Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 24134 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 24134 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 28/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 24561-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2377/2022 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 12/07/2022 R.G.N. 3511/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/06/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
Oggetto
Dequalificazione risarcimento dei danni
R.G.N.24561/2022 Cron. Rep. Ud 04/06/2025 CC
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte d’appello di Napoli rigettava l’appello proposto dalla Telecom Italia s.p.a. contro la sentenza del Tribunale di Nola n. 1332/2018, con la quale erano state accolte parzialmente le domande di COGNOME COGNOME in due distinti giudizi introdotti nel 2012, poi riuniti, e detta società era stata condannata al pagamento, in favore del lavoratore: – a titolo di risarcimento del danno professionale, della somma complessiva di € 112.229,70, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dalla data del deposito del ricorso introduttivo fino al saldo; – a titolo di differenze retributive per il periodo dall’1.10.2000 al 31.3.2012, della somma complessiva di € 36.293,55, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalla data di maturazione dei singoli crediti al soddisfo.
Per quanto qui interessa, la Corte territoriale, dopo aver riferito quanto dedotto e richiesto dal lavoratore nel giudizio con R.G. 4320/2012 e nel giudizio con R.G. 4319/2012, riteneva che dal tenore degli atti di causa correttamente il primo giudice aveva valutato la richiesta del danno per demansionamento dal novembre 1993 all’1.8.2012 (epoca da cui emergeva l’inquadramento nel VI livello con assegnazione delle relative mansioni), ancorando, cioè, la decorrenza al primo momento utile in cui il Pastorino avrebbe dovuto ricevere il corretto inquadramento (1.11.1993).
La stessa Corte, inoltre, riteneva che la domanda di risarcimento del danno da demansionamento non fosse coperta dal giudicato sul diritto all’inquadramento superiore.
Avverso tale decisione RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi e successiva memoria.
Ha resistito l’intimato con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia ‘ Error in procedendo ex art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, non avendo la sentenza impugnata riconosciuto un vizio di ultrapetizione nella decisione emessa in primo grado ed avendo la Corte d’Appello, a sua volta, interferito nel potere dispositivo delle parti, pronunciando oltre i limiti del petitum ‘.
Con il secondo motivo denuncia ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 1175 e 2909 c.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 3, c.p.c.; per avere la sentenza impugnata ritenuto che fosse priva di pregio l’eccezione di giudicato sollevata da Telecom Italia SpaRAGIONE_SOCIALE Pronunciandosi pertanto su una materia già costituente oggetto di una pronuncia passata in giudicato’.
Il primo motivo è infondato.
Quanto al vizio di ultrapetizione dedotto in tale censura, la ricorrente richiama testualmente le conclusioni rassegnate dall’attore nel ricorso di primo grado che aveva introdotto innanzi al Tribunale di Nola il giudizio con R.G. 4320/2012, ed essenzialmente sulla base di tanto torna a sostenere che i giudici di merito (ora anche quelli di secondo grado) si
sarebbero pronunciati ultra petita , in violazione dell’art. 112 c.p.c., per aver esteso il loro esame oltre i limiti della domanda.
Osserva il Collegio che la Corte distrettuale si è pronunciata sull’analogo motivo d’appello con il quale l’attuale ricorrente si doleva appunto della violazione dell’art. 112 c.p.c. da parte del primo giudice per aver individuato ‘sin dal 1993 il dies a quo del risarcimento del danno per demansionamento’ (cfr. pag. 2 dell’impugnata sentenza).
5.1. In particolare, la Corte ha premesso tra l’altro: a) che il lavoratore aveva esposto che ‘con sentenza del Tribunale di Nola n. 3747 del 2005, confermata da sentenza della Corte di Appello di Napoli n. 55 del 2012, era stato accertato il suo diritto a ll’inquadramento nel livello VI del CCNL di categoria dall’1.11.1993 e, conseguentemente, nel livello F dall’1.10.1996, con condanna della società alla ricostruzione della carriera ed al pagamento delle differenze retributive a decorrere dall’1.11.1993; ch e, nonostante tali pronunce giudiziali, aveva continuato ad avere un inquadramento difforme da quello ordinato dal Tribunale ed a svolgere mansioni non riferibili al riconosciuto livello né equivalenti per qualità, rilevanza, responsabilità ed importanza a quelle svolte alle dipendenze della ASST; …’; b) che, ‘con il giudizio con R.G. 4320/12 il Pastorino chiedeva accertarsi e dichiararsi il demansionamento subito, a decorrere dall’1.11.1993 alla data del deposito del ricorso, e condannare a titolo di risarcimento del danno la RAGIONE_SOCIALE al pagamento in suo favore della complessiva somma di euro 256.147,515, maturata dal 1.11.1993 al 30.05.2012, oltre al pagamento dell’ulteriore somma a maturare fino al corretto inquadramento nel VI livello e l’ad ibizione a mansioni ascrivibili a tale livello e, comunque,
di quella maturata fino alla data del deposito della sentenza, …’.
5.2. La Corte, quindi, ha considerato ‘che dal tenore degli atti di causa correttamente il primo giudice valutava la richiesta di risarcimento del danno per demansionamento dal novembre 1993 all’1.08.2012 (epoca da cui emergeva l’inquadramento nel VI livello con assegnazione delle relative mansioni), ancorando cioè la decorrenza al primo momento utile in cui il Pastorino avrebbe dovuto ricevere il corretto inquadramento (1.11.1993)’.
5.3. Ha, infatti, rilevato che ‘dall’atto introduttivo del giudizio, emergeva agevolmente che il lavoratore, rappresentando la condotta inadempiente del datore di lavoro, che non gli aveva conferito il corretto inquadramento, pur a fronte di sentenza di primo grado confermata in grado di appello, chiedeva per tutto il periodo (oggetto di inquadramento inferiore e in cui riteneva di aver svolto attività non corrispondenti né riconducibili al livello VI del CCNL Telecomunicazioni, attribuito giudizialmente) il risarcimento del danno; e ciò affiorava anche dai conteggi che coprivano l’intero periodo sopra detto’.
Nota allora il Collegio che la ricorrente non considera, tra l’altro, appunto quest’ultimo passaggio motivazionale della Corte di merito circa i conteggi dell’attore ‘che coprivano l’intero periodo’ dall’1.11.1993 all’1.8.2012 circa il calcolo del dedotto danno da demansionamento.
6.1. Come già osservato, infatti, la ricorrente fonda l’interpretazione delle domande in proposito formulate dall’istante esclusivamente sul tenore testuale delle conclusioni
rassegnate nel ricorso introduttivo del giudizio con R.G. 4320/2012 innanzi al Tribunale di Nola, laddove i giudici di merito hanno enucleato il petitum sostanziale della domanda risarcitoria espressa in richiesta di condanna ad una ben precisa somma di danaro in linea capitale, non solo in base a dette conclusioni, ma alla luce di quanto dedotto dal lavoratore a sostegno di quella domanda, compresi i cennati conteggi.
Il secondo motivo è inammissibile.
Rileva il Collegio che la Corte di merito aveva premesso che analoga censura l’attuale ricorrente in veste di appellante aveva addebitato alla sentenza del giudice di primo grado, perché non aveva ‘rispettato il principio del ne bis in idem in quanto aveva sostenuto che nelle sentenze del Tribunale di Nola e della Corte di Appello di Napoli fosse stato accertato solo il diritto al diverso inquadramento senza però considerare che l’autorità del giudicato copriva il dedotto e il deducibile, du nque anche la domanda sul risarcimento del danno’ (così a pag. 2 della sua sentenza).
8.1. La stessa Corte ha disatteso tale doglianza ‘Innanzitutto, perché, come sostenuto dal primo giudice, nel giudizio conclusosi con sentenza n. 3747 del 2005 era richiesto solo l’accertamento del diritto al diverso inquadramento; inoltre, perché, come emerge dalla prospettazione del ricorso, l’istante, partendo anche dall’inottemperanza ai provvedimenti giudiziali, si determinava a chiedere il risarcimento che, per le ragioni sopra dette, decorreva dal primo giorno dell’inadempimento datoriale’.
Osserva, allora, il Collegio che il secondo motivo difetta di autosufficienza perché la ricorrente non trascrive in ricorso,
né riporta almeno i passi salienti, di quanto richiesto dal lavoratore nel giudizio definito in secondo grado con la sentenza n. 55/2012 della Corte d’appello di Napoli, ma neanche richiama precisamente il precetto di diritto sostanziale contenuto in quest ‘ultima decisione (che pacificamente ha integrato il giudicato esterno cui hanno fatto riferimento i giudici del doppio grado di merito del nuovo procedimento).
La ricorrente, in quanto soccombente dev’essere condannata al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
Non ricorrono, invece, i presupposti per la condanna della ricorrente al pagamento di ‘una somma equitativamente determinata ai sensi dell’art. 96 c.p.c.’, richiesta dal controricorrente, in quanto non si ritiene che il ricorso per cassazione sia stato proposto con mala fede o colpa grave.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi e in € 6.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, IVA e C.P.A. come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così dec iso in Roma nell’adunanza camerale del 4.6.2025.
La Presidente NOME COGNOME