Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 27162 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3   Num. 27162  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 10/10/2025
Oggetto
Responsabilità civile generale -Danni da illegittima esecuzione di sanzione disciplinare RAGIONE_SOCIALE
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29520/2022 R.G. proposto da COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, domiciliato digitalmente ex lege ;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentato  e  difeso  dal  AVV_NOTAIO,  domiciliato digitalmente ex lege ;
-controricorrente – avverso  la  sentenza  della  Corte  d’Appello  di Firenze,  n.  2238/2022, depositata in data 10 ottobre 2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17 settembre 2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
il AVV_NOTAIO convenne in giudizio, nel 2016, davanti al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, il RAGIONE_SOCIALE chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti per aver dato corso alla esecuzione della sanzione disciplinare della sospensione dall’attività RAGIONE_SOCIALE di un anno senza attendere l’esito, nelle varie fasi e gradi, dell’impugnazione da lui proposta avverso il provvedimento che ne costituiva il titolo, impugnazione alla fine accolta con riduzione della sanzione a sei mesi, quando però egli aveva ormai subito la sospensione dell’attività per un anno e dunque per un periodo eccedente di sei mesi quella stabilita in via definitiva;
con  sentenza  n.  778/2020  il  Tribunale  rigettò  la  domanda,  con decisione  confermata  dalla  Corte  d’appello  di  Firenze  (sentenza n. 2238/2022, resa pubblica il 10 ottobre 2022);
in motivazione la Corte toscana ha anzitutto così riassunto la vicenda disciplinare e processuale anteatta:
─ ricevuto esposto in merito a fatti disciplinarmente rilevanti e svolta l’istruttoria nel rispetto del contraddittorio, il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE addebitò al AVV_NOTAIO la violazione degli articoli 28, comma 1, n. 1 e 147, c. 1, lett. a) l. not., nonché dell’art. 54 del r.d. n. 1326 del 1914, sanzionati con la sospensione dall’esercizio della professione da sei mesi ad un anno;
─ con  decisione  depositata  in  data  14/07/2011  la  RAGIONE_SOCIALE della RAGIONE_SOCIALE (CoRAGIONE_SOCIALE) inflisse al AVV_NOTAIO la sanzione della sospensione dalla professione per un anno per violazione degli artt. 147 e 28 della legge RAGIONE_SOCIALE;
─ il COGNOME propo se reclamo innanzi alla Corte d’appello di Firenze, che lo respinse con ordinanza in data 5/1/2012, a seguito della quale, il 22/01/2012, il DottCOGNOME restituì il sigillo;
─ in data 6/03/2012 il AVV_NOTAIO impugnò tale decisione davanti alla Corte di  cassazione,  la  quale,  con  sentenza  n.  25408/2013,  pubblicata  il 2/11/2013, annullò con rinvio l’ordinanza della Corte d’appello di Firenze ritenendo non configurabile la violazione dell’art. 28 l. not. in presenza di
atti che, seppur proibiti dalla legge, non erano sanzionati con la nullità;
─ c on ordinanza del 4/7/2014, pronunciata in sede di rinvio, la Corte d’appello accolse al fine parzialmente il reclamo e ridusse la sanzione da dodici a sei mesi di sospensione;
ciò premesso la Corte di merito , adita in grado d’appello nel presente giudizio  risarcitorio,  ha  respinto  il  gravame  interposto  dal  COGNOME rilevando che nessun addebito di colpa (né tanto meno di dolo) potesse ascriversi  al  C.N.,  dal  momento  che  « una  volta  divenuta  esecutiva  la sanzione a seguito del rigetto del reclamo da parte della Corte d’appello, provvedimento dotato di esecutività, ne discendeva il divieto di esercitare le funzioni notarili »;
secondo i giudici fiorentini non si poteva, dunque, sostenere che un tale divieto trovasse la propria fonte in un provvedimento discrezionale del RAGIONE_SOCIALE, come anche dimostrato dal fatto che fu lo stesso COGNOME , a seguito del rigetto del suo reclamo, a restituire spontaneamente il sigillo per evitare la sua destituzione;
si  soggiunge  in  motivazione  che,  peraltro,  il  COGNOME  non  chiese  la sospensione degli effetti esecutivi della pronuncia alla Corte d’appello, ex art. 373 c.p.c., e neppure si rivolse al RAGIONE_SOCIALE per ottenere una eventuale sospensione del provvedimento in attesa della pronuncia della Corte in via di autotutela, che certamente non avrebbe potuto attivarsi d’ufficio, non valendo obiettare che detta istanza di sospensiva sarebbe stata sicuramente rigettata;
avverso tale decisione NOME COGNOME propone ricorso per cassazione con unico mezzo, cui resist e l’intimato depositando controricorso;
l a trattazione è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380bis.1 cod. proc. civ.;
non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero;
considerato che:
con l’unico complesso motivo il ricorrente denuncia la « violazione degli artt. 336, secondo comma, 475, 479 c.p.c., artt. 2043 c.c. e 24 Cost. »;
questi, in sintesi, gli argomenti:
─  ai  sensi  dell’art.    336,  secondo  comma,  c.p.c.,  la  riforma  o  la cassazione di un provvedimento estende i suoi effetti ai provvedimenti e agli atti dipendenti dalla sentenza riformata o cassata: nella specie è stata sofferta una sanzione disciplinare per un periodo doppio rispetto a quanto stabilito definitivamente, senza possibilità di restituzione in forma specifica;  ciò  giustificherebbe  la  sussidiaria  pretesa  risarcitoria ex art. 2043 c.c.;
─ erroneamente la Corte d’appello ha ritenuto il C.N. esente da colpa e rilevato che il divieto di esercitare la professione discendeva direttamente dalla esecutività che il provvedimento disciplinare aveva acquisito per effetto ex se del rigetto del reclamo; al contrario deve ritenersi che il RAGIONE_SOCIALE: a) ha agito con grave imprudenza, applicando immediatamente una sanzione disciplinare basata su un titolo non definitivo; b) ha violato gli artt. 475 e 479 c.p.c., secondo i quali le sentenze e gli altri provvedimenti giudiziari, per valere come titolo per l’esecuzione forzata, debbono essere muniti di formula esecutiva e notificati in forma esecutiva, adempimenti nella specie non rispettati;
─ l’assunto della Corte di merito contrasta inoltre con l’art. 146 , quarto comma, della legge RAGIONE_SOCIALE (il quale stabilisce che l’esecuzione della condanna alla sanzione disciplinare si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui il provvedimento è divenuto definitivo ) e con l’art. 158 -sexies della stessa legge (che prevede un sub-procedimento finalizzato all’applicazione di sanzioni cautelari in presenza di gravi infrazioni al codice deontologico): se ne ricava, secondo il ricorrente, che « se per un provvedimento ‘definitivo’ la legge fissa la possibilità della messa in esecuzione entro cinque anni dalla sua definitività e se, per gravi violazioni disciplinari, è previsto un subprocedimento ad hoc per sospendere in via cautelare l’iscritto, è dunque illogico e contraddittorio che una decisione immediatamente esecutiva, quindi ancora soggetta a caducazione, debba avere applicazione subitanea a prescindere dalla sua messa in attuazione e senza rispettare la riferita normativa codicistica; se così fosse la
disciplina inerente (al) la pronuncia non definitiva risulterebbe assai più severa di quella definitiva »; « se il termine di prescrizione per la messa in esecuzione della pronuncia sanzionatoria decorre dalla definitività di questa, anziché dalla sua emissione, significa che la regola è che l’inflizione della sanzione deve avvenire in forza di un provvedimento inoppugnabile»; « la previsione di immediata esecutività della stessa di cui all’art. 158 -ter, terzo comma, l.n. ne costituisce eccezione: quindi chi era preposto alla sua anticipata attuazione avrebbe dovuto agire con saggezza ed elevata cautela »;
─ è stata la messa in applicazione della sentenza della Corte d’appello del 5 gennaio 2012, avvenuta mediante la notifica di questa in data 20 gennaio 2012, a dare inizio al periodo sanzionatorio in data 23 gennaio 2012; la notifica del titolo esecutivo costituisce un prodromo ineludibile per qualunque specie di esecuzione forzata; del resto, non si comprenderebbe perché la sanzione ha avuto inizio soltanto il 23 gennaio 2012 (stesso giorno della riconsegna del sigillo RAGIONE_SOCIALE) e non il 5 gennaio 2012 in cui è stata pubblicata la decisione , con l’aberrante effetto di dare inizio al periodo sanzionatorio quando la sentenza non era ancora nota all’incolpato;
─ il risarcimento non può che essere chiesto con autonoma azione di cognizione, non potendo trovare applicazione l’art. 96 c.p.c., in quanto ipotesi di responsabilità non contemplata dalla norma; per di più il danno si è sostanziato solo a seguito della pronuncia resa in sede di rinvio in data 4 luglio 2014 che ha ridotto il periodo sanzionatorio da un anno a sei mesi;
─ non vale argomentare sulla restituzione del sigillo da parte del notaio, in quanto obbligatoria ai sensi dell’art. 64, secondo comma, Reg. Not. (r.d. n. 1326 del 1914) per il notaio sospeso, inabilitato od interdetto temporaneamente dall’esercizio e pres critta a pena di destituzione ai sensi dell’art. 142, comma 1, lett. a) legge not.; altro, pertanto, non poteva farsi una volta ricevuta la notifica del provvedimento reso sul reclamo e dopo che la sospensione era stata comunicata dal RAGIONE_SOCIALE a tutti gli iscritti con mail del 12 gennaio 2012;
─ il RAGIONE_SOCIALE peraltro non ha neppure provveduto cautelativamente a sospendere il provvedimento disciplinare una volta ricevuta, il 6 marzo 2012, la notifica del ricorso per cassazione;
─ è infondato e inconferente il riferimento nella sentenza impugnata alla mancata presentazione dell’istanza di sospensione della decisione ex art. 373 c.p.c., atteso che: era stata proposta istanza ai sensi dell’art. 158quinquies , commi 2 e 4, l.n. col reclamo alla Corte d’appello avverso la decisione della RAGIONE_SOCIALEReRAGIONE_SOCIALEDi., in relazione alla pendenza di un procedimento penale per gli stessi fatti, ma tale istanza era stata rigettata; è vero che non fu poi proposta istanza di sospensione ex art. 373 c.p.c., ma non vi era alcun obbligo in tal senso e l’argomento non vale a e scludere la responsabilità del RAGIONE_SOCIALE;
─ è inconferente altresì il rilievo che si trattava di atto giuridicamente lecito, dal momento che non era posta in dubbio la regolarità dell’inflizione della sanzione, bensì il merito di applicarla anticipatamente;
─ l’immediata esecuzione della sanzione disciplinare ha vanificato il diritto di difesa; l a tempistica dell’esecuzione ha reso inutile il ricorso per cassazione,  poiché  il  periodo  sanzionatorio  era  già  stato  interamente scontato al momento della pronuncia della Suprema Corte;
questi essendo i termini della questione sottoposta al vaglio di questa Corte è preliminare e assorbente il rilievo ─ che, come subito appresso si dirà, è possibile e doveroso operare d’ufficio anche nel presente giudizio di legittimità ─ della inammissibilità della domanda risarcitoria in giudizio autonomo e distinto da quello relativo alla impugnazione del provvedimento sanzionatorio, nel quale invece la pretesa risarcitoria avrebbe dovuto essere azionata ai sensi dell’art. 96, primo comma, c. p.c.;
non può ostare a tale rilievo la circostanza che la pretesa risarcitoria fosse  espressamente  riferita,  nella  domanda  introduttiva,  alla  clausola generale di cui all’art. 2043 cod. civ., non avendo tale qualificazione della domanda  formato  oggetto  di  alcuna  pronuncia  o  passaggio  logico preliminare sul quale possa dirsi formato il vincolo di giudicato interno e non potendo la qualificazione delle parti impedire l’esercizio del
potere/dovere spettante alla Corte di legittimità di diversamente qualificare in  iure la  domanda  sulla  base  dei  fatti  che  ne  sono  posti  a fondamento;
peraltro -come ripetutamente affermato da questa Corte ─ « non è mestieri a discorrere di ‘giudicato’ sulla qualificazione giuridica, quando si tratti soltanto di stabilire, fermi i fatti accertati, quale norma debba applicarsi ad una determinata fattispecie concreta; in questa ipotesi, in virtù del principio jura novit curia , è sempre consentito al giudice – anche in sede di legittimità ‘valutare d’ufficio, sulla scorta degli elementi ritualmente acquisiti, la corretta individuazione ‘ della norma applicabile » (così, da ultimo, in motivazione, Cass. 10/11/2023, n. 31330);
è infondato al riguardo l’assunto del ricorrente secondo cui l’ipotesi considerata non sarebbe contemplata dall’art. 96 c.p.c. : assunto non supportato da alcuna proposta esegetica delle norme e peraltro contraddetto dall’accostamento che lo stesso ricorrente propone a fine di pag. 29 ed inizio di pag. 30 del ricorso al « decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo poi revocato » , alla « sentenza provvisoriamente esecutiva poi riformata » e al « sequestro conservativo eseguito e non convalidato », quali ipotesi che possono dar luogo a responsabilità a carico di chi li abbia eseguiti ai sensi dell’art. 96, secondo comma, c.p.c.;
occorre  por  mente  al  riguardo  al  fatto  che  la  pretesa  risarcitoria  è chiaramente riferita (non alla iniziativa disciplinare in sé, del resto risultata anche,  seppur  in  parte,  fondata,  ma)  al  comportamento  processuale assunto dalla controparte nel corso del giudizio di reclamo e, segnatamente, nelle fasi e gradi successivi al provvedimento di rigetto di tale impugnazione, resa dalla Corte d’appello con ordinanza del 5 gennaio 2012;
va ricordato al riguardo che le decisioni della RAGIONE_SOCIALE possono essere impugnate in sede giurisdizionale con reclamo alla Corte d’appello (art. 158 l.n.) e che quanto al rapporto che si pone tra il giudizio amministrativo che  si conclude  davanti  alla RAGIONE_SOCIALE e il successivo  giudizio di
impugnazione che si propone davanti alla Corte d’appello, la giurisprudenza ha avuto modo di precisare che quest’ultimo non si può configurare come un secondo grado, ma più propriamente è da intendere come una seconda fase del giudizio, che nasce con un reclamo e impone il riesame del merito rispetto alla decisione dell’organo amministrativo (v. Cass., 23/01/2014, n. 1437; 12/12/2017, n. 29717, v. anche Cass. Sez. U. 18/01/2019, n. 1415);
ebbene, è alla condotta tenuta dal C.RAGIONE_SOCIALE. nel corso di tale giudizio che è riferita la pretesa risarcitoria dell’odierno ricorrente;
non è dato conoscere (non emergendo dagli atti e non indicandolo le parti) la data in cui esso venne introdotto, l’incertezza sul punto è però irrilevante, essendo comunque certa l’applicazione di norme del processo civile: la relativa disciplina, infatti, nel testo anteriore alle modifiche apportate dal d.lgs. n. 150 del 2011, richiamava gli artt. 737 e ss. c.p.c. (art. 158bis l.n., ora abrogato; v. Cass. 16/10/2012, n. 17697) mentre nel testo risultante da tali modifiche (art. 158, comma 2, l.n.) richiama l’art. 26 d.lgs . n. 150 del 2011 e, dunque, il « rito sommario di cognizione » (ora « rito semplificato di cognizione »);
nel corso di tale giudizio ─ e, precisamente, in pendenza dei termini per proporre ricorso avverso l’ordinanza sopra richiamata ─ il C.N. avrebbe, secondo la prospettazione dell’istante, imprudentemente portato ad esecuzione il provvedimento sanzionatorio con ciò arrecando pregiudizio alla situazione sostanziale che proprio il giudizio di reclamo era volto primariamente a tutelare, vale a dire il diritto a proseguire nell’attività professionale in quanto , in thesi , infondatamente attinto dalla sanzione disciplinare;
non può dunque dubitarsi della natura strettamente accessoria della pretesa risarcitoria rispetto alla situazione tutelata nel giudizio nel corso del quale la condotta lesiva sarebbe stata realizzata, palesandosi del tutto illogica,  prima  ancora  che  infondata,  la  contraria  ricostruzione  del ricorrente secondo cui il danno si sarebbe « sostanziato » solo a seguito della pronuncia che, in sede di rinvio in data 4 luglio 2014, ha ridotto il
periodo sanzionatorio da un anno a sei mesi;
è, infatti, del tutto evidente che tale pronuncia ha semmai solo fatto emergere la mancanza di titolo giustificativo ─ e dunque l’illegittimità ─ della  già  sofferta  sospensione  per  sei  mesi  in  più  di  quanto  dovuto, pregiudizio dunque già verificatosi e oggettivamente nascente non dalla ordinanza del 2014 ma, come lo stesso ricorrente ripetutamente afferma in altre parti del ricorso, dalla esecuzione della sanzione in pendenza del giudizio di reclamo nelle sue varie fasi e gradi;
ciò rendeva proponibile la relativa domanda risarcitoria (in disparte ogni valutazione sulla sua fondatezza) solo nel corso dello stesso giudizio di reclamo, eventualmente anche in sede di rinvio dalla Cassazione, ma non certo in autonomo giudizio;
come, infatti, ancora da ultimo rimarcato dalle Sezioni Unite di questa Corte, infatti, (v. Cass. Sez. U. 29/08/2025, n. 24172, in motivazione, § 14, cui si rimanda anche per il richiamo ad altri conformi precedenti sul tema):
─ « la norma di cui all’art. 96 c.p.c., la quale disciplina la fattispecie risarcitoria speciale per responsabilità aggravata ossia per l’uso strumentale del processo in vista di scopi diversi da quelli per cui è preordinato (c.d. lite temeraria) -, non pone una regola di competenza (e, dunque, non indica avanti a quale giudice si può esercitare un’azione di cui l’istanza è espressione), ma disciplina un fenomeno che si colloca all’interno di un processo già pendente e che si esprime nell’esercizio da part e del litigante di un potere all’interno di esso – quello di formulazione di un’istanza (e non della proposizione di un’azione) -, il cui esercizio impone al giudice di provvedere sull’oggetto della richiesta, la quale, dunque, è strettamente collegata e c onnessa all’agire od al resistere in giudizio »;
─ « trova, infatti, rilievo un illecito di natura processuale, connesso allo svolgimento di un’attività giurisdizionale, per cui è logico corollario che solo il giudice di quella causa -ossia, la causa nella quale il comportamento scorretto è stato tenuto – sia chiamato ad esaminare il
fondamento della domanda risarcitoria »;
─ « ne discende, quindi, che il potere di rivolgere l’istanza, essendo previsto come potere endoprocessuale collegato e connesso all’azione od alla resistenza in giudizio, non può essere considerato (salvo il caso eccezionale in cui il suo esercizio sia rimasto precluso per una impossibilità di fatto o di diritto all’articolazione della domanda in quel processo) come potere esercitabile al di fuori del processo e, quindi, suscettibile di essere esercitato avanti ad altro giudice, cioè in via di azione autonoma »;
─ « pertanto,  quando  un  tale  esercizio  avvenisse,  si  configurerebbe come esercizio di un’azione per un diritto non previsto dall’ordinamento, il  quale contempla, per l’appunto, il diritto al risarcimento del danno da responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c. soltanto come espressione del diritto di azione esercitato nel processo in cui è reclamata la tutela della situazione giuridica soggettiva principale »;
─ « n e discende che l’esperimento dell’azione in una sede processuale diversa  da  quella  in  cui  i  presupposti  di  tale  responsabilità  si  sono manifestati determina l’inammissibilità della domanda volta a richiederne l’accertamento »;
in termini convergenti e con riferimento ad ipotesi per certi versi contigua a quella in esame si erano già pronunciate le Sezioni Unite con sentenza n. 25478 del 21/09/2021 (richiamata infatti anche dal più recente arresto sopra citato), affermando il principio secondo cui « l’istanza con la quale si chieda il risarcimento dei danni, ai sensi dell’art. 96, secondo comma, cod. proc. civ., per aver intrapreso o compiuto l’esecuzione forzata senza la normale prudenza, in forza di un titolo esecutivo di formazione giudiziale non definitivo, successivamente caducato, deve essere proposta, di regola, in sede di cognizione, ossia nel giudizio in cui si è formato o deve divenire definitivo il titolo esecutivo, ove quel giudizio sia ancora pendente e non vi siano preclusioni di natura processuale; ricorrendo, invece, quest’ultima ipotesi, la domanda andrà posta al giudice dell’opposizione all’esecuzione; e, solamente quando sussista un’ipotesi di impossibilità di fatto o di diritto alla proposizione
della domanda anche in sede di opposizione all’esecuzione, potrà esserne consentita la proposizione in un giudizio autonomo »;
importante corollario di tali considerazioni, che proprio la pronuncia da ultimo citata di Cass. Sez. U. n. 24172 del 2025 ha ben messo in luce, è la rilevabilità d’ufficio, in ogni stato e grado, di tale inammissibilità;
si è infatti rilevato che:
─ « q ualificando in questi termini il contenuto precettivo dell’art. 96 c.p.c.,  la  sua  violazione  è  rilevabile  d’ufficio  in  ogni  stato  e  grado  del processo; si tratta, infatti, di una patologia che riguarda un presupposto fondante  del  meccanismo  processuale,  idoneo  a  dar  causa  ad  una situazione  di  ‘originaria  indecidibilità’  nel  merito  della  domanda  volta all’accertamento della responsabilità aggravata »;
─ « il vizio in esame mina in radice l’esistenza della potestas iudicandi da  parte  del  giudice,  poiché  comporta  un  difetto  nella  costituzione  del rapporto-giuridico  processuale,  risolvendosi  in  una  sentenza  di  merito inutiliter data»;
─ non può dunque nemmeno predicarsi la formazione di un giudicato implicito  sull’ammissibilità  della  domanda, per  effetto  del  suo  mancato rilievo  officioso  sia  in  primo  grado  che  in  appello  e  della  mancata  sua deduzione quale motivo di impugnazione, dal momento che « la questione avente ad oggetto tale vizio è … estromessa dall’area di copertura del giudicato  implicito,  perché  non  può  costituire  oggetto  di  una  implicita decisione »;
per le esposte considerazioni deve dunque pervenirsi, ai sensi dell’art. 382, terzo comma, c.p.c., alla cassazione, senza rinvio, della sentenza impugnata, poiché « la causa non poteva essere proposta »;
avuto riguardo alle ragioni della decisione, si ravvisano i presupposti per l’integrale compensazione delle spese;
P.Q.M.
cassa senza rinvio la sentenza impugnata. Compensa per intero tra le parti  le  spese  di  entrambi  i  gradi  del  giudizio  di  merito  e  del  presente giudizio di legittimità.
Così  deciso  in  Roma,  nella  Camera  di  consiglio  della  Sezione  Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 17 settembre 2025.
Il Presidente NOME COGNOME