Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 24313 Anno 2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Civile Ord. Sez. 3 Num. 24313 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/09/2025
SEZIONE TERZA CIVILE
composta dai signori magistrati:
dott. NOME COGNOME
Presidente
dott. NOME COGNOME
Consigliere
dott. NOME COGNOME
Consigliere relatore
dott. NOME COGNOME
Consigliere
dott. NOME COGNOME
Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al numero 21841 del ruolo generale dell’anno 2023, proposto da
RAGIONE_SOCIALE (C.F.: P_IVA), in persona del liquidatore, legale rappresentante pro tempore , NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocat o NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE
-ricorrente in via principale-resistente al ricorso incidentalenei confronti di
RAGIONE_SOCIALE (C.F. NUMERO_DOCUMENTO), in persona del Direttore, legale rappresentante pro tempore rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (C.F.: NUMERO_DOCUMENTO
-controricorrente-
ricorrente in via incidentale-
per la cassazione della sentenza della Corte d’a ppello di Salerno n. 392/2023, che si afferma pubblicata in data 21 marzo 2023; udita la relazione sulla causa svolta alla camera di consiglio dell’8 luglio 2025 dal consigliere NOME COGNOME
Fatti di causa
RAGIONE_SOCIALE ha agito in giudizio nei confronti d ell’agente della riscossione RAGIONE_SOCIALE (nella cui
Oggetto:
ILLEGITTIMA ISCRIZIONE IPOTECARIA LIQUIDAZIONE DANNI
Ad. 08/07/2025 C.C.
R.G. n. 21841/2023
Rep.
posizione è poi subentrata l’Agenzia delle Entrate Riscossione) per ottenere il risarcimento dei danni subiti a seguito dell’illegittima iscrizione ipotecaria eseguita su un immobile di sua proprietà.
La domanda è stata solo parzialmente accolta dal Tribunale di Salerno, che ha condannato l’ente convenuto al risarcimento dei danni patrimoniali, in favore della società attrice, liquidati in € 5.000,00, comprensivi di interessi e rivalutazione, oltre accessori successivi.
La Corte d’a ppello di Salerno ha confermato la decisione di primo grado , rigettando sia l’appello avanzato in via principale della società attrice che quello avanzato in via incidentale dell’ente convenuto .
Ricorre la società RAGIONE_SOCIALE sulla base di sei motivi.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate Riscossione, che propone a sua volta ricorso incidentale sulla base di un unico motivo.
È stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis .1 c.p.c..
La ricorrente RAGIONE_SOCIALE ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis .1 c.p.c..
Ragioni della decisione
1. Ricorso incidentale
Con l’unico motivo del ricorso incidentale, l’Agenzia delle Entrate – Riscossione denunzia « Violazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4) c.p.c., in conseguenza del travisamento della prova ».
Il ricorso incidentale, avente ad oggetto la contestazione della stessa illegittimità dell’iscrizione ipotecaria che ha determinato i danni lamentati dalla società attrice, assume valore logicamente pregiudiziale rispetto alle censure di cui al ricorso
principale, aventi ad oggetto la determinazione del danno e, pertanto, va esaminato per primo.
Esso è inammissibile.
Secondo l’amministrazione ricorrente, la Corte d’appello avrebbe ritenuto « dimostrata l’illegittimità dell’iscrizione ipotecaria asseritamente avvenuta in danno della ricorrente e, conseguentemente », rigettato « le avverse eccezioni di difetto di legittimazione e di interesse ad agire » sulla base di una erronea valutazione delle prove, in quanto, a suo dire, dall’esame dei documenti prodotti emergeva che « l’iscrizione ipotecaria eseguita dall’Agente della Riscossione, pur avendo interessato per errore la ormai soppressa ed inesistente particella n. 144, tuttavia, ricadeva di fatto sulla porzione di terreno rimasta in proprietà a NOME » e non sugli immobili acquistati dalla società attrice.
Si tratta di contestazioni che hanno ad oggetto accertamenti di fatto operati dalla Corte d’appello, fondati sulla valutazione delle prove e sostenuti da adeguata motivazione, non meramente apparente, né insanabilmente contraddittoria sul piano logico, come tale non sindacabile nella presente sede.
Deve , d’altra parte, certamente escludersi la sussistenza di una ipotesi di cd. travisamento delle prove, tale da costituire violazione dell’art. 115 c.p.c.: non è, infatti, dedotta una svista concernente il fatto probatorio in sé, contestandosi, al più, il processo di verific a logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio, peraltro al di fuori dei presupposti di cui all’art. 360, comma 1, n. 4 e 5, c.p.c. (cfr., in proposito, Cass., Sez. U, Sentenza n. 5792 del 5/03/2024).
2. Ricorso principale
2.1 Con il primo motivo del ricorso principale la società RAGIONE_SOCIALE denunzia « Omesso esame su un punto decisivo della controversia -violazione dell’art. 115 – 116 cpc, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 5 cpc ».
Con il secondo motivo denunzia « Omesso esame su un punto decisivo della controversia -art. 360 comma 1, n. 5 ».
Con il terzo motivo denunzia « Omessa e insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 comma 1, n. 5 ».
Con il quarto motivo denunzia « Nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, n 4 cpc, in relazione all’art. 360, 1 comma, n 5 cpc ».
2.1.1 I primi quattro motivi del ricorso principale sono connessi giuridicamente e logicamente e possono, quindi, essere esaminati congiuntamente.
Essi sono inammissibili.
2.1.2 La società ricorrente contesta la valutazione delle prove operata dalla Corte d’appello, sostenendo che, contrariamente a quanto affermato da quest’ultima, gli elementi istruttori forniti (e, tra questi, la consulenza tecnica di parte, oltre alle risultanze della prova per testi e agli altri documenti prodotti) dimostravano pienamente la sussistenza dei danni allegati, in misura superiore all’importo liquidato dai giudici di merito .
2.1.3 La Corte territoriale, come già il Tribunale in primo grado, ha ritenuto non sufficientemente provati i danni non patrimoniali allegati dalla società attrice, mentre, con riguardo ai danni patrimoniali, ha ritenuto insufficiente la prova del nesso di causa tra l’iscrizione illegittima dell’i poteca e la dedotta impossibilità della vendita dei fabbricati realizzati sul terreno acquistato dalla stessa società attrice, essendo stata dimostrata, invece, esclusivamente una generica difficoltà nella commerciabilità dei predetti fabbricati, in relazione alla quale è stata operata una liquidazione equitativa del danno ai sensi dell’art. 1226 c.c., nella misura di € 5.000,00, all’attualità.
2.1.4 Orbene, in primo luogo, le censure di omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non sono ammissibili in caso di cd.
doppia decisione conforme nel giudizio di merito, certamente sussistente nella specie in relazione alle questioni controverse, ai sensi dell’art. 348 ter , ultimo comma, c.p.c., disposizione abrogata, ma sostanzialmente oggi trasfusa nel comma 4 dell’art. 360 c.p.c..
La stessa censura di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia non è più prevista come ammissibile motivo a fondamento del ricorso per cassazione dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., nella formulazione attualmente vigente ed applicabile nella fattispecie, ratione temporis .
2.1.5 Va, poi, senz’altro escluso che la motivazione a sostegno della decisione impugnata possa considerarsi meramente apparente ovvero insanabilmente contraddittoria sul piano logico: essa, al contrario, risulta certamente adeguata e, comunque, rispettosa del cd. minimo costituzionale, onde è del tutto infondata anche la censura di violazione dell’art. 132, n . 4, c.p.c..
2.1.6 Per ogni altro profilo, è sufficiente rilevare che le censure formulate con i motivi di ricorso in esame si risolvono, all’evidenza, in una contestazione della valutazione delle prove operata dalla Corte d’appello, valutazione sostenuta da adeguata motivazione, non meramente apparente, né insanabilmente contraddittoria sul piano logico e, come tale, non sindacabile nella presente sede.
Quelle di violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non risultano, d’altra parte, effettuate con la necessaria specificità, in conformità ai canoni a tal fine individuati dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass., Sez. U, Sentenza n. 16598 del 5/08/2016; Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016; Sez. U, Sentenza n. 1785 del 24/01/2018, non massimata sul punto; Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020: « in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una
prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato -in assenza di diversa indicazione normativa -secondo il suo ‘prudente apprezzamento’, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria, come, ad esempio, valore di prova legale, oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione »).
Nella sostanza, in definitiva, la ricorrente contesta accertamenti di fatto operati dai giudici di merito sulla base di adeguata motivazione, non censurabile nella presente sede, e chiede una nuova e diversa valutazione delle prove, il che non è consentito nel giudizio di legittimità.
2.2 Con il quinto motivo si denunzia « Violazione ed errata applicazione dell’art. 96, commi 1 -2, c.p.c. in relazione all’art. 360, 1 comma, n. 5 cpc ».
Il motivo è inammissibile.
Esso ha ad oggetto la statuizione con la quale la Corte d’appello ha ritenuto inammissibile il gravame avverso la sentenza di primo grado, avanzato dalla società ricorrente ‘ in relazione all’art. 96 c.p.c. ‘, sulla base della seguente motivazione: « l’ipotesi dedotta che rientra nel secondo comma va collegata a quella del primo comma e non a quella del terzo comma che può essere disposta di ufficio. Questo ragionamento è importante perché la Corte rileva che la domanda ex art. 96 cpc non è stata mai proposta in primo grado dalla società RAGIONE_SOCIALE che, invece, avrebbe potuto far valere in appello per la
prima volta una simile azione solo per condotte temerarie successive alla sentenza di primo grado ».
La Corte d’appello , nella sostanza, ha ritenuto che, nel corso del giudizio di primo grado, non fosse stata avanzata una specifica domanda di risarcimento del danno da lite temeraria, ai sensi dell’art. 96, comma 1, c.p.c., da ricollegarsi a quella principale per l’illegittima iscrizione ip otecaria (di per sé, evidentemente, riconducibile all’ipotesi di cui all’art. 96, comma 2, c.p.c.), oltre a non essere stata proposta una specifica richiesta di condanna della controparte, ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c., che ha ritenuto, del resto, superflua, essendo tale ultima condanna possibile anche di ufficio.
Ha, pertanto, dichiarato inammissibile, sul punto, l’appello della società attrice.
Q uest’ultima contesta l’indicata statuizione , sostenendo che « la Corte d’appello di Salerno è incorsa in una grave omissione invero la RAGIONE_SOCIALE ha chiesto il risarcimento dei danni, ex art. 96 cpc, fin dal primo grado del giudizio; in particolare è stato espressamente richiesto nella memoria ex art. 183 cpc depositata del 171012 … … ».
A sostegno di tale contestazione, non richiama, peraltro, in modo puntuale e completo, né il contenuto degli atti del giudizio di primo grado, né quelli del giudizio di appello (e, in particolare, quello dell’atto di appello, con specifico riguardo all’effettivo contenuto dell’impugnazione in relazione alle domande eventualmente già avanzate ai sensi dell’art. 96 c.p.c.), cioè degli atti sui quali fonda le sue censure, in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c..
La ricorrente si limita, in proposito, ad affermare del tutto genericamente, di avere ‘reiterato’, in secondo grado, « la richiesta di risarcimento dei danni, ex art. 96 cpc » (senza neanche specificare a quale delle fattispecie previste dai vari commi di tale norma facesse riferimento tale domanda) e richiama le
conclusioni contenute in una memoria depositata ai sensi dell’art. 183 c.p.c. nel giudizio di primo grado, contenenti, a suo dire, la richiesta di condanna della controparte per « responsabilità processuale aggravata, ex art 96 cpc, perché ha resistito in giudizio in mala fede e colpa grave, negando di aver iscritto ipoteca sulle particelle di proprietà della RAGIONE_SOCIALE ». Tale richiamo appare, invero, eccessivamente generico.
E sso di certo non consente di valutare adeguatamente l’oggetto effettivo delle domande proposte in primo grado, in relazione alle diverse fattispecie previste dai primi tre commi dell’art. 96 c.p.c., tenuto anche conto che la domanda principale aveva ad oggetto, di per sé, proprio una fattispecie riconducibile alla previsione di cui all’art. 96 comma 2, c.p.c. e che quella di cui all’art. 96, comma 1, c.p.c., richiede l’allegazione e la prova dei danni derivanti dall’illegittima condotta processuale della c ontroparte, nella specie neanche prospettati nel ricorso. Né vi è, nel ricorso, un adeguato e specifico richiamo del contenuto del l’eventuale decisione del giudice di primo grado in ordine alle suddette domande e del l’effettivo contenuto e oggetto delle censure svolte in sede di appello con riguardo a tale ultima decisione.
Stante il rilevato difetto di specificità del motivo in esame, esso va dichiarato inammissibile.
2.3 Con il sesto motivo si denunzia « Violazione ed errata applicazione dell’art. 96 comma 3 – assoluto difetto di motivazione, in relazione all’art. 360, 1 comma, n. 5 ».
Il motivo è infondato.
Come già chiarito, la Corte d’appello ha ritenuto che non fosse stata proposta dalla società attrice, in primo grado, una specifica domanda di condanna della parte soccombente, ai sensi de ll’art. 96, comma 3, c.p.c. , domanda che ha ritenuto, del resto, superflua, essendo tale condanna possibile anche di ufficio e, per tale ragione, ha dichiarato inammissibile il motivo di
appello avanzato dalla società ricorrente ‘ in relazione all’art. 96 c.p.c. ‘.
Tanto è sufficiente per escludere il dedotto vizio di assoluto difetto di motivazione, in relazione alla statuizione censurata.
D’altronde, pare emergere, dal complesso della motivazione del provvedimento impugnato, che l’eventuale responsabilità processuale aggravata dell’ente convenuto, ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c., è stata, almeno implicitamente, esclusa dalla Corte d’appello, la quale ha confermato la decisione di primo grado di solo parziale accoglimento della domanda in origine proposta (in misura sensibilmente inferiore al domandato), rigettando l’appello della società attrice e compensando le spese del giudizio di secondo grado.
In ogni caso, è assorbente, in proposito, il rilievo (da intendersi anche eventualmente, per quanto possa occorrere, quale integrazione della motivazione della decisione impugnata, ai sensi dell’art. 384, comma 4, c.p.c., essendo comunque conforme a diritt o il suo dispositivo finale) per cui, effettivamente, l’esito del giudizio e le stesse ragioni poste a fondamento delle difese dell’ente convenuto sono tali da escludere in radice ed in modo palese la sussistenza dei presupposti di siffatta fattispecie di responsabilità processuale aggravata (ciò che del resto può dirsi anche in relazione a quella di cui al comma 1 del medesimo art. 96 c.p.c., oggetto del precedente motivo di ricorso).
È dichiarato inammissibile il ricorso incidentale, rigettato il ricorso principale.
Le spese del giudizio di legittimità possono essere integralmente compensate tra le parti, sussistendo motivi sufficienti a tal fine, in considerazione della reciproca parziale soccombenza delle parti.
Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, co. 1 quater , del D.P.R.
30 maggio 2002 n. 115, sia in relazione al ricorso principale che a quello incidentale.
Per questi motivi
La Corte:
-rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile quello incidentale;
-dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del giudizio di legittimità;
-dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, comma 1 quater , del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, per il versamento al competente ufficio di merito, da parte della ricorrente in via principale e di quella in via incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso nella camera di consiglio della Terza Sezione Ci-