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Risarcimento danno calunnia: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione conferma la condanna a un risarcimento danno calunnia per un cittadino che aveva sporto una denuncia per abusivismo edilizio, rivelatasi infondata e presentata con la consapevolezza dell’innocenza dell’accusato. La lite, nata tra vicini per un gazebo, si è conclusa con il rigetto del ricorso del denunciante, il quale sosteneva che il nesso causale fosse stato interrotto dall’azione del PM. La Corte ha stabilito che i giudici di merito hanno correttamente ravvisato il dolo e liquidato il danno morale in via equitativa, sulla base di presunzioni.

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Pubblicato il 23 settembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Risarcimento Danno Calunnia: Quando una Denuncia Infondata si Ritorce Contro

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i confini tra il diritto di denuncia e l’obbligo di risarcimento danno calunnia, specialmente nel contesto di annose liti tra vicini. Il caso analizzato dimostra come accusare qualcuno di un reato, pur sapendolo innocente, possa trasformarsi in una condanna a risarcire i danni morali subiti dalla vittima, anche se la denuncia riguarda un reato perseguibile d’ufficio.

I Fatti di Causa: una Lite tra Vicini Finita in Tribunale

La vicenda trae origine da un’aspra lite di vicinato. Un uomo, dopo un primo procedimento penale per presunto abusivismo edilizio conclusosi con l’assoluzione del suo vicino, decide di presentare una seconda denuncia per fatti sostanzialmente identici, relativi alla realizzazione di un gazebo. Anche questo secondo procedimento si conclude con una piena assoluzione dell’accusato, in quanto l’opera era precaria e regolarmente autorizzata. A questo punto, gli eredi dell’uomo ingiustamente accusato (nel frattempo deceduto) avviano una causa civile per ottenere il risarcimento del danno derivante dalla calunnia subita.

La Decisione della Corte d’Appello e il risarcimento danno calunnia

Se in primo grado la domanda di risarcimento era stata respinta, la Corte d’Appello ribalta la decisione. I giudici di secondo grado ritengono che la seconda denuncia fosse stata presentata con un ‘dolo di particolare intensità’. Il denunciante, infatti, era perfettamente consapevole che il vicino non aveva commesso alcun reato, data la precedente assoluzione. La Corte, quindi, lo condanna a un risarcimento danno calunnia, liquidando in via equitativa la somma di 5.000 euro a favore degli eredi, riconoscendo il danno alla dignità, all’onore e il forte stress derivanti dall’essere sottoposti a un ingiusto processo penale.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

L’uomo condannato ricorre in Cassazione, basando la sua difesa su tre motivi principali:
1. Violazione di legge: Sostiene che, trattandosi di un reato perseguibile d’ufficio, l’azione del Pubblico Ministero avrebbe interrotto il nesso causale tra la sua denuncia e il processo penale. Di conseguenza, non poteva esserci calunnia.
2. Omesso esame di prove: Lamenta che la Corte d’Appello non avrebbe valutato correttamente alcuni documenti decisivi, come il contenuto del fax inviato alla Polizia Municipale.
3. Errata liquidazione del danno: Contesta la liquidazione equitativa del danno, affermando che la sofferenza e lo stress non erano stati concretamente provati, ma solo presunti dalla Corte.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte dichiara il ricorso inammissibile, respingendo tutte le argomentazioni. I giudici chiariscono che i motivi presentati non denunciavano reali errori di diritto, ma miravano a ottenere una nuova e diversa valutazione dei fatti, attività preclusa in sede di legittimità.

Sul primo punto, la Corte afferma che la valutazione della Corte d’Appello sulla sussistenza del dolo e del nesso causale era una ricostruzione di fatto, logica e ben motivata. Il tentativo di introdurre l’argomento dell’interruzione del nesso causale era solo un modo per mascherare un dissenso sulla valutazione del merito.

Sul secondo motivo, la Cassazione ribadisce che il vizio di omesso esame di un fatto decisivo (art. 360 n. 5 c.p.c.) deve riguardare un fatto storico preciso e non una generica richiesta di riconsiderare l’intero materiale probatorio. Il ricorrente si limitava a criticare la valutazione delle prove fatta dal giudice, senza individuare una vera omissione.

Infine, riguardo al risarcimento danno calunnia, la Corte spiega un principio fondamentale: sebbene il danno morale non sia automatico (‘in re ipsa’), può essere provato tramite presunzioni semplici. Il giudice può desumere l’esistenza della sofferenza interiore, dello stress e dell’ansia da elementi di fatto, come l’essere stati sottoposti a un secondo processo penale per un’accusa palesemente infondata. La liquidazione equitativa è lo strumento corretto quando la prova del ‘quantum’ è impossibile o difficile.

Le Conclusioni

L’ordinanza conferma un principio di grande importanza pratica: il diritto di denuncia non è senza limiti. Quando viene esercitato con la consapevolezza di accusare un innocente, si trasforma in un illecito (il reato di calunnia) che fa scattare l’obbligo di risarcire tutti i danni, in particolare quelli morali. La Corte di Cassazione ribadisce che i giudici di merito hanno il potere di desumere sia l’intento malevolo (il dolo) sia il danno non patrimoniale dalle circostanze del caso, senza che la vittima debba fornire una prova diretta e specifica della propria sofferenza interiore.

Una denuncia per un reato perseguibile d’ufficio interrompe sempre il nesso causale per la calunnia?
No. Secondo la decisione, anche in caso di reati perseguibili d’ufficio, non si interrompe automaticamente il nesso causale se la denuncia è stata presentata con la consapevolezza di accusare un innocente. La valutazione del giudice di merito sulla sussistenza del dolo e del collegamento tra la denuncia e il danno è decisiva.

Il danno morale da calunnia deve essere provato in modo specifico o può essere presunto?
Il danno morale non è automatico (‘in re ipsa’), ma può essere provato tramite presunzioni semplici. Il giudice può dedurre l’esistenza di sofferenza, stress e ansia dal fatto stesso di essere stati sottoposti a un procedimento penale ingiusto, basandosi su un giudizio di probabilità fondato sull’esperienza comune (‘id quod plerumque accidit’).

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove e i fatti di un caso?
No. La Corte di Cassazione è un giudice di legittimità, non di merito. Non può riesaminare le prove o sostituire la propria valutazione dei fatti a quella dei giudici dei gradi precedenti. Il suo compito è verificare la corretta applicazione della legge e la coerenza logica della motivazione della sentenza impugnata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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