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Risarcimento danni medici: Cassazione chiarisce onere

Un gruppo di dirigenti medici ha citato in giudizio lo Stato per danni derivanti dal mancato rispetto delle direttive UE sull’orario di lavoro. La Corte di Cassazione ha respinto la loro richiesta di risarcimento danni medici. Pur riconoscendo la violazione da parte dello Stato, la Corte ha stabilito che i medici non hanno provato il nesso di causalità diretto tra la normativa illegittima e le loro ore di lavoro extra, poiché queste potevano derivare dal loro dovere manageriale di raggiungere specifici obiettivi.

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Pubblicato il 3 settembre 2025 in Diritto Civile, Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Risarcimento danni medici: quando la violazione della legge non basta

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18384 del 2025, affronta un tema cruciale per il personale sanitario: il risarcimento danni medici per la violazione delle normative europee sull’orario di lavoro. La decisione chiarisce che, anche di fronte a una manifesta violazione legislativa da parte dello Stato, il diritto al risarcimento non è automatico. È necessario un elemento fondamentale: la prova del nesso di causalità tra la legge illegittima e il danno subito dal singolo lavoratore.

I Fatti del Caso: Medici contro lo Stato

Un nutrito gruppo di dirigenti medici ha intrapreso un’azione legale contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero della Salute. La loro richiesta era chiara: ottenere un risarcimento per i danni subiti a causa della mancata e tardiva attuazione delle direttive europee (93/104/CE e 2003/88/CE) che regolamentano l’orario di lavoro.

In particolare, i medici lamentavano di aver sistematicamente superato la durata media di 48 ore settimanali e di non aver beneficiato del riposo giornaliero minimo di 11 ore consecutive. Questo sfruttamento lavorativo si è verificato in un preciso arco temporale, dal 2008 al 25 novembre 2015, periodo in cui la legislazione italiana prevedeva specifiche deroghe per il personale sanitario, escludendolo di fatto dalle tutele garantite a livello europeo.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano respinto le richieste dei medici, non per la mancanza della violazione normativa, ma per un difetto di prova considerato assorbente: i ricorrenti non avevano dimostrato in modo analitico e specifico che le ore di lavoro in eccesso fossero una diretta conseguenza di turni imposti e non conformi, piuttosto che una scelta legata al loro ruolo dirigenziale e al raggiungimento di obiettivi aziendali.

La questione del risarcimento danni medici e l’onere della prova

La questione centrale portata all’attenzione della Cassazione era se, una volta accertata la palese violazione della normativa europea da parte dello Stato italiano, il risarcimento fosse una conseguenza quasi automatica o se incombessero sui lavoratori ulteriori e specifici oneri probatori. I medici sostenevano che la prova del superamento dei limiti orari, in un contesto di illegalità normativa, fosse sufficiente.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso dei medici, confermando la decisione della Corte d’Appello. La sentenza stabilisce un principio fondamentale: per ottenere il risarcimento danni medici, la sola violazione della direttiva europea da parte dello Stato non è sufficiente. È indispensabile che il lavoratore provi il nesso di causalità tra tale violazione e il danno specifico subito.

Il problema del nesso di causalità nel risarcimento danni medici

La Cassazione, pur riconoscendo senza esitazioni che le leggi italiane in vigore tra il 2008 e il 2015 costituivano una violazione “grave e manifesta” del diritto dell’Unione, ha individuato il punto debole della pretesa risarcitoria nella terza condizione richiesta dalla giurisprudenza europea per la responsabilità dello Stato: la dimostrazione del legame causale tra la violazione e il danno.

Le Motivazioni

Il cuore della motivazione risiede nella particolare natura del rapporto di lavoro del dirigente medico nel sistema sanitario nazionale. Questo ruolo è caratterizzato da un forte “vincolo di risultato”. Ciò significa che il dirigente non è solo un prestatore di lavoro, ma è responsabile del raggiungimento di obiettivi programmatici, dai quali dipende anche una parte della sua retribuzione.

Questa impostazione “aziendalistica”, secondo la Corte, introduce una variabile fondamentale. Il superamento dei limiti di orario potrebbe non essere la conseguenza di una costrizione derivante da turni illegittimi, ma il frutto di una scelta, seppur indotta, del dirigente per raggiungere gli obiettivi concordati.

In assenza di una specifica allegazione e prova contraria, è impossibile per il giudice distinguere tra le ore di lavoro eccedenti imposte da un’organizzazione del lavoro non conforme alle direttive e quelle svolte per una scelta volontaria finalizzata al conseguimento dei risultati. I medici avrebbero dovuto dimostrare che la loro prestazione lavorativa, per durata e modalità, era determinata da una regolamentazione (legale o contrattuale) difforme dalle norme europee, e non dal perseguimento autonomo degli obiettivi programmati. La generica affermazione di aver lavorato oltre i limiti non è stata ritenuta sufficiente a superare questo ostacolo probatorio.

Le Conclusioni

La sentenza n. 18384/2025 rappresenta un importante monito per i professionisti del settore sanitario che intendono agire per il riconoscimento dei loro diritti. La Corte di Cassazione non nega la gravità della condotta dello Stato, ma stabilisce che la responsabilità per danni non è presunta. Il lavoratore che chiede un risarcimento deve essere in grado di costruire una solida base probatoria, dimostrando non solo di aver subito un danno (ad esempio, usura psico-fisica da superlavoro), ma anche che tale danno è una conseguenza diretta e inevitabile dell’illegittimità della normativa e dell’organizzazione del lavoro imposta dal datore, e non una conseguenza del suo impegno per raggiungere i risultati connessi al suo ruolo dirigenziale.

Lo Stato italiano ha violato le direttive europee sull’orario di lavoro dei medici nel periodo 2008-2015?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che la normativa nazionale in vigore in quel periodo, che derogava ai limiti di orario e riposo per il personale sanitario, costituiva una violazione “grave e manifesta” del diritto dell’Unione Europea.

Perché la Cassazione ha negato il risarcimento danni medici nonostante la violazione dello Stato?
Il risarcimento è stato negato perché i medici non hanno fornito la prova del nesso di causalità. Non hanno dimostrato che le loro ore di lavoro in eccesso fossero una conseguenza diretta della normativa illegittima e dei turni imposti, piuttosto che una scelta legata alla loro responsabilità dirigenziale di raggiungere determinati obiettivi aziendali (“vincolo di risultato”).

Cosa avrebbero dovuto dimostrare i medici per ottenere il risarcimento?
I medici avrebbero dovuto provare in modo specifico e analitico che l’eccesso di orario lavorativo era direttamente causato da una regolamentazione dei turni e degli orari, fissata a livello legale o contrattuale, non conforme alle direttive europee, e non dal loro impegno volontario per raggiungere gli obiettivi programmati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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