Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 25281 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 25281 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5474/2024 R.G. proposto da : COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato NOME (CODICE_FISCALE)
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO LECCE n. 1032/2023 depositata il 21/12/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Svolgimento del processo
Con atto notificato il 19/02/2024, illustrato da successiva memoria, NOME COGNOME impugna per cassazione la sentenza della Corte d’Appello di Lecce n.1032/2023 del 21.12.2023, pubblicata il 21.12.2023 e notificata il 22.12.2023,con la quale, in riforma della sentenza di primo grado, è stato condannato al risarcimento del danno per calunnia, liquidato in € 5.000,00, in favore degli eredi di NOME NOME WalterCOGNOME nel frattempo deceduto. Gli intimati COGNOME NOME, Caporale NOME e Caporale NOME tutti in qualità di eredi di NOME NOME COGNOME hanno depositato controricorso.
Per quanto ancora di interesse, il fatto penale che qui rileva riguarda la seconda denuncia di reato di abusivismo edilizio, presentata in data 6.2.2014 alla Polizia Municipale. A seguito della denuncia, COGNOME veniva sottoposto a un nuovo processo penale innanzi al Tribunale di Lecce che si concludeva 1) quanto al primo capo d’imputazione, con il non luogo a procedere ai sensi dell’art. 649 c.p.p., essendo stato già giudicato sul punto con sentenza irrevocabile di assoluzione per non avere commesso il fatto e 2) quanto al secondo capo di imputazione, con assoluzione per insussistenza del fatto, considerata la precarietà dell’opera -gazebo ricoperto in telone ‘ una volante copertura per ombreggiare il posto auto ‘ -peraltro regolarmente assentita.
Rispetto a tale secondo procedimento il Tribunale in prima istanza aveva ritenuto che, essendo intervenuto l’intervento ex officio del PM, il procedimento penale non dovesse ritenersi collegato alla denuncia inoltrata dal ricorrente e che, dunque, mancasse la prova dell’elemento intenzionale della calunnia.
La Corte d’appello, adita dagli eredi del COGNOME, nel frattempo deceduto, sulla base del contenuto del verbale di audizione del COGNOME in qualità di teste, in riforma della sentenza di primo grado accoglieva la domanda risarcitoria, avente come sfondo un’annosa lite tra vicini che aveva coinvolto per ben due volte il Caporale in procedimenti penali per i medesimi fatti, ritenendo ravvisabile un dolo di particolare intensità consistente nella volontà di attribuire all’accusato fatti e comportamenti illeciti pur sapendo con certezza che non li aveva commessi. In riferimento al risarcimento del danno, il Giudice dell’Appello rilevava, richiamando la giurisprudenza di legittimità, che ‘ la denuncia -querela, rivelatasi infondata, determina sempre un danno alla dignità, all’onore e al prestigio personale e, quindi, al diritto soggettivo perfetto che trova il suo riconoscimento nell’art. 2 Cost. e testuale ex art. 2059 c .c.’ che si esplica nella sofferenza interiore, stress e ansia che un procedimento penale comporta, offesa all’onore e alla reputazione ad essa conseguente, liquidandolo in via equitativa in un danno inferiore alla misura richiesta dagli appellanti.
Motivi della decisione
Il ricorso è affidato ai seguenti tre motivi: 1) violazione/falsa applicazione art.368 c.p. in relazione all’art.360 n.3 c.p.c.; 2) violazione ex art.360 n.5 c.p.c. per omesso esame di documenti decisivi per il giudizio; 3) violazione/falsa applicazione degli artt.1226, 2043, 2056, 2697 c.c. con riferimento all’art.360 n.3 c.p.c.
Con il primo motivo il ricorrente deduce che, trattandosi di denuncia relativa a un fatto di reato perseguibile d’ufficio, il nesso causale tra l’iniziativa di COGNOME COGNOME e il successivo procedimento penale avverso COGNOME sia stato interrotto dall’attività del P .M., come rilevato dal primo giudice. La Corte territoriale, dunque, avrebbe errato nel ritenere la sussistenza della calunnia non considerando tale interruzione del nesso causale. Ugualmente erronea sarebbe la valutazione sulla sussistenza della prova degli elementi propri del reato di calunnia con riferimento alle dichiarazioni testimoniali rese nel primo procedimento civile, e non nel secondo. Ulteriore prova dell’ errore del Giudice dell’appello è individuato nella valutazione del fax inviato alla Polizia Municipale: valutazione erronea perché ‘ ad una semplice formale lettura dello stesso’, risultava un invito a verificare la regolarità dei lavori edili, e non una denunzia nei confronti di COGNOME di lavori edili’ .
6.1. Il motivo è inammissibile.
6.2. Il vizio di violazione di legge (quanto alla violazione di legge in senso proprio) ricorre in ipotesi di: a) erronea negazione o affermazione dell’esistenza o inesistenza di una norma; b) nonché di attribuzione ad essa di un significato non appropriato. La falsa applicazione, invece, ricorre nei casi di: a) sussunzione della fattispecie concreta entro una norma non pertinente, perché, rettamente individuata ed interpretata, si riferisce ad altro; b) deduzione dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, di conseguenze giuridiche che contraddicano la sua pur corretta interpretazione. Il ricorrente, di contro, si limita a elencare quelli che percepisce quali errori, in specie valutativi, che costituiscono l’esito del ragionamento della corte di merito all’interno della cornice normativa sopra considerata, in cui nella reiterazione di una denuncia per un reato da cui, da un
lato COGNOME era stato già assolto, dall’altro era assolutamente insussistente, il giudice di seconde cure ha tratto il convincimento che il fatto di reato (calunnia) fosse pienamente integrato in ogni suo elemento, oggettivo e soggettivo. Tuttavia non è il punto d’arrivo della decisione di fatto che determina l’esistenza del vizio di cui all’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ., ma l’impostazione giuridica che, espressamente o implicitamente, abbia seguito il giudice di merito nel selezionare le norme applicabili alla fattispecie e nell’interpretarle (così, Sez. U -, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020; Cass., Sez. 6 -3, ordinanza n. 26769 del 23/20/2018; Sez. 3, sentenza n. 20382 dell’11/10/2016; Cass. Sez. 3, sentenza n. 11892 del 10/6/2016).
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia integrare il vizio di motivazione di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. le seguenti omissioni : a) la corte d’appello si sarebbe limitata a valutare quali requisiti della calunnia le sole dichiarazioni del COGNOME nel primo processo penale e nella nota (esposto -denuncia) del 06.02.2014; b) l’imputazione del primo processo penale sarebbe differente dall’imputazione contestata nel secondo processo; c) la prima sentenza avrebbe disposto il pieno proscioglimento, per non avere commesso il fatto, mentre nelle motivazioni si leggerebbe dell’ assoluzione perché il fatto non sussiste. Il che significherebbe che comunque l’abusivismo dell’opera era sussistente; d) La Corte d’Appello avrebbe omesso di leggere esattamente il significato ed il contenuto del fax del 6.2.2014, qualificato erroneamente come seconda denunzia, mentre sarebbe un semplice invito a verificare la regolarità delle opere edili realizzate dal Caporale; e) in relazione al primo processo penale a carico di Caporale, la Corte d’Appello avrebbe omesso di esaminare attentamente le trascrizioni del verbale di udienza
del 24 ottobre 2006 nel processo dinanzi al Giudice monocratico Penale.
7.1. Il motivo è inammissibile ex art. 366 n. 4 e 6 c.p.c. in quanto la censura, richiedendo in sostanza di procedere a una nuova valutazione dei fatti di causa, non fa alcun riferimento alla motivazione del provvedimento impugnato, limitandosi a dedurre che ‘ l’intero esame della vicenda e della documentazione offerta dalle parti ed esibita nei propri fascicoli di parte avrebbe sicuramente portato a dichiarare che non sussiste alcuna calunnia in capo al ricorrente, sia sotto il profilo oggettivo sia sotto il profilo soggettivo ‘. Tuttavia, il vizio motivazionale così dedotto non si inquadra certamente nella fattispecie di cui all’art, 360 n. 5 c.p.c. che, invece, presume l’individuazione specifica di un fatto rilevante e oggetto di discussione non considerato ai fini della decisione (cfr. Cass. SU 8053/2014; Cass, SU 23745 del 28/10/2020).
Con il terzo motivo il ricorrente lamenta che la Corte di merito non avrebbe considerato che la liquidazione equitativa del danno, prevista dall’art.1226 c.c., ha natura sussidiaria e non sostitutiva e presuppone l’accertamento di un danno, oggettivamente accertato. Viene censurata la motivazione là dove ha ritenuto di poter presumere, alla stregua di un giudizio di probabilità basato sull’id quod plerumque accidit , che la sottoposizione a un secondo procedimento penale sia un evento di per sé produttivo di danno alla persona, che si esplica nella sofferenza interiore, stress e ansia che un procedimento penale comporta, e nella offesa all’onore e alla reputazione ad essa conseguente.
8.1. Il motivo è inammissibile ex art. 366 n. 4 c.p.c. in quanto non offre argomentazioni idonee a mettere in crisi la valutazione del danno conseguente al fatto di reato accertato
(calunnia), di natura morale, il quale, pur non costituendo un mero danno -evento, e cioè ” in re ipsa “, e dovendo quindi essere oggetto di allegazione e di prova, può essere tuttavia desunto da presunzioni semplici (Cass., sez. 6 -3, 18/07/2019, n. 19434; Cass. Sez. 6 -3, Ordinanza n. 8861 del 31/03/2021; Sez. 3 -, Ordinanza n. 19551 del 10/07/2023). Il giudice, in effetti, a fronte della oggettiva impossibilità di provarlo nella sua effettiva consistenza, è ricorso al potere equitativo sulla base di un ragionamento presuntivo tratto da specifici indizi riscontrati nella fattispecie.
8.2. Anche in questo caso il vizio di violazione di legge si traduce in una inammissibile censura dell’esito della valutazione di merito, svolta alla luce di norme e principi sulla valutazione equitativa del danno morale derivante da fatto illecito correttamente applicati.
Conclusivamente, il ricorso va dichiarato inammissibile con ogni conseguenza in merito alle spese del presente giudizio, liquidate come di seguito in base alle tariffe vigenti a favore della parte controricorrente
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge;
ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari
a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13 .
Così deciso in Roma, il 07/04/2025.
Il Presidente NOME COGNOME