contrario non sarebbe ‘stato dimostrato che la reputazione della Cardella a livello nazionale era pregiudicata dalla diffusione della notizia dell’inchiesta’.
Il danno, inoltre, sarebbe stato liquidato ‘in maniera del tutto apodittica’, e comunque si ribadisce -non sarebbe stato dimostrato. Si richiama ancora la questione della rettifica, che con ‘diffusione immediata … avrebbe impedito di intendere la notizia’ come l’ha intesa la corte territoriale; e vi sarebbe stata ‘assenza di prova’.
3.3.2 La prova presuntiva è stata dichiarata pienamente compatibile per un caso come quello in esame dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte, cui il collegio intende ancora dare seguito (da ultimo si vedano Cass. 34026/2022, Cass. 19551/2023 e Cass. 479/2023): e ciò conduce al rigetto della censura.
Per il resto, il motivo si dispiega in un contenuto direttamente fattuale, che patisce evidente inammissibilità.
Anche il ricorso incidentale, come quello principale, merita dunque il rigetto. Ne deriva dunque la compensazione delle spese processuali tra i due ricorrenti. La compensazione si ritiene vada disposta anche nei confronti dell’Ardizzone, per la effettiva peculiarità della vicenda.
Seguendo l’insegnamento di S.U. 20 febbraio 2020 n. 4315 si dà atto, ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il rispettivo ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta entrambi i ricorsi compensando tutte le spese processuali del presente giudizio.
Ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il rispettivo ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 9 gennaio 2025