Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 21059 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 21059 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1832/2021 R.G. proposto da:
NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in INDICOGNOME, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
COMUNE
di
APRIGLIANO
-intimato-
Avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di CATANZARO n. 690/2020 depositata il 06/06/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 03/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1.- NOME COGNOME propone ricorso per cassazione articolato in quattro motivi nei confronti del RAGIONE_SOCIALE di Aprigliano per la cassazione della sentenza n. 690 del 2020 resa inter partes dalla Corte d’appello di Catanzaro in data 6 giugno 2020 e non notificata, con la quale, in ordine alla proposta domanda di risarcimento dei danni, in parziale riforma della sentenza impugnata, si condannava il RAGIONE_SOCIALE di Aprigliano al pagamento in favore del COGNOME della minor somma di euro 24.261,00.
– Il RAGIONE_SOCIALE, regolarmente intimato, non ha svolto attività difensiva in questa sede.
– Questa è la vicenda giudiziaria per quanto ancora d’interesse:
nel 1993, a seguito dell’esecuzione di alcuni lavori di sbancamento da parte del RAGIONE_SOCIALE di Aprigliano, veniva interrotta la via d’accesso al fondo di comproprietà del COGNOME;
il NOME agiva in giudizio nei confronti del RAGIONE_SOCIALE, per ottenere il ripristino dello stato dei luoghi e il risarcimento dei danni;
-le parti raggiungevano una conciliazione giudiziale con cancellazione della causa dal ruolo e dichiarazione di estinzione, dietro corresponsione da parte del RAGIONE_SOCIALE della somma di 15.000,00 € nonché del ripristino a propria cura e spese della stradella pedonale che dal fondo dei germani COGNOME conduceva alla vecchia stazione di Pietrafitta e a ripristinare un canale di irrigazione;
il RAGIONE_SOCIALE corrispondeva la somma pattuita ma non eseguiva gli interventi previsti, per cui il NOME COGNOME iniziava un nuovo giudizio, nel 2001, chiedendo l’accertamento dell’inadempimento delle obbligazioni assunte da RAGIONE_SOCIALE in sede di conciliazione giudiziaria, oltre al risarcimento del danno;
nel 2004, con sentenza non definitiva, il Tribunale di Cosenza condannava il RAGIONE_SOCIALE al ripristino della stradella pedonale e al ripristino del canale di irrigazione, rimettendo la causa sul ruolo per istruire la domanda di risarcimento del danno;
nel 2005 le parti concludevano una nuova transazione con la quale il RAGIONE_SOCIALE di Aprigliano corrispondeva 2.500 € al COGNOME come somma idonea ad effettuare i lavori di ripristino;
il giudizio proseguiva quindi per il solo risarcimento dei danni: nel 2007, con sentenza definitiva, il Tribunale di Cosenza -considerando che l’inadempimento dell’ente territoriale si era protratto per circa un anno e mezzo fino al momento della proposizione della domandacondannava il RAGIONE_SOCIALE di Aprigliano a risarcire il danno all’attore nella misura di circa 5.000 €;
il COGNOME inviava una diffida ad adempiere al RAGIONE_SOCIALE per il periodo successivo, tra la proposizione della domanda e l’atto di transazione; – introduceva poi un nuovo giudizio davanti al Tribunale di Cosenza per ottenere il risarcimento del danno legato all’inadempimento del
RAGIONE_SOCIALE in riferimento al secondo spazio temporale;
il Tribunale di Cosenza, nel 2013 dava atto che la parte attrice aveva limitato la prima volta la propria domanda risarcitoria al danno già riportato e, ritenuta questa limitazione della domanda legittima, accoglieva la diversa domanda proposta dall’odierno ricorrente in relazione ai danni successivi, derivanti dall’inadempimento delle obbligazioni del RAGIONE_SOCIALE nel periodo dall’aprile 2001 fino alla data della transazione (15 novembre 2005) liquidando il danno in 64.696,00 €;
-proponeva appello il RAGIONE_SOCIALE di Aprigliano e la Corte d’appello di Catanzaro nel 2014 accoglieva l’appello rilevando che nessuna riserva o limitazione espressa era contenuta nell’originario atto di citazione introduttivo della causa conclusa con la sentenza del 2007 e quindi che la domanda originariamente proposta doveva ritenersi
comprensiva di tutti i danni, anche a quelli che si sarebbero verificati successivamente in corso di causa. Concludeva ritenendo che si fosse determinata la formazione del giudicato sul punto e consumata la possibilità di agire in giudizio per ottenere il risarcimento dei danni successivi, che avrebbero potuto e dovuto essere liquidati nel giudizio originariamente introdotto;
-contro la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro il COGNOME proponeva ricorso per cassazione;
-con sentenza n. 11789 del 2017 la Corte accoglieva il ricorso e cassava la sentenza impugnata rinviando alla Corte d’appello di Catanzaro rilevando la presenza di un errore in procedendo: affermava che la domanda del 2001 conteneva in effetti la limitazione del petitum al danno già prodottosi, affermando il seguente principio di diritto: ‘ Nell’ambito di un giudizio risarcitorio, la domanda si intende estesa anche al risarcimento del danno che si produrrà nel corso del giudizio, a meno che non sia espressamente limitata al pregiudizio già verificatosi al momento della notifica della citazione, nel qual caso è ammissibile la richiesta in un nuovo giudizio del danno prodottosi successivamente, ciò non essendo precluso dalla statuizione precedente che, in coerenza con la relativa domanda, abbia limitato il risarcimento ad un determinato arco temporale, e neppure ponendosi in contrasto con il principio dell’infrazionabilità del credito, in quanto volto a sanzionare la diversa ipotesi della frammentazione in più giudizi di una domanda che può, dall’inizio, essere proposta per l’intero ‘;
-nel 2017 iniziava quindi di fronte alla Corte d’appello di Catanzaro il giudizio di rinvio.
– La Corte d’appello di Catanzaro, con la sentenza qui impugnata, in parziale riforma della sentenza impugnata condannava il RAGIONE_SOCIALE di Aprigliano a pagamento nei confronti del NOME della minor somma di 24.261,00 € compensando in parte le spese di lite.
Afferma che l’efficacia dell’inadempimento del RAGIONE_SOCIALE di Aprigliano a cagionare danni al NOME è ormai coperta dal giudicato; aggiunge che anche la natura di quei danni è ormai coperta dal giudicato: essi sono consistiti nella impossibilità di lavorare il fondo e quindi di conseguirne i relativi redditi. L’unico punto residuo non coperto da giudicato è l’accertamento del quantum .
Ciò premesso, afferma che il COGNOME ha chiesto il risarcimento di un danno da lucro cessante quindi un danno non alla res ma al suo patrimonio e segnala che l’appellante non è l’unico proprietario del fondo la cui redditività è stata negativamente incisa dal comportamento del RAGIONE_SOCIALE, essendo proprietario soltanto di una quota dei 3/8 del terreno. Pertanto, assume che la contrazione di reddito effettivamente patita dall’appellante per il periodo in contestazione sia stata pari ai 3/8 della somma complessiva come a suo tempo liquidata dal primo giudice, quindi liquida in suo favore una somma equivalente ai 38 di contrazione del reddito del fondo.
Aggiunge che, pur essendo il NOME COGNOME comproprietario pro indiviso, non si può ritenere che lo stesso agisca anche per i comproprietari, non essendo legittimato in tal senso.
6.- La causa è stata avviata alla discussione in camera di consiglio all’esito della quale il Collegio riservava il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 384 secondo comma c.p.c.
Ricorda che in caso di appello a seguito di giudizio di rinvio l’ambito del giudizio è limitato da quanto demandato alla Corte d’appello dalla Corte di Cassazione. In questo caso la Suprema Corte ha chiaramente limitato l’esame del giudice di rinvio all’esame della sola domanda non coperta da giudicato, concernente il risarcimento del
danno prodottosi nel periodo da marzo 2001 a novembre 2005 e a nessuna altra questione.
Questo era l’oggetto del giudizio che la Corte d’appello avrebbe dovuto compiere e non altro, non avrebbe dovuto né potuto occuparsi di nessuna diversa ed ulteriore questione, peraltro mai in precedenza affrontata né dalle parti né dal giudice, e in particolar modo non avrebbe potuto occuparsi della questione se, in quanto comproprietario e non proprietario esclusivo, il COGNOME avesse diritto o meno ad ottenere l’intero risarcimento del danno oppure se poteva essere liquidata in suo favore solo una quota dello stesso rapportata alla sua quota di comproprietà, ovvero se doveva essergli riconosciuta la qualità di creditore di una obbligazione solidale e quindi legittimato a pretendere il pagamento dell’intero, ovvero quella di titolare di una obbligazione esigibile solo pro parte.
Aggiunge il ricorrente di essere stato sempre lui e solo lui ad assumere tutte le iniziative processuali nei confronti del RAGIONE_SOCIALE di Aprigliano e che, considerando il ventaglio di azioni inizialmente proposte, non era stata promossa un’azione personale, a tutela del solo patrimonio del ricorrente, ma era stata introdotta un’azione risarcitoria a tutela del diritto di proprietà dello stesso. Segnala che la Corte d’appello ha circoscritto erroneamente l’azione proposta qualificandola esclusivamente in termini di azione risarcitoria, volta solo ad ottenere il risarcimento del danno da lucro cessante e quindi una reintegra del patrimonio del ricorrente, senza neppure ricostruire quali fossero state le domande effettivamente proposte in origine, e senza considerare che nelle prime fasi processuali il COGNOME aveva agito innanzitutto a tutela della proprietà comune, chiedendo anche il ripristino delle stradelle interrotte e del canale tombato a causa dei lavori eseguiti dal RAGIONE_SOCIALE.
Il ricorrente segnala che la Corte d’appello ha violato il principio di diritto secondo il quale il giudizio di rinvio è un procedimento chiuso,
tendente a una nuova pronuncia in sostituzione di quella cassata, nel quale non solo è inibito alle parti di ampliare il thema decidendum formulando domande nuove o nuove eccezioni ma operano le preclusioni che derivano dal giudicato implicito formatosi con la sentenza di legittimità, con la conseguenza che neppure le questioni esaminabili d’ufficio non rilevate dalla Corte Suprema possono essere dedotte o comunque esaminate in sede di rinvio perché il loro esame tende a porre nel nulla gli effetti della sentenza di Cassazione in contrasto con il principio della sua intangibilità (Cass. n. 5018 del 2004 e n. 10046 del 2002).
– Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 99,103, 124 c.p.c. e dell’articolo 2909 c.c. e dei principi che regolano l’azione e il giudicato formale e sostanziale e in tema di estensione del giudicato.
Sostiene che le considerazioni della corte d’appello sul fatto che lui avesse agito con azione a tutela del suo patrimonio e quindi avesse diritto solo ai tre ottavi del danno prodottosi da un lato cozzavano col fatto che la questione della titolarità del diritto al risarcimento non era mai stata sollevata dalle parti e quindi non era stata mai posta in contestazione e comunque era stata risolta con le sentenze che avevano imposto al RAGIONE_SOCIALE di ripristinare lo stato dei luoghi, con l’atto di transazione e poi, nello stesso senso, con la sentenza resa dal tribunale nel primo giudizio, nella quale si condannava il RAGIONE_SOCIALE di Aprigliano a risarcire tutto il danno verificatosi fino al momento della proposizione della domanda, ed anche con la sentenza del 2013, con la quale pure veniva accolta la domanda risarcitoria dell’intero danno verificatosi nel periodo 2001-2005.
Segnala quindi che, da un lato, non è stato oggetto di giudizio che egli fosse legittimato ad agire per il risarcimento dell’intero danno, dall’altro che tale legittimazione ad agire per l’intero, mai oggetto di contestazione, è stata sempre implicitamente riconosciuta.
Solo la Corte d’appello in sede di rinvio, quindi come mero giudice del rinvio, solleva d’ufficio la questione, in tal modo non tenendo conto del giudicato implicito che comunque si è formato sul punto.
– Con il terzo motivo il ricorrente deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione degli articoli 101 e 102 c.p.c. e dell’articolo 111 della Costituzione in riferimento all’articolo 360 primo comma numero 4 c.p.c.
Il ricorrente segnala l’intervenuta violazione da parte della Corte territoriale del principio secondo il quale ciascun comproprietario è legittimato ad agire e resistere in giudizio anche senza il consenso degli altri per la tutela della cosa comune nei confronti dei terzi.
Afferma trattarsi di un principio consolidato, che riguarda non soltanto le domande ripristinatorie ma che concerne anche le domande risarcitorie, per cui ciascuno dei contitolari del diritto reale dal punto di vista processuale è titolare di una legittimazione attiva sostitutiva, nascente dal fatto che ogni compartecipe non può tutelare il proprio diritto senza necessariamente e contemporaneamente difendere l’analogo diritto degli altri. Quindi ricorda di aver proposto un’azione volta alla tutela della proprietà e di averla proposta, necessariamente, per l’intero e ritiene che il danno subito dalla proprietà NOME doveva essere liquidato per l’intero.
Aggiunge che con la decisione impugnata la Corte territoriale non solo è andata al di là dei limiti del giudizio di rinvio sollevando d’ufficio una questione ormai coperta da giudicato ma ha violato anche le norme sulle obbligazioni solidali, costringendo ove fosse confermata la sua ricostruzione gli altri eredi COGNOME, non partecipanti al processo, a promuovere autonome azioni risarcitorie con lo stesso oggetto in violazione di ogni principio di economia processuale.
4. – Infine, con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 99 e 112 c.p.c. nonché dell’articolo 115 c.p.c. ex articolo 360 primo comma numero 4 c.p.c..
Assume che la Corte d’appello avrebbe violato limiti e vincoli del giudizio rescindente introducendo una questione del tutto nuova: l’unica domanda non coperta da giudicato, indicata come tale dalla sentenza n. 11789 del 2017 di questa Corte concerneva il danno prodottosi nel periodo marzo 2001-novembre 2005 determinato dall’impossibilità di accedere ai fondi del COGNOME, di irrigarlo e coltivarlo, laddove la Corte d’appello ha inserito una questione nuova e ha pronunciato negando il diritto al risarcimento per le quote di cui il ricorrente non è proprietario non perché il danno non si sia verificato ma perché il ricorrente non era legittimato a proporre la domanda per altri o perché aveva agito soltanto per sé (e richiama Cass. n. 29506 del 2019).
5. – Il ricorso è fondato e va accolto .
I motivi 1,2 e 4 possono essere esaminati congiuntamente in quanto pongono questioni connesse.
Si è ripercorsa l’intera storia processuale dipanatasi nel corso di trent’anni tra il RAGIONE_SOCIALE di Aprigliano e il COGNOME, non ancora conclusasi benchè la responsabilità del RAGIONE_SOCIALE, per i danni provocati alla sua proprietà dalla cattiva esecuzione di alcuni lavori da parte del RAGIONE_SOCIALE sia stata da tempo definitivamente accertata, per visualizzare che l’ultima e l’unica questione residua tra le parti era la quantificazione del danno subito per l’impossibilità di lavorare il fondo nel periodo tra l’aprile 2001 e il 15 novembre 2005.
Il danno era stato quantificato dal Tribunale, nel 2013, in euro 64.696,00 €. La prima decisione di appello, che aveva evocato la violazione del principio dell’infrazionabilità dei crediti, è stata cassata con rinvio da Cass. n.11789 del 2017, che ha formulato il principio
di diritto sopra riportato demandando alla corte d’appello di decidere sull’ unico tema residuo, della quantificazione del danno dovuto per il periodo indicato.
Essendo questo il thema decidendum residuo, illegittimamente, oltre che erroneamente, la corte d’appello ha violato i confini così delimitati del giudizio di rinvio introducendo una questione – quella della legittimazione attiva solo pro quota del COGNOME – che non ne aveva mai fatto parte.
Ciò in primo luogo perché, come denunciato dal primo motivo, ha violato i limiti del giudizio di rinvio, ben delineati da Cass. n. 14075 del 2002 (richiamata dalle successive Cass. n. 5018 del 2004, Cass. n. 11939 del 2006, Cass. n. 636 del 2019): ‘ La sentenza di cassazione vincola il giudice di rinvio non solo in ordine ai principi di diritto affermati, ma anche ai necessari presupposti di fatto che il principio di diritto affermato presuppone come pacifici o come già accertati definitivamente in sede di merito. Pertanto, i limiti del giudizio di rinvio non sono soltanto quelli che derivano dal divieto di ampliare il “thema decidendum”, prendendo nuove conclusioni, ma altresì quelli inerenti alle preclusioni che discendono dal giudicato implicito formatosi con la sentenza di cassazione, onde neppure le questioni conoscibili di ufficio, non rilevate dalla corte suprema, possono in sede di rinvio essere dedotte o comunque esaminate, giacché il loro riesame tende a porre nel nulla o a limitare gli effetti della stessa sentenza di cassazione, in contrasto col principio della loro intangibilità’.
La questione della legittimazione attiva del COGNOME, inoltre, è ormai ampiamente coperta dal giudicato implicito formatosi nei precedenti giudizi tra le parti, in cui è stata accertata la responsabilità del RAGIONE_SOCIALE, che è stato condannato nei suoi confronti sia ad eseguire interventi ripristinatori, in relazione ai quali le parti hanno concluso una successiva transazione con corresponsione dell’equivalente in
denaro, sia a risarcire il danno prodottosi fino alla proposizione della domanda.
Peraltro, anche il terzo motivo, sostanzialmente assorbito dalla intervenuta formazione del giudicato implicito sulla legittimazione del ricorrente, è comunque fondato.
Questa Corte ha già affermato, e va in questa sede confermato, che in caso di danni cagionati da terzi ad un fondo in comproprietà, il singolo comproprietario è legittimato ad agire per il risarcimento dell’intero danno causato al fondo, senza che si determini una situazione di litisconsorzio necessario con gli altri comproprietari (Cass. n. 29506 del 2019), in virtù del principio della “rappresentanza reciproca”, fondata sulla comunione di interessi ed attributiva a ciascuno d’una “legittimazione sostitutiva”.
A fronte dell’accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata è cassata e, non essendo necessari altri accertamenti in fatto, il Collegio ritiene di avvalersi della facoltà prevista dall’art. 384, secondo comma, c.p.c. e di decidere nel merito la questione.
Non essendo stata oggetto di contestazione in appello né in sede di rinvio la quantificazione del danno come effettuata dal primo giudice, che è stata implicitamente ritenuta adeguata dalla sentenza d’appello qui impugnata laddove ne ha liquidato in favore del ricorrente i tre ottavi, il RAGIONE_SOCIALE di Aprigliano è definitivamente condannato a corrispondere al COGNOME, per il danno riportato dalla impossibilità di lavorare e trarre reddito dal fondo da aprile 2001 al 15 novembre 2005, l’importo di euro 64. 696,00.
Sull’importo così liquidato sono dovuti esclusivamente gli interessi legali dal 6.6.2020, data di pubblicazione della sentenza qui impugnata, in quanto, come spiegato nella predetta sentenza -senza impugnazione sul punto- sul mancato riconoscimento del danno da
svalutazione monetaria si è formato il giudicato, non essendovi stato appello, e mancava una domanda sugli interessi, e comunque questa affermazione della sentenza di appello non è stata impugnata.
In ragione della cassazione della sentenza emessa all’esito del giudizio di rinvio, vanno nuovamente liquidate le spese legali per tutti i gradi del presente giudizio, in quanto la relativa liquidazione, contenuta nella sentenza impugnata, è caducata con essa.
In applicazione del principio della soccombenza, esse sono poste a carico del RAGIONE_SOCIALE di Aprigliano, soccombente, e si liquidano come al dispositivo.
P.Q.M.
La Corte, in accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, condanna il RAGIONE_SOCIALE di Aprigliano a corrispondere a NOME COGNOME l’importo di euro 64.696,00, oltre interessi legali dal 6.6.2020 al saldo.
Pone le spese di lite sostenute dal COGNOME a carico del RAGIONE_SOCIALE intimato e le liquida come segue:
-per il primo grado, euro 6.500,00 per compensi ed euro 550,00 per esborsi;
-per il giudizio di appello, euro 7.000,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi;
-per il primo giudizio di legittimità, euro 9.000,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi;
-per il giudizio di rinvio euro 7.000,00 oltre 200,00 per esborsi;
-e per il presente giudizio di legittimità euro 9.000,00, oltre 200 per esborsi;
-oltre IVA e CAP come per legge e rimborso spese forfettarie.