Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1090 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 1090 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso 34637/2019 R.G. proposto da:
NOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso la Cancelleria della Suprema Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in atti;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in atti;
-controricorrente – avverso la sentenza n. 402/2019 della CORTE D’APPELLO di LECCE Sezione Distaccata di TARANTO, depositata il 26/07/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
La Corte osserva
NOME COGNOME citò in giudizio RAGIONE_SOCIALE perché, quale costruttrice e venditrice di un complesso immobiliare, fosse condannata (siccome riferisce la sentenza d’appello), a cagione dei riscontrati gravi vizi e difetti occulti, <>.
Il Tribunale, sulla scorta dell’accertamento tecnico preventivo e della svolta istruttoria, condannò la convenuta a risarcire il danno quantificato in € 4.090,00, oltre rivalutazione e interessi.
La Corte d’appello di Lecce, Sezione Distaccata di Taranto, rigettò l’impugnazione della COGNOME, la quale, nella sostanza, aveva lamentato che il Giudice di primo grado non aveva risarcito il deprezzamento dell’immobile, derivante dal fatto che le infiltrazioni umidose che lo interessavano non avrebbero potuto definitivamente essere eliminate, in quanto che un tale intervento avrebbe necessitato la demolizione dell’intero edificio.
2.1. La Corte d’appello ha, in sintesi, ragionato come appresso.
Veniva ripreso il tenore della doglianza, con la quale l’appellante aveva esposto che, siccome appurato dall’accertamento tecnico preventivo, non era possibile eliminare definitivamente le infiltrazioni umidose che interessavano il box (per ottenere un tale risultato sarebbe occorso demolire i muri e ricostruirli avendo cura di creare una intercapedine che li distanziasse dal terreno vegetale) e che per quanto riguardava i punti freddi dell’appartamento sarebbe stata necessaria la completa demolizione dei muri o un isolamento a cappotto di tutto l’edificio e che, pertanto, il costo del risanamento interno del box (€ 600,00), che avrebbe dovuto seguire la creazione dell’intercapedine, e quello per il rimedio tampone, sempre interno, per l’appartamento (€ 3.690,00) non reintegravano il danno,
dovendo tenersi conto del deprezzamento del complesso immobiliare, il cui valore risultava irreversibilmente pregiudicato.
Indi la Corte locale afferma non esservi traccia nell’atto di citazione in primo grado di richiesta di risarcimento da deprezzamento, nonostante che le conclusioni del c.t.u. della consulenza tecnica preventiva avrebbero dovuto indurre la parte attrice a esplicitare le voci di danno. Aggiunge, infine, che la difesa dell’appellante si era opposta nel corso del giudizio d’appello al rinnovo della consulenza.
Da ciò, conclude la sentenza, <>.
NOME COGNOME ricorre sulla base di cinque motivi, ulteriormente illustrati da memoria. RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
Il complesso censorio, sebbene frazionato in cinque motivi, nella sostanza, sottopone a critica unitaria la sentenza impugnata.
Si denuncia violazione dell’art. 345 cod. proc. civ., assenza motivazionale, anche in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1669, 2697, 1223, 1226, 2056, 2058 cod. civ., 115 cod. proc. civ., 112 e 161 cod. proc. proc. civ. e 1669 cod. civ.
La ricorrente, in primo luogo, nega versarsi in ipotesi di domanda nuova, avendo con l’atto introduttivo richiesto il risarcimento di tutti i danni patiti, senza che fosse necessario
indicare lo specifico ‘nomen iuris’ delle singole frazioni del danno complessivo.
Sotto altro profilo, evidenzia che la domanda di risarcimento danni deve essere descritta in citazione, ma non occorre che l’attore proceda a quantificazione del danno.
Inoltre, la Corte di merito non avrebbe potuto sottrarsi, ove reputato decisivo, dal richiedere l’apporto di un consulente d’ufficio.
La sentenza non aveva tenuto conto che <>.
L’accertamento tecnico preventivo aveva spiegato che la risoluzione dei gravi inconvenienti avrebbe richiesto per il risanamento delle pareti interne del box la creazione di uno ‘scannafosso d’areazione’ e dopo ciò <>; intervento, quest’ultimo, implicante un costo di 600 euro. Per l’appartamento sarebbe occorso procedere alla demolizione delle pareti o alla realizzazione di un isolamento ‘a cappotto’. Per il ripristino interno l’intervento importava il costo di 3.690 euro.
La Corte d’appello, limitandosi a riconoscere solo il risarcimento per il ripristino interno di entrambe le unità immobiliari, aveva omesso di quantificare il danno rappresentato dalla <>.
L’insieme delle mosse critiche deve essere accolto nei termini di cui appresso.
La Corte locale si è pronunciata nel merito non accogliendo larga parte della pretesa: non sussiste, pertanto, il vizio di omessa pronuncia.
Deve, inoltre, escludersi che la sentenza non sia sorretta da motivazione, avendo essa spiegato le ragioni poste a sostegno del ‘decisum’.
Tuttavia, nel resto, l’insieme delle doglianze è fondato.
Il rimedio, qualificato ‘tampone’ (quindi, temporaneo e, comunque, non risolutivo), individuato dal c.t.u. dell’accertamento tecnico preventivo e prescelto dalla Corte locale – la quale ha equiparato il danno per equivalente al costo per la sua messa in opera , per sua stessa natura non copre tutta l’area del danno, non essendo pienamente soddisfattorio, poiché il complesso immobiliare resterebbe comunque esposto a nuove infiltrazioni e, quindi, a menomata fruibilità e, di conseguenza, a eventuale deprezzamento.
Con l’atto di citazione (riportato dalla stessa controricorrente) NOME COGNOME a cagione dei vizi che il complesso immobiliare, chiese <>.
La domanda che l’attrice ha posto come principale era diretta alla restituzione di parte del prezzo pagato, oltre al risarcimento del danno, evocando la disciplina in materia di garanzia per i vizi della cosa venduta.
Non è, pertanto, concludente il ragionamento svolto dal Giudice, il quale addebita alla odierna ricorrente di non avere già in primo grado specificato le voci di danno, includendo fra queste il deprezzamento, che afferma essere stato prospettato solo in appello (addirittura sospetta, come si è visto, che si possa versare in ipotesi d’inammissibilità ex art. 345 cod. pro. civ.), e afferma di non potere sopperire all’inerzia della parte, che non aveva espressamente chiesto la nomina di un consulente d’ufficio per la pertinente stima.
La sentenza impugnata ha disatteso per larga parte la domanda principale, limitandosi a quantificare il danno per equivalente degli interventi ‘tampone’.
Costituisce principio granitico l’affermazione secondo la quale il divieto di ammissione di nuovi mezzi di prova e nuovi documenti nel giudizio di appello, previsto dall’art. 345, comma 3, c.p.c., che deriva dal carattere tendenzialmente chiuso delle fasi di impugnazione, non opera quando il giudice eserciti il proprio potere di disporre o rinnovare le indagini tecniche attraverso l’affidamento di una consulenza tecnica d’ufficio (Sez. 1, n. 15945 del 27/06/2017; Rv. 644977 -01). Ciò, in esatta coerenza con il più lato principio secondo il quale la decisione di richiedere un tale ausilio è attribuita in generale al potere del giudice e niente affatto subordinata alla richiesta delle parti -cfr., ex multis, Cass. n. 9461/2010 -.
La stima del danno non richiedeva affatto esercizio di poteri arbitrari da parte del giudice.
Il complesso immobiliare era stato acquistato per € 200.000,00, l’appartamento, esteso 125 mq (come si ricavava dal rogito), era interessato per il 30% dal fenomeno pregiudizievole e, quindi, valendosi della disposizione di cui all’art. 1226 cod. civ. , il giudice, in presenza degli elementi di fatto salienti, avrebbe dovuto stimare il minor valore (val quanto dire, il deprezzamento) della cosa venduta affetta da vizi, avvalendosi dell’apporto di un consulente o, se del caso, anche in via equitativa.
6. La sentenza, di conseguenza, deve essere cassata con rinvio. Il Giudice del rinvio regolerà anche il capo delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Lecce, in diversa composizione, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso nella camera di consiglio del 27 novembre 2024