Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20589 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 20589 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 12987-2023 proposto da:
COGNOME NOME COGNOME ASSUNTA, VENDITTO COGNOME, NOMECOGNOME NOMECOGNOME tutte rappresentate e difese dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrenti –
contro
MINISTERO DELLA CULTURA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;
– controricorrente –
nonché contro
SOPRINTENDENZA ARCHEOLOGIA, BELLE ARTI E PAESAGGIO PER IL COMUNE DI NAPOLI, già SORPINTENDENZA SPECIALE PER I BENI ARCHEOLOGICI DI NAPOLI E POMPEI;
– intimata –
Oggetto
PUBBLICO IMPIEGO
R.G.N. 12987/2023
Ud. 09/05/2025 CC
avverso la sentenza n. 4518/2022 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 13/12/2022 R.G.N. 1222/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
Fatti di causa :
1. Con cinque distinti, analoghi, ricorsi proposti dinanzi al Tribunale di Napoli in funzione di Giudice del Lavoro NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME quali dipendenti del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, assumevano di essere state destinate a prestare servizio presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli esercitando senza soluzione di continuità e per circa un decennio, le mansioni di organizzazione di mostre ed esposizioni, redazione di cataloghi e pubblicazioni varie, svolgimento di relazioni, conferenze ed attività didattica e divulgativa, nell’accompagnamento di visitatori ed ospiti illustri nelle visite guidate delle opere e collezioni custodite nel museo; che con ordini di servizio adottati a far tempo dal mese di novembre del 2009, le stesse venivano destinate a svolgere mansioni affatto diverse, e cioè attività di vigilanza, guardiania e controllo nelle sale, agli accessi, varchi e cantieri, nonché impiegate per i cosiddetti servizi collaterali, e cioè quelli di precipua competenza dei custodi; che gli ordini di servizio risultavano palesemente illegittimi, giacché, ignorando il livello d’inquadramento posseduto dalle lavoratrici -Area “B”, posizione “B3” -le destinavano a compiti e mansioni proprie del personale inquadrato invece nella posizione “B1” della medesima Area “B”, ledendo la professionalità delle ricorrenti. Il Tribunale, riuniti i ricorsi, accertava il diritto delle ricorrenti ad essere assegnate a mansioni analoghe a quelle svolte fino a tutto il mese di novembre 2009 o comunque previste nella
posizione B3 profilo di assistente alla vigilanza, sicurezza, accoglienza, comunicazione e servizi al pubblico e condannava le Amministrazioni convenute al risarcimento del danno da liquidare in separato giudizio. La sentenza veniva impugnata dalle amministrazioni convenute e la Corte di Appello di Napoli, accogliendo parzialmente l’impugnazione, escludeva il diritto al risarcimento del danno biologico e morale e confermava il demansionamento e il diritto al risarcimento per lesione della professionalità, con danno da liquidarsi in separato giudizio. La sentenza di appello passava in giudicato.
Di seguito le ricorrenti con ricorso al Tribunale di Napoli, in funzione di giudice del lavoro, rappresentavano che il demansionamento accertato dalle precedenti pronunce si era prolungato fino al 31/12/2016 ed era cessato solo a seguito di ulteriore diffida e ricorso innanzi al giudice amministrativo e che solo a partire dal 02/01/2017 le ricorrenti erano state riassegnate alle sole mansioni corrispondenti al profilo rivestito (B3) ed escluse dai turni ai varchi, al monitor agli accessi e pertanto ai se rvizi propri delle mansioni di cui all’inferiore profilo (B1). Tanto premesso le ricorrenti spiegavano domanda diretta ad ottenere il risarcimento del danno cagionato dal demansionamento subito nel periodo da dicembre 2009 a dicembre 2016. Il Ministero della Cultura si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto della domanda. Il Tribunale di Napoli, sezione lavoro, con la sentenza 5206/2020, depositata il 28/10/2020, rigettava la domanda.
Avverso detta sentenza proponevano appello le ricorrenti. Le Amministrazioni appellate rimanevano contumaci. Con la sentenza n. 4518/2022 depositata il 13/12/2022 la Corte di Appello di Napoli, sezione lavoro, rigettava l’appello.
Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME articolando tre motivi di impugnazione. Si è costituito con controricorso il Ministero della Cultura chiedendo il rigetto dell’impugnazione. E’ rimasta intimata la Soprintendenza Archeologica del Comune di Napoli alla quale le ricorrenti hanno notificato il ricorso e che, peraltro, è priva di autonoma legittimazione processuale.
La parte ricorrente ha depositato memoria ex art. 380bis. 1, cod. proc. civ..
Il ricorso è stato trattato dal Collegio nella camera di consiglio del 9 maggio 2025.
Ragioni della decisione :
Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1226, 2697, 2727 e 2729 c.c. e 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 , primo comma, n. 3 c.p.c. . Si lamenta l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto sfornita di prova la domanda delle ricorrenti.
1.1. Il primo motivo di ricorso è fondato. Per la definizione di esso occorre prendere atto della efficacia tra le parti del giudicato costituito dalla precedente sentenza della Corte di Appello di Napoli n. 5341/2012 depositata il 04/01/2013 e rinvenibile agli atti del fascicolo telematico tra gli allegati depositati da parte ricorrente; in proposito occorre considerare che il giudicato esterno formatosi a seguito di una sentenza della Corte di cassazione è rilevabile d’ufficio anche nell’ipotesi in cui essa non sia stata versata in atti con la rituale certificazione di cui all’art. 124 disp. att. c.p.c.; l’accertamento del giudicato esterno non costituisce, infatti, patrimonio esclusivo delle parti, ma corrisponde ad un preciso interesse pubblico, volto ad evitare la formazione
di giudicati contrastanti, in ossequio al principio del ne bis in idem (Cass. 11/06/2021, n. 16589). La pronuncia così statuisce: «(..) rigettando la domanda di condanna per risarcimento del danno biologico e confermando per il resto l’impugnata pronuncia, limitatamente al riconosciuto demansionamento, per cui condanna la convenuta Amministrazione al risarcimento del danno alla professionalità degli attori, attuali appellati, da liquidarsi in separato giudizio ed esclusivamente con riferimento al loro impiego in compiti di sorveglianza e custodia a edifici, varchi, accessi e altri similari».
1.2. Orbene, è corretto il principio richiamato in proposito dalla Corte di Appello secondo il quale la sentenza di condanna generica in giudicato di cui al primo comma dell’art 278 cod. proc. civ., copre l’astratta potenzialità lesiva del fatto illecito, ma non preclude di stabilire che, in concreto, il pregiudizio non si sia verificato. (cfr tra le tante, Cass n 15595/2014)».
1.3. La sentenza impugnata erra, tuttavia, nel non considerare il principio secondo il quale qualora due giudizi tra le stesse parti facciano riferimento al medesimo rapporto giuridico ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto preclude il riesame dello stesso punto in fatto e in diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo (Cass. 26/10/2018, n. 27304).
1.4. Detto principio riguarda i rapporti di durata, come quello oggetto della controversia, nei quali non si sia avuta alcuna modifica tra la situazione accertata con il giudicato, di condanna generica, e quella denunciata come continuazione illegittima, durata molti anni. In questo contesto la Corte di Appello, nel confermare la pronuncia di rigetto della domanda
spiegata dalle ricorrenti adottata dal Tribunale, ha fatto riferimento agli oneri probatori gravanti sulle ricorrenti per dimostrare il demansionamento in genere e l’efficacia dequalificante della condotta datoriale senza contare l’avvenuto accertamento definitivo della illegittimità del demansionamento per stabile adibizione a compiti considerati nel giudicato demansionanti. La Corte territoriale neppure ha considerato la validità di tale affermazione anche per il periodo successivo al giudicato, trattandosi di rapporto di durata rimasto identico. Per questa via i giudici di merito, chiamati a determinare il quantum del danno patrimoniale, dopo la esclusione delle altre voci di danno, hanno negato il risarcimento con argomentazioni legate alla sussistenza del demansionamento e alla prova del danno patrimoniale che, invece, erano già coperti dal giudicato.
1.5. La sentenza impugnata si è, allora, discostata dal principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo il quale: «in caso di demansionamento è configurabile a carico del lavoratore un danno, costituito da un impoverimento delle sue capacità per il mancato esercizio quotidiano del diritto di elevare la professionalità lavorando, sicché per la liquidazione del danno è ammissibile, nell’ambito di una valutazione necessariamente equitativa, il ricorso al parametro della retribuzione. (nella specie, la SRAGIONE_SOCIALE. ha stimato equo, confermando la sentenza di appello, l’assunzione, a parametro della liquidazione del danno, dell’importo pari alla metà delle retribuzioni dovute per il periodo di demansionamento)» (Cass. 12/06/2015, n. 12253; Cass. 01/06/2002, n. 7967).
Con il secondo motivo la parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116 e 420 c.p.c. in relazione all’art. 360 , primo comma, n. 3 c.p.c.; si lamenta
che la sentenza impugnata avrebbe errato nel non censurare la decisione del Tribunale che aveva ritenuto di definire la causa allo stato degli atti, pur avendo fatto richiesta le ricorrenti, ove necessario, di ammissione della prova orale sui fatti di causa articolata in ricorso e, in violazione dell’art. 420 c.p.c., non aveva provveduto al libero interrogatorio delle ricorrenti, pur sollecitato dal difensore delle stesse né aveva valutato il comportamento delle parti convenute, i cui legali rappresentanti avevano omesso di comparire personalmente alla prima udienza.
Con il terzo motivo la parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. perché la sentenza impugnata avrebbe errato nel negare la riforma della decisione del Tribunale che aveva condannato alle spese le ricorrenti perché il giudice di primo grado, tenuto conto della complessità della questione sottopostagli e dei riferiti orientamenti giurisprudenziali nella materia, nonché del dato oggettivo ed indiscusso dell’illegittima ed ingiusta mortificazione delle ricorrenti da parte del datore di lavoro pubblico, protrattasi per un periodo di tempo estremamente lungo, nel provvedere sul governo delle spese avrebbe dovuto quanto meno disporre l’integrale compensazione delle stesse.
Il secondo e il terzo motivo di ricorso sono assorbiti in ragione dell’accoglimento del primo motivo di ricorso che determina la cassazione della sentenza impugnata e il rinvio alla Corte di Appello competente.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso; dichiara assorbiti il secondo e il terzo motivo di ricorso; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di Appello di Napoli, in diversa composizione, cui è demandata
anche la liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione