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Risarcimento danni: inammissibile senza atto lesivo

Un imprenditore ittico ha chiesto un risarcimento danni a una società energetica, sostenendo che la sola richiesta di concessione idroelettrica da parte di quest’ultima avesse bloccato la vendita della sua azienda. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, stabilendo un principio fondamentale: senza un provvedimento amministrativo finale che autorizzi l’attività contestata, non esiste un fatto illecito. Di conseguenza, manca il presupposto essenziale per poter richiedere un risarcimento danni.

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Pubblicato il 20 agosto 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Risarcimento Danni: Quando la Sola Istanza Amministrativa Non Basta

La richiesta di un risarcimento danni può sorgere in molteplici contesti, ma quali sono i suoi presupposti inderogabili? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite chiarisce che la semplice presentazione di un’istanza per ottenere una concessione, da cui potrebbero derivare pregiudizi futuri, non è sufficiente a fondare una pretesa risarcitoria. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti del Caso: Una Vendita Sfumata

Il titolare di un’azienda ittica citava in giudizio una società agroenergetica. Quest’ultima aveva presentato un’istanza per ottenere una concessione di derivazione idroelettrica a monte dell’impianto di troticoltura. Secondo l’imprenditore, tale iniziativa aveva fatto sfumare una vantaggiosa opportunità di vendita della sua attività, poiché i potenziali acquirenti erano stati scoraggiati dai rischi di una diminuzione della portata e di un aumento della temperatura dell’acqua.

Il caso, dopo un primo giudizio e un appello, giungeva dinanzi al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche (TSAP), il quale confermava il rigetto della domanda. La motivazione principale era l’insussistenza di una concessione o autorizzazione effettivamente rilasciata alla società convenuta. L’unico atto esistente era un provvedimento istruttorio, inidoneo a causare un danno concreto e attuale. Contro questa decisione, l’imprenditore proponeva ricorso in Cassazione.

La Decisione della Cassazione sul Risarcimento Danni: Ricorso Inammissibile

La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, ha dichiarato il ricorso inammissibile, ponendo fine alla vicenda. La Corte ha ritenuto che i motivi del ricorso non fossero idonei a scalfire la decisione impugnata, basata su un solido ragionamento giuridico.

Le Motivazioni

La Suprema Corte ha fondato la sua decisione su tre pilastri argomentativi principali.

L’Assenza di un Atto Illegittimo

Il punto centrale della questione, secondo i giudici, è che non è mai stato emanato alcun provvedimento amministrativo finale a favore della società convenuta. La richiesta di risarcimento danni ex art. 2043 c.c. presuppone un fatto illecito, una condotta contra ius. In questo caso, la semplice presentazione di un’istanza all’autorità competente è un’attività di per sé lecita. Senza il rilascio di una concessione, non si è mai concretizzato l’atto da cui sarebbero potuti scaturire i danni paventati (diminuzione della portata d’acqua, ecc.). Di conseguenza, è venuto a mancare “il presupposto necessario per configurare, già in astratto, l’esistenza di pregiudizi materiali” sofferti dal ricorrente.

La Distinzione tra Fatti e Valutazioni

Il ricorrente lamentava l’omesso esame di fatti decisivi. Tuttavia, la Corte ha specificato che le circostanze addotte (documenti, relazioni tecniche) non costituivano “fatti” nel senso giuridico del termine, ma piuttosto elementi istruttori o valutazioni. Il TSAP li aveva presi in considerazione, ma li aveva ritenuti irrilevanti proprio alla luce dell’argomento assorbente: l’assenza della concessione. Inoltre, il ricorso era precluso anche dall’applicazione dell’art. 348 ter c.p.c., che limita la possibilità di contestare l’accertamento dei fatti quando la decisione d’appello conferma quella di primo grado sulle stesse basi.

Mancata Impugnazione della “Ratio Decidendi”

Infine, il ricorso è risultato ulteriormente inammissibile perché non si è confrontato con la vera ratio decidendi della sentenza impugnata. Il TSAP aveva radicalmente escluso che, anche in presenza di un ipotetico provvedimento legittimo, potesse sorgere un obbligo di natura risarcitoria, potendosi al massimo configurare una pretesa indennitaria (peraltro, neanche questa sussistente nel caso di specie). Il ricorrente, con i suoi motivi, ha completamente trascurato questo fondamento giuridico, rendendo le sue doglianze inefficaci.

Le Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un principio cruciale in materia di responsabilità civile e diritto amministrativo: per poter chiedere un risarcimento danni, non è sufficiente un mero timore o un potenziale pregiudizio futuro derivante da un’iniziativa altrui. È necessario che si sia concretizzato un fatto illecito, che nel caso di attività soggette a provvedimenti pubblici spesso coincide con l’emanazione di un atto illegittimo o, comunque, di un atto che incide concretamente e immediatamente sulla sfera giuridica altrui. La sola pendenza di un procedimento amministrativo, senza un provvedimento finale, non costituisce una base sufficiente per fondare una richiesta di risarcimento.

È possibile chiedere un risarcimento danni basandosi solo sulla presentazione di un’istanza amministrativa da parte di un altro soggetto?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che la semplice presentazione di un’istanza, che non si è tradotta in un provvedimento finale come una concessione, non costituisce un fatto illecito. Senza un atto lesivo, manca il presupposto per una richiesta di risarcimento danni.

Qual è la differenza tra pretesa risarcitoria e pretesa indennitaria secondo la Corte?
La Corte chiarisce che una pretesa risarcitoria sorge da un atto illecito (contra ius), come previsto dall’art. 2043 c.c. Una pretesa indennitaria, invece, può derivare da un atto legittimo dell’amministrazione che causa un pregiudizio. Nel caso di specie, mancando l’atto finale, non si poteva configurare né l’una né l’altra.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile per non aver censurato la ‘ratio decidendi’?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le argomentazioni del ricorrente non hanno contestato il punto centrale e fondamentale della decisione del giudice d’appello. La ratio decidendi era che, in assenza di una concessione o autorizzazione, non esisteva alcun presupposto per il risarcimento. Il ricorrente si è limitato a lamentare la mancata valutazione di alcuni elementi istruttori, ignorando il fulcro giuridico della sentenza impugnata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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