Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 7072 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 7072 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4420/2021 R.G. proposto da: COGNOME NOME e COGNOME NOME, entrambi in proprio e quali legali rappresentanti dell’RAGIONE_SOCIALE, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), pec: EMAIL;
-ricorrenti-
contro
RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE, in persona del procuratore speciale, NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), pec: EMAIL;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di CATANZARO n. 1665/2020 depositata il 11/12/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/01/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
I signori NOME NOME COGNOME, in proprio e quali rappresentanti legali dello RAGIONE_SOCIALE, convenivano, dianzi al Tribunale di Paola, RAGIONE_SOCIALE per essere risarciti dei danni subiti (ammontanti ad euro 164.456,15) a causa della violazione degli obblighi contrattuali da parte della convenuta che, a partire dall’inizio del mese di agosto del 2009, in maniera del tutto arbitraria e ingiustificata, interrompeva il servizio di utenza telefonica, dopo aver comunicato l’avvenuta attivazione a partire dal 28 luglio 2009 del servizio Alice Business Voce tutto incluso; art. 700 cod.proc.civ. del Tribunale di Paola, sezione distaccata di Scalea (confermato in sede di reclamo), RAGIONE_SOCIALE provvedeva a ripristinare la linea telefonica in solo per effetto del provvedimento ex data 24 novembre 2009;
con la sentenza n. 642/2017 il Tribunale di Paola accoglieva parzialmente la domanda attorea e condannava RAGIONE_SOCIALE al pagamento a titolo di euro 74.262,00, oltre agli accessori di legge, ed alle spese di giudizio;
RAGIONE_SOCIALE proponeva appello avverso detta decisione, denunciando l’assenza dell’inadempimento imputatole, il difetto di prova del danno subito dagli appellati, l’illegittimo accoglimento della domanda di indennizzo per essere stata tardivamente proposta;
la Corte d’appello di Catanzaro, con la sentenza n. 1665/2020 , depositata il 11/12/2020, ha accolto parzialmente l’appello, ha ridotto ad euro 3.580,00 la somma spettante agli appellati, ha rideterminato le spese di lite, compensandole tra le parti;
NOME e NOME COGNOME ricorrono per la cassazione di detta sentenza, formulando due motivi;
resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE;
la trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 bis 1 cod.proc.civ.;
entrambe le parti hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti deducono la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360, 1° comma, nn. 3, 4 e 5, cod.proc.civ., per motivazione apparente, contraddistinta da illogicità e contraddittorietà delle argomentazioni nonché per omessa pronuncia su un fatto decisivo e per falsa applicazione degli artt. 112, 342, 329 cod.proc.civ., 2909 cod.civ.;
il motivo è sottoarticolato in tre ordini di censure introdotti alle lettere A), B) e C);
sub lett. A), i ricorrenti adducono ‘la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 cpc e l’assenza di ogni verifica delle argomentazioni proposte da parte di RAGIONE_SOCIALE‘;
il giudice a quo ha ritenuto un mero errore materiale non influente sulla ritualità dell’atto di appello la conclusioni dell’atto di appello -ove parte appellante richiedeva l’accoglimento dell’opposizione spiegata dalla RAGIONE_SOCIALE e per l’effetto la dichiarazione di nullità e/o inefficacia del decreto ingiuntivo n. 3/09 -; a tal fine ha evocat o Cass. 25751/2003, la stessa indicata dall’appellante nelle sue argomentazioni difensive, ma senza considerare- secondo parte ricorrente che detta decisione era riferita al testo dell’art. 342 cod.proc.civ. anteriore alle modifiche introdotte con il dl n. 83/2012;
ne trae la conclusione che, secondo i principi enunciati da Cass., Sez. Un., n. 27199/2017, l’atto di appello, non riportando le conclusioni riferibili ad un’altra controversia, avrebbe omesso di
impugnare (dimostrando acquiescenza) la sentenza di primo grado nella quale era stato motivato e quantificato il danno;
i ricorrenti fanno valere il fatto che la richiesta nel merito era avulsa da ogni attinenza con i fatti di causa, rendendo non chiaro che cosa l’appellante avesse chiesto cioè come voleva venisse modificata la sentenza di prime cure;
anche la domanda subordinata, con cui RAGIONE_SOCIALE chiedeva che gli appellati fossero condannati alla restituzione di tutte le somme eventualmente pagate in esecuzione della sentenza di prime cure per come dettagliatamente indicate in prosieguo, risulterebbe incomprensibile, priva di riferimenti normativi, e sarebbe incorsa nel divieto delle preclusioni processuali;
i ricorrenti rimproverano, inoltre, alla Corte d’appello di avere fatto proprie le precisazioni contenute nella memoria di replica dell’appellante;
B) con questo secondo ordine di censure, i ricorrenti affermano che si sarebbe formato il giudicato sul fatto che da agosto a novembre 2009 lo studio RAGIONE_SOCIALE non aveva avuto a sua disposizione una linea telefonica fissa e sulla ricorrenza e sui criteri di quantificazione del danno in via equitativa;
C) infine -ed è questo l’ultimo ordine di censure -l’atto di appello sarebbe nullo per difetto di petitum e di causa petendi , perciò la Corte d’appello, incorrendo nella violazione dell’art. 112 cod.proc.civ., si sarebbe sostituita a RAGIONE_SOCIALE nel dedurre le conclusioni;
il motivo in tutte le sue articolazioni non merita accoglimento;
innanzitutto, mette conto premettere che:
-stabilire se il gravame soddisfi oppure no i requisiti richiesti dall’art 342 cod.proc.civ. è un giudizio di fatto;
trattandosi di un fatto a rilievo squisitamente processuale, è, tuttavia, consentito a questa Corte di sindacare nel merito la correttezza della valutazione compiuta dalla
sentenza impugnata (in applicazione dei principi sanciti da questa Corte, Sez. Un., 22/05/2012, n. 8077, con riferimento all’ipotesi di nullità dell’atto di citazione);
nondimeno, si rileva che, nel caso di specie, parte ricorrente insiste nel circoscrivere la propria censura al fatto che l’appellante abbia rassegnato conclusioni relative ad una controversia diversa rispetto a quella per cui è causa, omettendo di rilevare che la Corte d’Appello dimostra di avere attinto al criterio del raggiungimento dello scopo da parte dell’atto impugnato – a p. 6, in particolare, il giudice a quo ha precisato che l’atto di appello conteneva un paragrafo ad hoc che individuava le parti della sentenza censurate, con le specifiche conclusioni per ogni singolo motivo e la richiesta di riforma della parte della sentenza gravata senza che ciò sia stato contestato efficacemente da parte ricorrente; tutta l’argomentazione difensiva prospettata dai ricorrenti fa leva sulla enfatizzazione de ll’errore presente nelle conclusioni dell’atto di appello senza alcuna dimostrazione dell’impatto negativo che avrebbe avuto sulla ratio ispiratrice dell’art 342 cod.proc.civ.; né deducono di avere avuto difficoltà nel percepire l’esatta portata delle ragioni di appello allo scopo di predisporre una precisa linea difensiva;
tanto dimostra che parte ricorrente non ha messo bene a fuoco la ratio sottesa dall’art 342 cod.proc.civ., la quale è stata oggetto di ponderata valutazione da parte di questa Corte a Sezioni unite con la pronuncia n. 27199 del 16/11/2017, univocamente orientata ad escludere che per l’atto d’appello sia richiesta l’osservanza di alcun vacuo formalismo fine a se stesso o alcuna trascrizione integrale o parziale della sentenza appellata o di parti di essa, giacché il novellato art 342 cod.proc.civ. esige invece dall’appellante: “la chiara ed inequivoca indicazione delle censure che intende muovere alla sentenza appellata, tanto in punto di ricostruzione dei fatti, quanto in punto di diritto; gli argomenti che intende contrapporre a
quelli adottati dal giudice di primo grado a sostegno della decisione”;
la spiegazione si rintraccia nell’art. 156 cod.proc.civ., comma 3, secondo il quale la nullità di un atto processuale non può mai essere pronunciata se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato, nel principio per cui le norme processuali ove necessitino di essere interpretate, perché ambigue, devono favorire una decisione di merito piuttosto che esiti abortivi del processo, posto che rappresentano il mezzo attraverso cui si concretizza la giustizia della decisione, non il fine stesso del processo (cfr. Cass. Sez. Un., 12/12/2014 n. 26242), nell’interpretazione sovranazionale sia del diritto processuale sia di quello sostanziale: cfr. art. 6, comma 3, del Trattato sull’Unione Europea che deve essere inteso quale monito affinché la domanda di giustizia dei consociati sia, per quanto possibile, esaminata sempre e preferibilmente nel merito, con conseguente sollecitazione agli organi giudiziari degli Stati membri di evitare gli eccessi di formalismo quanto ad ammissibilità o ricevibilità dei ricorsi;
il fatto stesso che la Corte d’Appello abbia ritenuto individuabili le ragioni di dissenso rispetto alle decisione del giudice di prime cure esclude che possa utilmente affermarsi la sussistenza di un’acquiescenza tacita -da parte di RAGIONE_SOCIALE; detta acquiescenza richiederebbe un comportamento processuale incompatibile con la volontà di avvalersi dell’impugnazione e dal quale sia possibile desumere, in maniera precisa ed univoca, il proposito di non contrastare gli effetti giuridici della pronuncia (Cass. 28/08/2015, n. NUMERO_DOCUMENTO);
2) con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la nullità della sentenza, ex art. 360, 1° comma, nn. 3, 4 e 5, cod.proc.civ., per motivazione apparente contraddistinta da illogicità e contraddittorietà delle argomentazioni nonché violazione e falsa
applicazione degli artt. 1218, 1224, 1226, 2697 e 2729 cod.civ nonché degli artt. 115 e 116 cod.proc.civ.;
ancora una volta i ricorrenti assumono che la Corte territoriale abbia fatto proprie le conclusioni dell’appellante, discostandosi dagli orientamenti di legittimità in ordine al riconoscimento ed alla quantificazione del danno da lucro cessante e da perdita di chance ; avrebbe citato Cass.. n. 2228/2012 , ma lo avrebbe fatto erroneamente, perché detta pronuncia si riferiva al danno non patrimoniale e non al danno da perdita di chance né al danno patrimoniale da lucro cessante e quindi non sarebbe stata conferente;
in aggiunta, la Corte d’Appello avrebbe erroneamente affermato che la richiesta risarcitoria accolta dal giudice di primo grado era stata basata sui parametri indicati dai ricorrenti (cfr. p. 10 della sentenza), una sorta di formula matematica che però secondo il giudice a quo non ‘è utilizzabile per parametrare e determinare un eventuale danno patrimoniale da lucro cessante in termini monetari, stante comunque, la carenza probatoria non ottemperata e gravante nei confronti degli odierni appellati i quali si sono attenuti a delle dichiarazioni de redditi dai quali tuttavia non si evidenzia una sostanziale riduzione di fatturato e comunque non si rileva che la riduzione fosse imputabile ad una inferiore entrate nel periodo in contestazione’ ; sicché -ha concluso la Corte territoriale -la decisione del Tribunale ‘si appalesa arbitraria e sottratta ad ogni controllo’; ma ciò sarebbe smentito per tabulas , avendo gli odierni ricorrenti fatto riferimento alla differenza di reddito del 2009 rispetto a quello del 2008, emergente dalle dichiarazioni dei redditi, e alla consulenza di NOME COGNOME ;
la Corte d’appello, ritenendo che dalle prove testimoniali assunte non era emerso alcun elemento acclarante la sussistenza di un nesso di causa tra il disservizio e la contrazione del reddito, non avrebbe tenuto conto dell’utilizzo abnorme dell’utenza mobile che
anziché dimostrare il danno subito sarebbe stato indicato dalla Corte territoriale come un elemento atto a dimostrare che i disservizi erano stati superati;
avrebbe, pur in presenza di elementi indiziari gravi, precisi e concordanti circa l’esistenza del danno, omesso di ricorrere alla valutazione equitativa, incorrendo nella violazione di Cass. n. 19497/2017; Cass. n. 19342/2017; Cass. n. 14916/2018; Cass. n. 2358/2019;
inoltre, avrebbe violato gli artt. 115 e 116 cod.proc.civ. nonché gli artt. 1218 e 2697 cod.civ. per avere rigettato una domanda risarcitoria conseguente ad un inadempimento contrattuale opportunamente provata;
il motivo è complessivamente inaccoglibile;
le plurime censure mosse alla sentenza impugnata tradiscono una richiesta di diversa valutazione dei fatti di causa, supportata da ragioni varie, ma tutte prive di pregio;
spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento che, ove motivato, sfugge al sindacato di legittimità, dovendosi tuttavia rilevare che la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi a prospettare l’ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio;
nel caso in esame, i ricorrenti sostanzialmente chiedono a questo Collegio di compiere un dato ragionamento presuntivo, in modo da sostituire al convincimento della Corte territoriale -che ha affermato che non vi erano gli elementi per ritenere neppure presuntivamente che i ricorrenti avessero subito a causa dei disservizi una perdita di clientela: così a p. 9 -il proprio,
prospettato come semplicemente alternativo; il che non è consentito;
la Corte territoriale, infatti, ha sostenuto con una motivazione che non presta il fianco a critiche che i ricorrenti non avevano provato il nesso di causalità giuridica (ossia non avevano allegato né provato le singole conseguenze pregiudizievoli derivanti dall’evento lesivo che il ricorrente si limita ad invocare), pretendendone la liquidazione equitativa: per tutte, in argomento, cfr. Cass. 26/07/2017, n. 18392);
la liquidazione equitativa presuppone che il pregiudizio del quale si reclama il risarcimento sia stato accertato nella sua consistenza ontologica; se tale certezza non sussiste, il giudice non può procedere alla quantificazione del danno in via equitativa, non sottraendosi tale ipotesi all’applicazione del principio dell’onere della prova quale regola del giudizio, secondo il quale se l’attore non ha fornito la prova del suo diritto in giudizio la sua domanda deve essere rigettata, atteso che il potere del giudice di liquidare equitativamente il danno ha la sola funzione di colmare le lacune insuperabili ai fini della sua precisa determinazione (Cass. 14/05/2018, n.11698);
i ricorrenti pretendono un inammissibile riesame del corredo probatorio di cui la Corte d’Appello si è avvalsa per ritenere che la ricorrenza dei danni lamentati dal ricorrente non fosse provata; quello di legittimità, però, non è un terzo giudizio di merito che può surrettiziamente essere introdotto attraverso la generica denuncia di una violazione di legge;
anche in punto di valutazione delle risultanze della prova testimoniale, verso cui si indirizza buona parte delle argomentazioni difensive, le critiche involgono esclusivamente apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della decisione una fonte di prova o nell’escluderla, non incontra alcun limite se non quello di indicare le
ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento prospettato dalle parti od a confutare ogni deduzione difensiva; la Corte territoriale ha ritenuto che dall’istruttoria espletata non era emerso alcun elemento che dimostrasse che l’inadempimento di RAGIONE_SOCIALE ave va provocato una contrazione patrimoniale a carico dei ricorrenti; detta statuizione è supportata da precisi riferimenti: la genericità e la vaghezza delle deposizioni testimoniali, la mancata prova dell’impossibilità di stabilire contatti telefonici con i propri clienti, tant’è che erano state addotte e documentate spese di euro 1680,00 per l’uso di telefoni cellulari in luogo del telefono fisso;
il fatto che Cass. 2228/2012 si riferisca al danno non patrimoniale è vero, ma anche senza considerare che i ricorrenti avevano chiesto anche la liquidazione del danno non patrimoniale (quantificandolo in euro 40.000,00), la Corte d’appello si è limitata a precisare che la richiesta di condanna al risarcimento del danno deve essere supportata dalla prova del nesso eziologico tra il danno e i comportamenti addebitati alla controparte; perciò, non può esserle mossa alcuna censura;
il ricorso va rigettato;
le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in solido, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 5.800,00, di cui euro 5.600,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari
a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso nella Camera di Consiglio del 9/01/2024 dalla Terza