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Risarcimento danni diffamazione: limiti al critica

Una società, dopo aver segnalato un medico all’Ordine per presunti certificati di malattia compiacenti, è stata condannata per diffamazione. La Cassazione conferma la condanna al risarcimento danni diffamazione, respingendo l’appello della società che invocava il diritto di critica. La Corte ha stabilito che la valutazione dei fatti e la quantificazione del danno spettano ai giudici di merito e ha accolto parzialmente il ricorso del medico per un ricalcolo delle spese legali.

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Pubblicato il 1 ottobre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Risarcimento danni diffamazione: quando la segnalazione all’Ordine professionale supera i limiti della critica

Il confine tra l’esercizio del diritto di critica e la lesione della reputazione altrui è spesso sottile, specialmente quando coinvolge professionisti. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti su questo tema, confermando una condanna per risarcimento danni diffamazione a carico di una società che aveva segnalato un medico al suo Ordine professionale. Questo caso evidenzia come anche un atto apparentemente legittimo, come un esposto, possa trasformarsi in un illecito se travalica i limiti della continenza e della verità.

I fatti del caso: dalla segnalazione alla causa legale

Una società datrice di lavoro, insospettita dal numero di certificati di malattia presentati da una propria dipendente, decideva di inviare un esposto all’Ordine dei Medici contro la dottoressa che li aveva emessi. A seguito di tale segnalazione, la professionista citava in giudizio la società, chiedendo il risarcimento dei danni per diffamazione.

Il Tribunale di primo grado rigettava la domanda del medico. Tuttavia, la vicenda assumeva una piega diversa in secondo grado.

La decisione della Corte d’Appello

La Corte d’Appello ribaltava la decisione iniziale, ritenendo che l’esposto della società avesse effettivamente carattere diffamatorio. Di conseguenza, condannava l’azienda a un risarcimento danni diffamazione pari a 10.000 euro in favore della dottoressa, oltre alla restituzione delle spese legali del primo grado e alla condanna per quelle del secondo. Secondo la Corte territoriale, le espressioni utilizzate nell’esposto superavano i limiti del legittimo esercizio del diritto di critica, ledendo l’onore e la reputazione professionale del medico.

L’analisi della Cassazione e il risarcimento danni diffamazione

La società, non accettando la condanna, proponeva ricorso in Cassazione basato su cinque motivi, incentrati principalmente sulla violazione delle norme in materia di diffamazione e sull’errata valutazione del diritto di critica. Anche la dottoressa presentava un ricorso incidentale, lamentando errori nel calcolo delle spese legali e il mancato riconoscimento di altri danni.

Il rigetto del ricorso principale della società

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili o infondati tutti i motivi del ricorso principale. I giudici hanno sottolineato che la valutazione sulla sussistenza degli elementi della diffamazione, sia oggettivi che soggettivi (il dolo), e sulla corretta applicazione della scriminante del diritto di critica, rientra nel potere del giudice di merito. La Corte d’Appello aveva implicitamente ma inequivocabilmente accertato la consapevolezza della società di offendere l’onore e la reputazione del medico. Inoltre, la Cassazione ha ribadito che il suo ruolo non è quello di riesaminare i fatti, ma di verificare la corretta applicazione del diritto. Le censure relative alla quantificazione del danno, basate sull’uso delle tabelle milanesi, sono state anch’esse respinte, in quanto la valutazione equitativa del giudice di merito è per sua natura fattuale e, se motivata, insindacabile in sede di legittimità.

L’accoglimento parziale del ricorso incidentale del medico

Diversamente, la Corte ha accolto il primo motivo del ricorso incidentale della dottoressa. La Corte d’Appello aveva erroneamente omesso di liquidare il compenso per la fase di ‘trattazione’ del giudizio di secondo grado. La Cassazione ha chiarito che tale fase è sempre presente e ineludibile in appello, anche in assenza di un’istruttoria probatoria, e pertanto il relativo compenso è sempre dovuto. Gli altri motivi del ricorso incidentale, volti a ottenere un ulteriore risarcimento per le spese di difesa stragiudiziale, sono stati respinti perché miravano a un riesame del merito.

Le motivazioni

La decisione della Cassazione si fonda sul principio consolidato per cui l’accertamento dei fatti e la valutazione delle prove sono di esclusiva competenza dei giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello). Il ricorso in Cassazione è ammissibile solo per violazioni di legge o vizi di motivazione, non per contestare l’interpretazione dei fatti data nei gradi precedenti. In questo caso, la Corte d’Appello aveva fornito una motivazione sufficiente per giustificare la condanna al risarcimento danni diffamazione, ritenendo superati i limiti della critica. Per quanto riguarda le spese legali, la motivazione risiede in un’applicazione rigorosa dei parametri forensi (D.M. 55/2014), che prevedono un compenso specifico per ogni fase processuale, inclusa quella di trattazione.

Le conclusioni

In conclusione, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso principale della società, rendendo definitiva la sua condanna. Ha accolto parzialmente il ricorso incidentale del medico e, decidendo nel merito, ha aumentato la condanna alle spese d’appello a carico della società, aggiungendo l’importo per la fase di trattazione omessa. Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: il diritto di critica, pur essendo tutelato, non è illimitato e non può tradursi in aggressioni personali gratuite. Le aziende e i privati devono prestare la massima attenzione al contenuto e ai toni delle proprie comunicazioni, anche in contesti formalizzati come un esposto a un ordine professionale, per non incorrere in una condanna per diffamazione.

È sempre legittimo segnalare un professionista al suo Ordine di appartenenza?
Non sempre. La segnalazione è legittima se esercitata nei limiti del diritto di critica. Se le espressioni usate sono gratuitamente offensive e non supportate da una base fattuale adeguata, la segnalazione può integrare una diffamazione e portare a una condanna al risarcimento del danno, come avvenuto in questo caso.

Il risarcimento del danno da diffamazione deve essere provato in modo specifico?
L’ordinanza chiarisce che il danno non è in re ipsa (implicito nel fatto), ma la sua esistenza e quantificazione possono essere accertate dal giudice di merito, anche in via equitativa. La valutazione del giudice sui fatti, se motivata, non è censurabile in Cassazione. In questo caso, la Corte d’Appello ha liquidato equitativamente 10.000 euro, e la Cassazione ha ritenuto questa valutazione insindacabile.

Nel calcolo delle spese legali, quali fasi del processo devono essere considerate?
La Cassazione ha specificato che la fase di “trattazione” è ineludibile anche in appello, pure in assenza di una vera e propria fase istruttoria. Omettere la liquidazione del compenso per questa fase costituisce un errore di diritto. Pertanto, ha corretto la decisione della Corte d’Appello, aggiungendo l’importo dovuto per tale attività processuale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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