Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 1492 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 1492 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21443/2018 R.G. proposto da:
NOME COGNOME elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende
-ricorrente –
contro
AZIENDA OSPEDALIERA UNIVERSITARIA RAGIONE_SOCIALE “COGNOME” DI MESSINA , in persona del Commissario Straordinario pro tempore , elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende
Oggetto: Pubblico impiego contrattualizzato -Dirigenti medici -Omesso svolgimento procedure di conferimento di incarico -Risarcimento danni
R.G.N. 21443/2018
Ud. 19/12/2023 CC
-controricorrente –
nonché contro
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MESSINA
-intimata – avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di PALERMO 1138/2017, depositata il 08/02/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/12/2023 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
n. giorno
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 1138/2017 dell’8 febbraio 2018, la Corte d’appello di Messina (erroneamente -come si vedrà -indicata ‘Palermo’) , nella regolare costituzione delle appellate AZIENDA OSPEDALIERA UNIVERSITARIA COGNOME COGNOME DI MESSINA e UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MESSINA, ha respinto l’appello proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale di Messina che, a propria volta, aveva disatteso le domande della medesima NOME COGNOME, volte a conseguire il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali -alla salute, da perdita di chance , da lesione della dignità professionale -derivanti dall’omesso svolgimento, da parte degli Enti convenuti, delle procedure di conferimento di incarico di responsabile di U.O.C. presso la struttura ospedaliera, disattendendo anche il contenuto di provvedimenti assunti sul punto dal Giudice amministrativo.
La Corte d’appello, nel respingere il gravame:
-ha disatteso l’eccezione di difetto di legittimazione passiva riproposta dalla UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MESSINA;
-ha escluso che dal mancato svolgimento della procedura di conferimento dell’incarico potesse essere derivato all’appellante un concreto danno, negando la sussistenza di elementi che consentissero di affermare che l’appellante avrebbe avuto anche solo una probabilità di conseguire l’incarico;
-ha quindi escluso la fondatezza anche della domanda di risarcimento del danno da perdita di chance ;
-ha parimenti negato la sussistenza di adeguata prova di un danno alla salute, richiamando gli esiti di una CTU disposta sempre in sede di gravame, dalla quale sarebbe emersa l’assenza di elementi per ricondurre il quadro clinico denunciato dall’appellante alla situazione di organizzazione del lavoro;
-ha stabilito l’inammissibilità delle osservazioni presentate dalla stessa appellante alla CTU, in quanto depositate dopo il termine assegnato dalla Corte medesima, affermando la perentorietà del suddetto termine.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Messina ricorre ora NOME COGNOME
Resiste con controricorso l’ AZIENDA OSPEDALIERA UNIVERSITARIA COGNOME COGNOME DI MESSINA.
È rimasta intimata l’UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MESSINA.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380 bis.1, c.p.c.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a quattro motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 414, n. 5, e 421 c.p.c.
Il ricorso censura la decisione impugnata in quanto la stessa, come la decisione di prime cure, avrebbe radicalmente omesso di ammettere i mezzi istruttori per prova orale la cui ammissione era stata chiesta dalla ricorrente, mentre avrebbe proceduto all’e spletamento di una consulenza tecnica ‘tanto tardiva quanto inconcludente ed inutiliter data’ .
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c.
Il ricorso deduce la nullità radicale della decisione impugnata, in quanto la stessa reca in epigrafe l’indicazione ‘Corte d’appello di Palermo’ anziché, come era corretto ‘Corte d’appello di Messina’ .
1.3. Con il terzo motivo il ricorso deduce, la ‘violazione di legge per falsa e mancata applicazione con riferimento all’articolo 195 c.p.c.’ .
La ricorrente si duole della mancata valutazione, da parte della Corte territoriale, delle osservazioni critiche mosse alla consulenza tecnica d’ufficio, contestando la decisione nella parte in cui la stessa ha ritenuto che il termine assegnato alle parti per le osservazioni fosse perentorio.
1.4. Con il quarto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.
Il motivo, nella sua integralità, si sostanzia, testualmente, nelle seguenti argomentazioni:
‘L’appellante ha chiaramente lamentato fatti giuridicamente rilevanti di vessazioni subite dal datore di lavoro con violazione di norme civili e penali.
La Corte d’Appello adita ha omesso l’accertamento dei fatti e de plano ha disposto una consulenza tecnica d’ufficio prescindendo dall’accertamento della verità’ .
2. Il primo motivo è inammissibile.
Inammissibili, in primo luogo, appaiono i riferimenti al mobbing , dal momento che tale profilo non risulta in alcun modo affrontato dalla decisione in esame – che fa riferimento unicamente a richieste risarcitorie per mancato espletamento della procedura di assegnazione del posto – e che la ricorrente non ha indicato in quale specifico atto del giudizio precedente la deduzione del mobbing sia avvenuta (Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 20694 del 09/08/2018; ed anche Cass. Sez. 2 Ordinanza n. 2193 del 30/01/2020; Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 14477 del 06/06/2018; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 15430 del 13/06/2018; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 23675 del 18/10/2013).
Inammissibile, altresì, è la doglianza in ordine alla mancata assunzione di mezzi istruttori da parte della Corte di merito.
Opera, invero, il principio per cui qualora con il ricorso per cassazione siano denunciati la mancata ammissione di mezzi istruttori e vizi della sentenza derivanti dal rifiuto del giudice di merito di dare ingresso a mezzi istruttori ritualmente richiesti, il ricorrente ha l’onere di indicare specificamente i mezzi istruttori, trascrivendo le circostanze che costituiscono oggetto di prova, nonché di dimostrare sia l’esistenza di un nesso eziologico tra l’omesso accoglimento dell’istanza e l’errore addebitato al giudice, sia che la pronuncia, senza quell’errore, sarebbe stata diversa, così da consentire al giudice di legittimità un controllo sulla decisività delle prove (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 23194 del 04/10/2017; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 19985 del 10/08/2017).
Il motivo di ricorso, invece, trascura radicalmente di rispettare i presupposti di ammissibilità della doglianza, in quanto omette di fornire
le indicazioni essenziali per stabilire se le prove di cui si lamenta la mancata ammissione fossero decisive ai fini della definizione della controversia.
3. Il secondo motivo è infondato.
L’irrilevanza della indubbiamente erronea ma evidentemente dovuta a lapsus calami -indicazione dell’ufficio giudiziario nell’intestazione della sentenza impugnata appare evidente sol che si consideri che questa Corte ha già chiarito -in un caso in cui la specificazione della circoscrizione del tribunale decidente risultava addirittura mancante nella intestazione della sentenza – che l’art. 132 c.p.c., stabilendo che la sentenza deve contenere l’indicazione del giudice che l’ha pronunciata, non impone, al riguardo, che l’esatta collocazione territoriale del giudice nella struttura organizzativa dell’autorità giudiziaria ordinaria risulti già nell’intestazione della sentenza, essendo sufficiente che dal contesto dell’atto risulti comunque tale indicazione, in modo tale da non ingenerare incertezza alcuna in ordine alla provenienza della pronuncia, risultando a tal fine sufficiente l’ indicazione della località di pubblicazione della decisione, (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 24538 del 20/11/2009, ma cfr. altresì Cass. Sez. 1, Sentenza n. 3132 del 05/03/2002; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3629 del 04/06/1981).
Nel caso ora in esame l’assoluta certezza in ordine alla collocazione territoriale dell’organo giudicante che peraltro parte ricorrente neppure pone in dubbio, limitandosi ad invocare il mero dato formale dell’erronea indicazione emerge, ancora una volta, dal timbro di cancelleria che reca l’ indicazione della località di pubblicazione della sentenza, e cioè Messina.
Il terzo motivo è inammissibile.
Questa Corte, a Sezioni Unite, ha chiarito, in tema di consulenza tecnica d’ufficio, che il secondo termine previsto dall’ultimo comma dell’art. 195, c.p.c., così come modificato dalla L. n. 69/2009 – ovvero l’analogo termine che, nei procedimenti cui non si applica, ratione temporis , il novellato art. 195 c.p.c., il giudice, sulla base dei suoi generali poteri di organizzazione e direzione del processo ex art. 175 c.p.c., abbia concesso alle parti – ha natura ordinatoria e funzione acceleratoria e svolge ed esaurisce la sua funzione nel subprocedimento che si conclude con il deposito della relazione da parte dell’ausiliare, con la conseguenza che, la mancata prospettazione al consulente tecnico di osservazioni e rilievi critici non preclude alla parte di sollevare tali osservazioni e rilievi, ove non integrino eccezioni di nullità relative al suo procedimento, come tali disciplinate dagli artt. 156 e 157 c.p.c., nel successivo corso del giudizio e, quindi, anche in comparsa conclusionale o in appello (Cass. Sez. U – Sentenza n. 5624 del 21/02/2022).
Nell’argomentare il proprio approdo interpretativo, tuttavia, le Sezioni Unite hanno operato ‘ una distinzione tra, da una parte, le censure che attengono a violazioni procedurali e, dall’altra, le censure inerenti al “merito”, cioè a contestazioni “valutative” delle indagini peritali ‘ , precisando che, mentre ‘ le censure relative al procedimento della c.t.u., in quanto nullità relative, sono soggette al regime di preclusione di cui all’art. 157 c.p.c., che impone alla parte nel cui interesse è stabilito un requisito dell’atto di opporre la relativa nullità per la mancanza del requisito stesso entro il termine di decadenza costituito dalla prima istanza o difesa successiva all’atto o alla notizia di esso ‘, sono semmai le critiche attinenti al “merito” delle indagini ed alle conclusioni dell’ausiliare del giudice a sottrarsi a detto termine preclusivo, a condizione che le stesse siano, appunto relative a
contestazioni “valutative” e/o “di merito”, potendo a questo punto essere formulate anche negli scritti difensivi conclusivi.
Di tale formante giurisprudenziale devono, a questo punto, individuarsi i riflessi sul giudizio di legittimità, armonizzando il principio enunciato dalle Sezioni Unite con le regole procedurali che dirigono tale giudizio, ed in particolare con gli artt. 366 e 369 c.p.c. ed il principio di specificità del ricorso che da tali norme è stato desunto.
Si deve allora ritenere che, qualora in sede di legittimità sia formulato un motivo di ricorso con il quale ci si dolga del mancato esame, da parte del giudice di merito, dei rilievi mossi alla consulenza tecnica d’ufficio , essendo stato tale omesso esame motivato dal giudice medesimo con la tardività dei rilievi, la parte abbia l’onere, a pena di inammissibilità della doglianza, di specificare, ai sensi degli artt. 366, n. 6) e 369, n. 4), c.p.c., la natura delle osservazioni mosse alla consulenza e cioè se gli stessi concernessero vizi di natura processuale oppure investissero il merito della consulenza -e di provvedere al richiamo quantomeno dei passaggi essenziali di tali rilievi, in modo da evidenziare, appunto, il loro contenuto e la loro riferibilità a profili procedurali oppure a profili di natura tecnica.
A tale onere il motivo di ricorso ora in esame si sottrae radicalmente, limitandosi a segnalare l a violazione dell’art. 195 c.p.c. senza tuttavia in alcun modo specificare il contenuto dei rilievi alla CTU di cui lamenta l’omesso esame da parte del giudice di merito.
Il quarto motivo è inammissibile.
Ciò per più di una ragione.
La prima è che, essendo stato instaurato il giudizio di appello nel 2013, trova applicazione il disposto di cui all’art. 348 -ter c.p.c., dal momento che la decisione della Corte d’Appello non risulta in alcun modo essersi distaccata dal ragionamento del giudice di primo grado,
né parte ricorrente ha indicato le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. Sez. L – Sentenza n. 20994 del 06/08/2019; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 26774 del 22/12/2016; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5528 del 10/03/2014).
La seconda è che, secondo i principi fissati da Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, il ricorrente che venga a dedurre l’ipotesi di cui all’art. 360, n. 5), c.p.c., deve, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6), e 369, secondo comma, n. 4), c.p.c., indicare: 1) il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso; 2) il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente; 3) il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti; 4) la sua “decisività”; indicazioni, queste ultime che risultando del tutto carenti nella radicale genericità del motivo in esame, come emerge dalla sua riproduzione letterale.
L’ultima è che l’ipotesi di cui al l’art. 360, primo comma, n. 5), c.p.c. si riferisce all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicché sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 22397 del 06/09/2019; Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 26305 del 18/10/2018; Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 14802 del 14/06/2017), comprese quelle che investano il profilo della valutazione delle risultanze istruttorie (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 11863 del 15/05/2018), che costituisce, invece, proprio il profilo dedotto con il motivo di ricorso.
Il ricorso deve quindi essere respinto, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020 – Rv. 657198 – 05).
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 5.200,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nell ‘adunanza camerale in data 19 dicembre