Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 31250 Anno 2024
AULA B
Civile Ord. Sez. L Num. 31250 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22154/2020 R.G. proposto
da
COGNOME NOME , domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME
-ricorrente –
contro
COMUNE DI VERONA , in persona del sindaco pro tempore e domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati
Oggetto: Lavoro pubblico contrattualizzato – Demansionamento – Risarcimento danni – Presupposti – Nesso causale
R.G.N. 22154/2020
Ud. 06/11/2024 CC
COGNOME NOME COGNOME NOME
-controricorrente – avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO VENEZIA n. 527/2019 depositata il 20/12/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 06/11/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 527/2019, depositata in data 20 dicembre 2019, la Corte d’appello di Venezia, nella regolare costituzione dell’appellato, NOME COGNOME ha parzialmente accolto l’appello proposto dal COMUNE DI VERONA avverso la sentenza del Tribunale di Verona n. 259/2014 e per l’effetto, in parziale riforma di quest’ultima, confermata la sussistenza di un demansionamento dell’appellato nel periodo 29 luglio 2011 -9 agosto 2012, ha rideterminato l’entità del risarcimento del danno alla cui corresponsione lo stesso COMUNE DI VERONA doveva essere condannato.
NOME COGNOME aveva adito il Tribunale, riferendo di essere stato vicecomandante vicario della polizia municipale, categoria D), ma di essere stato distaccato, in data 16 dicembre 2008, presso la RAGIONE_SOCIALE, venendo addetto a mansioni puramente impiegatizie, tipiche della categoria B, CCNL, Enti Locali, quale misura cautelare derivante dall’apertura nei suoi confronti di un procedimento penale per fatti di rilevanza penale connessi all’esercizio delle funzioni.
Successivamente, in data 29 luglio 2011, era rientrato nei ranghi comunali, venendo progressivamente addetto ad una serie di mansioni, nessuna delle quali, tuttavia, rientrava nella categoria D.
Aveva quindi chiesto la condanna del COMUNE DI VERONA al risarcimento dei danni da demansionamento in relazione al periodo 29 luglio 2011 -9 agosto 2012.
Costituitosi il COMUNE DI VERONA, il Tribunale aveva ritenuto sussistente il demansionamento, condannando il COMUNE DI VERONA al risarcimento dei soli danni patrimoniali da dequalificazione.
Per quanto in questa sede ancora rileva, la Corte d’appello di Venezia, disatteso il gravame nella parte in cui il COMUNE DI VERONA contestava la sussistenza di un demansionamento illegittimo, ha invece ritenuto fondate le doglianze concernenti la quantificazione del danno.
Evidenziato in premessa che le pretese risarcitorie enumerate dal lavoratore nell’originario ricorso erano prive di adeguate allegazioni e che pertanto la liquidazione dei danni doveva avvenire su base presuntiva, la Corte territoriale ha ritenuto di poter riconoscere unicamente il danno patrimoniale da demansionamento nella misura equitativa del 20% della retribuzione mensile per tutto il periodo, peraltro rideterminando l’entità di quest’ultima, in quanto ritenuta non correttamente individuata nel giudizio di primo grado.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Venezia ricorre ora NOME COGNOME
Resiste con controricorso il COMUNE DI VERONA.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380-bis.1, c.p.c.
Il ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a due motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce:
-in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 52, D. Lgs. n. 165/2001; 2087 e 2103 c.c.;
-in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.
Il ricorrente censura la quantificazione del danno patrimoniale da dequalificazione operata dalla Corte territoriale, deducendo che la stessa:
-non avrebbe tenuto conto di quanto emerso dalle prove documentali e testimoniali
-avrebbe omesso di tenere in adeguata considerazione la gravità dell’inadempimento dell’Amministrazione;
-sarebbe giunta ad una inadeguata quantificazione del danno.
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce:
-in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., ‘violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro’ ;
-in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.
Il ricorrente censura la decisione della Corte d’Appello nella parte in cui questa ha rideterminato la retribuzione mensile come base di calcolo per la quantificazione del risarcimento dei danni, deducendo l’erroneità di tale rideterminazione in quanto priva di riscontro nella documentazione (buste paga) prodotta in giudizio.
Censura, ulteriormente, la decisione della Corte territoriale per non aver fatto riferimento alla retribuzione lorda percepita e per non
aver considerato tutti i prospetti paga prodotti nel giudizio di primo grado.
Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Quanto al dedotto vizio 360, n. 3), c.p.c., osserva questa Corte che le argomentazioni del ricorrente si pongono ben al di fuori del canone di corretta deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di norme di diritto.
Il ricorrente, invero, al di là della generica indicazione delle norme che assume essere state violate dalla decisione impugnata, omette radicalmente di sviluppare ‘specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità’ . (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 16700 del 05/08/2020; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 24298 del 29/11/2016), limitandosi alla formulazione di generiche doglianze che si sottraggono anche all’assolvimento dell’onere ‘di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, (…) al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa’ (Cass. Sez. U -Sentenza n. 23745 del 28/10/2020).
Radicale carenza affligge anche la deduzione del vizio 360, n. 5), c.p.c., dal momento che il ricorso omette di indicare alcun ‘fatto storico’ -quest’ultimo da intendersi riferito a un preciso accadimento
o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico e come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni -cercando invece di estendere inammissibilmente l’ambito delle proprie censure al di fuori del paradigma normativo (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 22397 del 06/09/2019; Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 26305 del 18/10/2018; Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 14802 del 14/06/2017).
Il ricorrente, invero, viene dichiaratamente a censurare l’omesso esame di elementi probatori laddove -per costante giurisprudenza di questa Corte – l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 27415 del 29/10/2018), e ciò in quanto le deduzioni aventi ad oggetto la persuasività del ragionamento del giudice di merito nella valutazione delle risultanze istruttorie attengono alla mera sufficienza della motivazione, e cioè ad un profilo non (più) deducibile come motivo di ricorso (Cass. Sez. 6 5, Ordinanza n. 11863 del 15/05/2018).
Risulta inevitabile constatare, allora, che il motivo di ricorso si traduce nell’inammissibile tentativo di sindacare il merito di una decisione che, peraltro, risulta del tutto conforme alle indicazioni di questa Corte in tema di valutazione equitativa del danno (Cass. Sez. L – Ordinanza n. 19923 del 23/07/2019; Cass. Sez. L – Ordinanza n. 16595 del 20/06/2019; Cass. Sez. L, Sentenza n. 1327 del 26/01/2015; Cass. Sez. L, Sentenza n. 19778 del 19/09/2014), dovendosi qui ribadire il principio per cui è inammissibile il ricorso per cassazione che, dietro l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad
una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. Sez. U – Sentenza n. 34476 del 27/12/2019; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8758 del 04/04/2017), atteso che il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti (Cass. Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016; Cass. Sez. U, Sentenza n. 7931 del 29/03/2013).
3. Il secondo motivo di ricorso è -parimenti – inammissibile.
Quanto al richiamo all’ipotesi di cui all’art. 360, n. 5), c.p.c., anche in questo caso si deve rilevare che il ricorso omette qualunque riferimento ad un concreto fatto storico, limitandosi a riproporre censure indirizzate alla valutazione delle prove -valutazione invece riservata al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità se non entro limiti in questa sede non rispettati (Cass. Sez. 5 – Ordinanza n. 32505 del 22/11/2023; Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 13918 del 03/05/2022; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 6774 del 01/03/2022; Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 20553 del 19/07/2021; Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 21187 del 08/08/2019; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1554 del 28/01/2004) -valendo, pertanto, le considerazioni già illustrate in relazione al primo motivo.
Quanto alla deduzione del vizio ex art. 360, n. 3), c.p.c., una prima irrimediabile carenza è costituita dalla radicale omissione della specifica indicazione delle previsioni di legge o di contrattazione collettiva di cui si assume la violazione ad opera della decisione impugnata, carenza che conduce ineluttabilmente alla declaratoria di inammissibilità, essendo onere del ricorrente che formuli censura ex art. 360, n. 3), c.p.c. quello di indicare le norme di legge di cui intende
lamentare la violazione, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass. Sez. U – Sentenza n. 23745 del 28/10/2020).
Quanto alle doglianze relative all’assunzione come base di calcolo della remunerazione al netto -e non al lordo -delle imposte unicamente esigenze di completezza suggeriscono di rammentare il principio per cui in tema di risarcimento danni da infortunio sul lavoro, per determinare il lucro cessante da invalidità permanente bisogna assumere come base di calcolo il reddito annuo del danneggiato, costituito dalla retribuzione al netto delle ritenute fiscali, risolvendosi il diverso computo della retribuzione lorda in un ingiustificato arricchimento del danneggiato, posto che le relative somme non sono fiscalmente imponibili (Cass. Sez. L, Sentenza n. 24051 del 25/09/2008).
Il ricorso, quindi, deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente alla rifusione in favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
6. Questa Corte ritiene, infine, di disporre, per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi del ricorrente a norma dell’art. 52 del d.lgs. n. 196/2003.
P. Q. M.
La Corte, dichiara il ricorso inammissibile;
condanna il ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 3.2 00,00, di cui € 200 ,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Dispone, per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi del ricorrente a norma dell’art. 52 del d.lgs. n. 196/2003.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione