Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 18093 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 18093 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 03/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 29792-2022 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1227/2022 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 21/10/2022 R.G.N. 1322/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
02/04/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte di appello di Catania ha confermato la pronuncia emessa dal Tribunale della stessa sede con la quale era stata
Oggetto
Risarcimento danni rapporto privato
R.G.N. 29792/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 02/04/2025
CC
accolta la domanda proposta da RAGIONE_SOCIALE avverso il dipendente NOME COGNOME in servizio con mansioni di Direttore presso l’Ufficio postale di San Gregorio di Catania, dirette ad ottenere la condanna di quest’ultimo al risarcimento del danno per responsabilità contrattuale, cagionato all’azienda ex art. 1218 cod. civ. e al pagamento della somma di euro 3.197.503,68, oltre accessori, per avere riscosso, illecitamente e all’insaputa dei titolari, buoni fruttiferi postali senza la materiale produzione dei titoli originari in possesso, ancora, di fatto agli ignari intestatari.
La Corte distrettuale, opinato ammissibile il gravame, ha ritenuto adeguatamente motivata la decisione di primo grado e non contestati i fatti allegati da Poste Italiane S.p.a.; in ogni caso, ha considerato infondate le censure del lavoratore tardivamente presentate in ordine alle prove relative alla vicenda oggetto del presente giudizio; ha, infine, considerato documentalmente dimostrato il danno patito dalla società attraverso la regolarizzazione e restituzione, da parte di questa, delle somme indebitamente prelevate dal dipendente.
Avverso la sentenza di secondo grado NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi cui ha resistito con controricorso la società intimata.
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
CONSIDERATO CHE
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo si denuncia la violazione dell’art. 132 co. 2 n. 4 cpc, con riferimento all’art. 360 co. 1 n. 5 cpc, in ordine all’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, trattandosi di
motivazione meramente apparente. Si sostiene, dopo avere riportato la pronuncia di prime cure confermata dalla Corte territoriale, che si verteva in una ipotesi di motivazione apparente ed incomprensibile dal punto di vista logicogiuridico, senza alcun sviluppo delle ragioni per le quali erano state ritenute fondate le argomentazioni espresse in primo grado.
Con il secondo motivo si censura la violazione degli artt. 115 co. 1 e 116 co. 1 cpc, con riferimento all’art. 360 co. 1 n. 5 cpc, in ordine all’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ossia concernente la pronuncia fondata erroneamente sul principio di non contestazione. Si deduce che i giudici del merito avrebbero valutato le prove omettendo di avvalersi del loro prudente apprezzamento ed applicando il principio di non contestazione in maniera del tutto arbitraria ed erronea.
Con il terzo motivo si obietta la violazione degli artt. 1227 cod. civ. e 116 co. 1 cpc, con riferimento all’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ossia concernente l’erroneo esercizio del prudente apprezzamento nella valutazione del concorso di colpa della società, consistente nell’avere omesso del tutto i controlli dovuti sulle operazioni di rimborso dei buoni fruttiferi postali: circostanza che avrebbe diminuito l’entità del risarcimento ric hiesto a norma dell’art. 1227 cod. civ.
Il primo motivo è infondato.
Il vizio di motivazione previsto dall’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna
esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass. n. 3819/2020).
Inoltre, va ribadito che, in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass. n. 23940/2017, Cass. 22598/2018): nel caso de quo l’iter logico giuridico seguito nella gravata pronuncia è chiaro e spiega le ragioni poste a base della decisione.
Nella fattispecie, l’iter logico -giuridico seguito dai giudici di seconde cure è chiaro e comprensibile: essi, infatti, hanno in primo luogo condiviso la valutazione del Tribunale circa la mancata specifica contestazione, da parte dello Spina, dei fatti puntualmente allegati dalla società; in secondo luogo, hanno comunque valutato le censure tardivamente sollevate
in ordine alla ritualità delle prove acquisite, sia documentali che orali, anche sotto il profilo della loro necessità ai fini della ricerca della verità materiale dei fatti, poste a fondamento della decisione; in terzo luogo, hanno considerato documentalmente provato il danno che la Società ha patito, avendo dovuto regolarizzare e restituire tutte le somme sottratte in frode, ed escluso ogni corresponsabilità della datrice di lavoro anche di natura colposa.
I restanti due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente per connessione logico-giuridica, sono parimenti infondati.
Invero, deve rilevarsi che le censure non si sostanziano in violazioni o falsa applicazione delle disposizioni denunciate, ma tendono alla sollecitazione di una rivisitazione del merito della vicenda (Cass. n. 27197/2011; Cass. n. 6288/2011, Cass. n. 16038/2013), non consentita in sede di legittimità.
Deve rilevarsi, in via preliminare, che le censure di omessa valutazione di un fatto decisivo incontrano il limite della cd. ‘doppia conforme’, su questioni di fatto.
L’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. in l. n. 134 del 2012, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia ). L’omesso esame di elementi istruttori, pertanto, non integra di per sé il vizio di omesso esame di un fatto decisivo se i fatti storici sono stati comunque presi in
considerazione (Cass. n. 19881/2014; Cass. n. 27415/2018).
In realtà, escluso ogni vizio ex art. 360 co. 1 n. 5 cpc, ciò di cui si duole il ricorrente è, in pratica, l’accertamento di fatto e la pertinenza delle prove articolate che costituiscono facoltà rimesse all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito ed il mancato esercizio di tale potere, al pari di quello riconosciuto al giudice del lavoro di disporre d’ufficio dei mezzi di prova, involgendo un giudizio di merito, non può formare oggetto di censura in sede di legittimità, soprattutto se vi sia stata adeguata motivazione, come nel caso in esame (per tutte Cass. n. 10371/1995).
In particolare, inoltre, nel vigore del novellato art. 115 c.p.c., a mente del quale la mancata contestazione specifica di circostanze di fatto produce l’effetto della “relevatio ad onere probandi”, spetta al giudice del merito apprezzare, nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte (Cass. n. 3680/2019; Cass. n. 27490/2019).
In tema di ricorso per cassazione, ancora, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione: ipotesi, queste, non
ravvisabili nel caso in esame (Cass. n. 20867/2020; Cass. n. 29867/2020; Cass. n. 27000/2016; Cass. n. 13960/2014).
La Corte territoriale, nella decisione impugnata, come detto, ha argomentato, esaustivamente e congruamente con riferimento alle risultanze istruttorie acquisite, sulla responsabilità dello Spina in ordine alla riscossione, illecita e all’insaputa dei tito lari, di buoni fruttiferi postali senza la materiale produzione dei titoli in originale, escludendo, altresì, ogni concorso di colpa di Poste Italiane S.p.a., in ordine ad asserite carenze organizzative o deficienza del sistema dei controlli, perché il ruolo rivestito da NOME COGNOME e la conoscenza delle procedura operative e di controllo aveva consentito l’aggiramento dei modelli organizzativi già esistenti.
Da ultimo va precisato che il travisamento del contenuto oggettivo della prova ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé e non quando si verta in una ipotesi, come nell’analisi effettuata dalla Corte territoriale nel caso di specie, di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio (Cass. Sez. Un. n. 5792/24).
Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.
Al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, in favore della controricorrente, che si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in euro 15.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 2 aprile 2025