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Risarcimento danni demansionamento: ricorso inammissibile

Un dipendente pubblico, vicecomandante della polizia municipale, subisce un demansionamento e chiede il risarcimento danni. La Corte d’Appello riconosce il danno ma lo liquida in via equitativa. Il dipendente ricorre in Cassazione contestando la quantificazione. La Suprema Corte dichiara il ricorso inammissibile, in quanto le censure miravano a un riesame del merito, non consentito in sede di legittimità. L’ordinanza chiarisce i limiti del ricorso per il risarcimento danni demansionamento.

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Risarcimento danni demansionamento: perché la Cassazione può dichiarare il ricorso inammissibile

Quando un lavoratore subisce un demansionamento, la richiesta di un risarcimento danni demansionamento è una conseguenza quasi naturale. Tuttavia, il percorso per ottenere un’adeguata compensazione può essere complesso e pieno di ostacoli procedurali. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione ci offre un’importante lezione sui limiti del giudizio di legittimità, chiarendo perché un ricorso, anche se fondato su un’ingiustizia percepita, possa essere dichiarato inammissibile.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un vicecomandante della polizia municipale di un importante comune italiano. Inizialmente inquadrato nella categoria D, il dipendente era stato distaccato presso un’altra società a seguito di un procedimento penale a suo carico, venendo adibito a mansioni puramente impiegatizie tipiche della categoria B. Una volta rientrato nei ranghi del Comune, pur essendo terminata la misura cautelare, continuava a svolgere mansioni inferiori alla sua qualifica.

Il lavoratore si è quindi rivolto al Tribunale per ottenere il risarcimento dei danni subiti a causa del demansionamento per il periodo compreso tra il luglio 2011 e l’agosto 2012. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno riconosciuto la sussistenza del demansionamento. Tuttavia, la Corte territoriale, pur confermando l’illegittimità della condotta del Comune, ha rideterminato l’entità del risarcimento, liquidando il danno in via equitativa in una misura pari al 20% della retribuzione mensile. La Corte ha motivato questa scelta evidenziando la carenza di allegazioni specifiche da parte del lavoratore per quantificare il danno in modo diverso.

La Decisione della Corte di Cassazione e il risarcimento danni demansionamento

Insoddisfatto della quantificazione del danno operata dalla Corte d’Appello, il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione, basandolo su due motivi principali:

1. Errata quantificazione del danno patrimoniale: Il ricorrente lamentava che la Corte non avesse tenuto conto delle prove documentali e testimoniali e della gravità dell’inadempimento dell’amministrazione.
2. Errata base di calcolo della retribuzione: Si contestava la rideterminazione della retribuzione mensile usata come base per il calcolo del risarcimento, sostenendo che fosse errata e che si dovesse fare riferimento alla retribuzione lorda indicata nelle buste paga.

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha dichiarato entrambi i motivi e, di conseguenza, l’intero ricorso, inammissibile.

Le Motivazioni della Corte

La Suprema Corte ha spiegato che il ricorso per cassazione non è un terzo grado di giudizio dove si possono rivalutare i fatti o le prove. Il suo compito è verificare la corretta applicazione delle norme di diritto e la coerenza logica della motivazione della sentenza impugnata, non stabilire se il giudice di merito abbia valutato ‘bene’ o ‘male’ le prove.

Nel caso specifico, i motivi del ricorso, pur presentati formalmente come violazioni di legge (art. 360, n. 3, c.p.c.) o come omesso esame di un fatto decisivo (art. 360, n. 5, c.p.c.), miravano in realtà a ottenere una nuova e diversa valutazione delle prove e delle circostanze di fatto, attività preclusa in sede di legittimità.

La Corte ha ribadito che criticare la valutazione equitativa del danno fatta dal giudice di merito, sostenendo che sia ‘inadeguata’, equivale a chiedere un riesame del merito. Il ricorrente, secondo la Corte, non ha sviluppato argomentazioni giuridiche specifiche che dimostrassero come le affermazioni della Corte d’Appello fossero in contrasto con precise norme di legge, ma si è limitato a formulare doglianze generiche sulla valutazione probatoria. Anche la censura relativa all’omesso esame di un ‘fatto storico’ decisivo è stata respinta perché il ricorrente non ha indicato un fatto preciso e concreto trascurato dal giudice, ma ha criticato la valutazione complessiva del materiale istruttorio.

Conclusioni

Questa pronuncia è un monito fondamentale per chiunque intenda impugnare una sentenza in Cassazione. Non è sufficiente sentirsi vittime di un’ingiustizia o non essere d’accordo con la valutazione del giudice di merito. È necessario formulare i motivi di ricorso in modo tecnicamente ineccepibile, dimostrando una reale violazione di norme di diritto o un vizio logico grave nella motivazione, senza sconfinare in una richiesta di rivalutazione dei fatti. La decisione sulla quantificazione del risarcimento danni demansionamento, se logicamente motivata e basata su una valutazione equitativa in assenza di prove specifiche, diventa difficilmente sindacabile in sede di legittimità.

È possibile contestare in Cassazione la quantificazione del danno da demansionamento decisa dal giudice di merito?
No, se la contestazione si traduce in una richiesta di rivalutazione delle prove o del giudizio equitativo del giudice. Il ricorso in Cassazione è ammissibile solo se si lamenta una violazione di norme di legge o un vizio logico della motivazione, non la mera ‘ingiustizia’ o ‘inadeguatezza’ della somma liquidata.

Cosa significa che un ricorso in Cassazione è ‘inammissibile’ per aver tentato un riesame del merito?
Significa che il ricorso non viene esaminato nel suo contenuto perché i motivi presentati, invece di contestare errori di diritto, cercano di convincere la Cassazione a rivedere i fatti e le prove già valutati dai giudici dei gradi precedenti, un’attività che non rientra nei poteri della Suprema Corte.

Per il calcolo del danno, si deve usare la retribuzione lorda o netta?
La Corte, pur non decidendo specificamente su questo punto perché il motivo era inammissibile, ha richiamato un principio secondo cui, in materia di risarcimento danni, si dovrebbe fare riferimento al reddito al netto delle ritenute fiscali. Questo per evitare un ingiustificato arricchimento del danneggiato, dato che le somme ricevute a titolo di risarcimento non sono imponibili.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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