Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 21758 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 3 Num. 21758 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/07/2025
S E N T E N Z A
sul ricorso n. 21444/23 proposto da:
-) Regione Puglia, in persona del legale rappresentante pro tempore , domiciliato ex lege all’indirizzo PEC del proprio difensore , difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
nonché
-) Comune di Bari , in persona del Sindaco pro tempore , domiciliato ex lege all’indirizzo PEC del proprio difensore , difeso dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME ed NOME COGNOME;
– ricorrente successivo –
nonché
-) Ministero della Cultura , in persona del ministro pro tempore , domiciliato ex lege all’indirizzo PEC del proprio difensore , difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato ;
– ricorrente successivo –
contro
-) RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , NOME COGNOME e NOME COGNOME , domiciliati ex lege all’indirizzo PEC del proprio difensore, difesi dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME;
Oggetto: CEDU -condanna dello Stato all’ ‘equa soddisfazione’ -conseguenze – domanda di risarcimento dei danni ulteriori dinanzi al giudice nazionale – ammissibilità limiti -(vicenda ‘INDIRIZZO‘).
– controricorrenti e ricorrenti incidentali – avverso la sentenza della Corte d’appello di Bari 6 ottobre 2022 n. 1472; 2025 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20 maggio udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. NOME COGNOME il quale ha concluso chiedendo:
-) l’ accoglimento del quinto motivo del ricorso proposto dal Comune di Bari;
-) l’accoglimento dei motivi 1, 2 e 6 del ricorso proposto dalla Regione Puglia;
-) l’accoglimento del secondo motivo del ricorso proposto dal Ministero della Cultura;
-) il rigetto dei restanti motivi dei ricorsi proposti dal Comune di Bari, dal Ministero della Cultura e dalla Regione Puglia;
) l’assorbimento o, in subordine, la dichiarazione di inammissibilità
-od infondatezza del ricorso incidentale; uditi nella pubblica udienza del 20 maggio 2025:
-) l’Avvocato NOME COGNOME per la Regione Puglia;
-) gli avvocati NOME COGNOME ed NOME COGNOME per il Comune di Bari;
-) gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME per i ricorrenti incidentali;
-) gli Avvocati dello Stato NOME COGNOME e NOME COGNOME per il Ministero della Cultura;
FATTI DI CAUSA
1. L’antefatto.
La società RAGIONE_SOCIALE nel 1989 acquistò dalla società RAGIONE_SOCIALE vari terreni siti nel territorio del Comune di Bari, in località nota come ‘INDIRIZZO‘.
Subito dopo la COGNOME presentò al comune di Bari un piano particolareggiato per la lottizzazione della suddetta area.
1.1. Prese così avvio l’ iter amministrativo per l’edificazione dell’area .
Nel corso del suddetto iter, dopo una prima approvazione del piano di lottizzazione (delibera del consiglio comunale 20.3.1990 n. 1034), seguì un reiterato scambio di richieste, informazioni e pareri tra gli organi dell’amministrazione comunale e quelli della Regione circa la validità del suddetto piano di lottizzazione alla luce della normativa sopravvenuta medio tempore .
Gli enti suddetti non ravvisarono ostacoli all’ edificazione e il 1° dicembre 1993 il Comune di Bari e la MABAR siglarono la convenzione di lottizzazione; nel 1995 fu rilasciata la (in allora) concessione edilizia.
1.2. Nel frattempo la MABAR assolse gli oneri di urbanizzazione, prestò fideiussione in favore del Comune ed iniziò i lavori di costruzione.
1.3. Il 22 marzo 1997 il GIP presso la Pretura di Bari contestò all’amministratore della MABAR (NOME COGNOME) di avere commesso il reato di lottizzazione abusiva; sottopose di conseguenza a sequestro gli edifici in fase di costruzione.
1.4. All’esito del giudizio penale (celebrato in primo grado con rito abbreviato) l’imputato venne assolto per mancanza dell’elemento soggettivo (dolo).
La sentenza conclusiva di quel giudizio (Cass. pen., sez. III, 29.1.2001 n. 11716, , la quale in vari atti del presente giudizio è indicata dalle parti come ‘ sentenza n. 256 del 2001 ‘; in realtà la sentenza penale che concluse quel giudizio – avente il numero di r.g. 47589/00 – fu la n. 11716/01) ritenne che:
-) il piano di lottizzazione e la concessione edilizia erano ‘ macroscopicamente’ illegittimi, in quanto autorizzarono l’edificazione in violazione delle distanze minime dal lido marino e da un corso d’acqua stabilite dalla legislazione nazionale e regionale;
-) gli imputati tuttavia non erano colpevoli, perché indotti in errore scusabile sia dalla difficile intelligibilità delle norme violate, sia dalla condotta con cui le varie pubbliche amministrazioni interessate avevano
autorizzato la costruzione, rassicurato della sua liceità ed omesso di rilevare o contestare qualsiasi difformità.
Con la medesima sentenza, venne disposta ex officio la confisca degli immobili realizzati, ai sensi dell’art. 19 l. 47/85.
1.5. Subito dopo la pubblicazione della suddetta sentenza la COGNOME ricorse (anno 2001) alla Corte europea dei Diritti dell’Uomo, lamentando la violazione degli artt. 7 CEDU e 1 del Protocollo n. 1, e chiedendo la condanna dell’Italia all’ ‘ equa soddisfazione’ ex art. 41 CEDU.
Dedusse di avere perduto la proprietà dei beni confiscati senza che le fosse stata attribuibile alcuna condotta colpevole, e che comunque la sanzione della confisca era sproporzionata.
2. Il presente giudizio .
Pendente il giudizio dinanzi la Corte di Strasburgo, nel 2006 la COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME convennero dinanzi al Tribunale di Bari il Ministero per i Beni Culturali, la Regione Puglia e il Comune di Bari, chiedendone la condanna al risarcimento del danno rispettivamente sofferto in conseguenza dei fatti sopra descritti. Dedussero:
quanto alla colpa, che le tre amministrazioni convenute avevano, ciascuna per gli atti di sua competenza, omesso di vigilare sulla fattibilità del programma edificatorio, così ingenerando in essa un legittimo affidamento sulla legittimità dei provvedimenti amministrativi che lo autorizzarono;
quanto al danno sofferto, che questo consisteva, per la MABAR;
b’) nella perdita del diritto di proprietà sui beni immobili confiscati;
b”) nella perdite delle somme vanamente investite;
b”’) nella perdita dei ricavi che si sarebbero ottenuti dall’investimento ;
c) il danno patito da NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME consisteva invece nelle spese sostenute per affrontare il procedimento penale e nel pregiudizio all’onore ed alla reputazione.
L ‘atto di citazione non chiarisce se, quando ed in che modo NOME e NOME COGNOME patirono i danni di cui sopra.
2.1. Nell’atto di citazione la COGNOME tacque la circostanza della pendenza della controversia dinanzi alla Corte di Strasburgo.
Allo stesso modo la COGNOME non rappresentò alla Corte EDU di avere introdotto il presente giudizio, né la difesa dello Stato italiano sollevò tempestivamente l’eccezione di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne.
La Corte EDU, ‘ pur deplorando che la ricorrente non l’avesse formalmente informata delle azioni intentate presso i tribunali interni ‘ , ritenne che quel silenzio non influisse sulla ricevibilità del ricorso, e lo decise nel merito.
2.2. La decisione della Corte EDU avvenne in due tappe.
Con sentenza 30.1.2009 la Corte di Strasburgo dichiarò sussistente la violazione degli artt. 7 CEDU e 1 del Protocollo n. 1; condannò per questa ragione l’Italia al pagamento d’un indennizzo a titolo di ‘ equa soddisfazione’ del danno morale.
Con successiva sentenza 10.5.2012 la Corte EDU, sul medesimo presupposto, condannò l’Italia al pagamento d’un indennizzo a favore della MABAR a titolo di ristoro del danno patrimoniale.
Liquidò a tal fine la somma di euro 9.500.000, a titolo di indennizzo del danno rappresentato:
dai costi di costruzione degli immobili poi confiscati e demoliti;
dalla temporaneamente perduta disponibilità dei terreni ceduti al Comune di Bari nel 1993 nell’àmbito del piano di lottizzazione;
dalla temporaneamente perduta disponibilità dei terreni di cui la RAGIONE_SOCIALE aveva il possesso al momento della confisca, poi restituiti ma medio tempore trasformati in parco pubblico dall’amministrazione comunale.
2.3. Le amministrazioni convenute si costituirono negando la propria responsabilità e formulando varie domande riconvenzionali o trasversali:
-) il Ministero chiese di essere tenuto indenne dal Comune;
-) la Regione chiese la condanna degli attori al risarcimento del danno per avere con la propria condotta determinato la confisca d’un suolo di proprietà regionale:
-) il Comune di Bari chiese la condanna degli attori al risarcimento del danno patrimoniale patito dal Comune e consistito nei costi di demolizione degli immobili abusivamente edificati; nonché del danno non patrimoniale consistito nella lesione dell’immagine; estese la domanda risarcitoria nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE che contestualmente provvide a chiamare in causa.
La società RAGIONE_SOCIALE si costituì chiedendo il rigetto della domanda proposta dal Comune.
2.4. Con sentenza 6.10.2014 n. 4424 il Tribunale di Bari in parte rigettò la domanda attorea , in parte la ritenne improcedibile per ‘ sopravvenuto difetto di interesse’ ; rigettò altresì le domande riconvenzionali.
Il Tribunale ritenne che:
-) la giurisdizione sulla domanda spettasse al giudice ordinario e non al giudice amministrativo;
-) le sentenze della Corte EDU avessero per il Tribunale l’effetto vincolante del giudicato:
-) l’importo liquidato dalla Corte EDU a titolo di risarcimento del danno emergente fosse superiore ai danni subìti dalla MABAR, per come allegati e dimostrati in giudizio , il che rendeva la domanda ‘ improcedibile per difetto di interesse’ ;
-) il danno da lucro cessante (mancata vendita degli immobili costruiti e poi confiscati) non era risarcibile per carenza del requisito della antigiuridicità;
-) le domande riconvenzionali della Regione e del Comune erano infondate, per avere la Corte EDU espressamente imposto allo Stato italiano
di astenersi (§ 62 della sentenza del 2012) dal coltivare pretese risarcitorie nei confronti della RAGIONE_SOCIALE.
La sentenza fu appellata in via principale dalla MABAR, da NOME COGNOME e da NOME COGNOME (sia in proprio che nella veste di eredi di NOME COGNOME, venuto a mancare nelle more del giudizio di primo grado) ed in via incidentale dal Ministero della Cultura.
2.5. Con sentenza 6.10.2022 n. 1472 la Corte d’appello di Bari accolse in parte il gravame della MABAR e rigettò quello proposto dal Ministero, da NOME COGNOME e da NOME COGNOME.
In particolare la Corte d’appello, dopo avere negato la giurisdizione del giudice amministrativo ed affermato la propria, così ha provveduto (i capi di decisione sono indicati nell’ordine ex art. 276 c.p.c., non nell’ordine seguito dalla sentenza impugnata) :
ha ritenuto colposa la condotta di tutte e tre le amministrazioni convenute, per non avere rilevato, né segnalato alla MABAR, il vincolo di inedificabilità;
ha escluso un concorso colposo della COGNOME nella causazione del danno, ex art. 1227, primo comma, c.c. (p. 182 ss.);
ha ritenuto che la sentenza della Corte EDU avesse ‘efficacia di giudicato’ quanto all’avvenuto risarcimento in forma specifica del danno da perdita della proprietà, mercé la restituzione alla MABAR dei terreni ingiustamente confiscati (p. 104);
ha accolto in parte la domanda di risarcimento del danno emergente rappresentato da tutte le spese inutilmente sostenute per la realizzazione del progetto edificatorio; a tal riguardo ha ritenuto che la domanda di risarcimento di tali danni non era stata ‘rigettata’ dalla Corte EDU, ma semplicemente non fu esaminata nel merito perché ritenuta non derivante dalla illegittimità della confisca;
ha demandato ad un collegio di consulenti la stima dei costi sostenuti dalla MABAR , previo accertamento di quelli ‘ non presi in esame dalla sentenza della Corte EDU’ ;
ha liquidato alla COGNOME ritenendoli non presi in esame dalla Corte EDU, i seguenti ulteriori danni:
-) le spese per ‘ oneri di urbanizzazione e costruzione e relative polizze ‘ (p. 169);
-) le somme versate a titolo di ICI ed imposte (p. 170);
-) le spese legali sostenute per difendersi nei ‘ giudizi penali e amministrativi ‘ (p. 172);
-) gli oneri finanziari sostenuti dalla RAGIONE_SOCIALE (p. 182).
La sentenza d’appello è stata impugnata per Cassazione:
dal Comune di Bari, con ricorso fondato su sei motivi (notif. il 2.11.2023, dep. 20.11.2023).
dalla Regione Puglia, con ricorso successivo fondato su otto motivi (notif. il 2.11.2023, dep. il 6.11.2023);
dal Ministero della Cultura, con ricorso successivo fondato su sei motivi (notif. il 6.11.2023, dep. il 7.11.2023).
La COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno resistito con tre distinti controricorsi, e proposto altrettanti ricorsi incidentali, tutti fondati su nove motivi (notif. 9.12.2023, dep. lo stesso giorno).
La Regione Puglia ed il Comune di Bari hanno resistito con controricorso all’impugnazione incidentale proposta dalla MABAR.
La Regione, il Comune e la RAGIONE_SOCIALE hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Questioni pregiudiziali.
Prima di esaminare il merito delle varie impugnazioni proposte contro la sentenza d’appello questa Corte ritiene doveroso rilevare e necessario esaminare ex officio tre questioni:
se il giudice nazionale possa ricostruire l’esatta portata precettiva d’una sentenza pronunciata dalla Corte EDU;
b) se la parte che abbia ottenuto dalla Corte EDU la liquidazione dell’ equa soddisfazione di cui all’art. 41 CEDU possa adire il giudice nazionale chiedendo il ristoro di pregiudizi ulteriori;
se ed in che misura il giudice nazionale, nella liquidazione del danno, debba tenere conto dell’equa soddisfazione accordata al danneggiato dalla Corte EDU.
2. Sulla ‘interpretazione’ della sentenza della Corte EDU del 10 maggio 2012.
La COGNOME sostiene che la sentenza della Corte EDU 10 maggio 2012, accordandole una equa soddisfazione di 9,5 milioni, ha preso espressamente in esame solo alcune voci dei vari danni da essa sofferti, mentre le restanti voci di danno sono ancora sub iudice .
Le amministrazioni condannate sostengono l’esatto contrario.
Tra le parti vi è dunque contrasto su quale sia l’estensione oggettiva della suddetta pronuncia.
2.1. Occorre dunque stabilire preliminarmente se tale contrasto possa ritenersi rientrare nelle ‘ difficoltà di interpretazione d’una sentenza che ne ostacoli l’esecuzione ‘: per tali ipotesi, infatti, l’art. 46 della Convenzione EDU affida alla sola Corte di Strasburgo il potere di interpretare le proprie decisioni, e solo su richiesta dal Comitato dei Ministri. Tale norma è già stata interpretata dalle Sezioni Unite di questa Corte nel senso che al giudice nazionale non è consentito, per difetto assoluto di giurisdizione, interpretare la sentenza della Corte EDU al fine di stabilirne la portata precettiva nei confronti dello Stato (Cass. Sez. U., 16/05/2013, n. 11826).
2.2. Questa ipotesi non ricorre tuttavia nel nostro caso, per tre ragioni.
In primo luogo perché tra le parti non vi è contrasto sul contenuto della condanna pronunciata dalla corte EDU, né sulla sua esecuzione. Vi è contrasto sulla esistenza d’un danno differenziale non risarcito dalla decisione di Strasburgo. Il thema decidendum non è dunque se lo Stato
italiano abbia dato puntuale esecuzione alla sentenza della Corte EDU; il thema decidendum è se si sia formato un giudicato sovranazionale sulle pretese risarcitorie della MABAR.
In secondo luogo perché il Comune di Bari e la Regione Puglia non parteciparono al giudizio dinanzi alla Corte EDU. Non è perciò concepibile il ricorso alla procedura di cui all’art. 46 della Convenzione rispetto a soggetti rimasti estranei al giudizio.
In terzo luogo, perché è stata la stessa Corte EDU a stabilire che se l’equo indennizzo da essa liquidato ex art. 41 della Convenzione non dovesse esaurire l’intero danno risarcibile, spetterà al giudice nazionale al quale sia domandato il surplus ‘tenere conto’ nella liquidazione del danno già riconosciuto dalla Corte EDU, ‘ ove occorra’ (sentenza MABAR 10.5.2012, § 50; nello stesso senso, ex permultis , Corte EDU 11.1.2018, COGNOME c. Albania; Corte EDU, 22.11.2011, COGNOME c. Malta; Corte EDU, 11.1.2011, COGNOME c. Portogallo, § 38; Corte EDU 17.7.2008, COGNOME c. Italia, § 17; Corte EDU 3.8.2006, COGNOME c. Italia; Corte EDU 12.6.2003, COGNOME e COGNOME c. Cipro, § 29).
Dire che spetta al giudice nazionale liquidare eventuali danni ulteriori o diversi rispetto a quelli esaminati e liquidati dalla Corte, ma solo ‘ ove occorra’ , equivale a dire che eventuali contrasti tra le parti sull’esistenza di tali danni ulteriori debbano essere risolti dal giudice nazionale, e non facendo ricorso alla procedura di cui all’art. 46 della Convenzione.
3. Sull’esaustività dell’equa soddisfazione.
Di regola, il ricorso alla Corte EDU è ricevibile solo previo esaurimento delle vie di ricorso interne (art. 35 CEDU), persino se una nuova via di ricorso interna, per l’avanti inesistente, venga introdotta nell’ordinamento nazionale mentre pende il ricorso dinanzi alla Corte EDU ( ex multis, corte EDU 1°.10.2013, COGNOME c. Slovenia, 2007, §§ 102-110 ; İçyer c. Turchia, 2006, §§ 74 e ss.; Stella c. Italia, 2014, §§ 65-68; Preda c. Romania, 2014, §§ 134-142 ; COGNOME c. Serbia, 2017, §§ 17-20).
Il principio generale dunque è che il danno causato da una violazione della Convenzione può essere liquidato dalla Corte EDU solo se sia divenuta giuridicamente impossibile la liquidazione da parte del giudice nazionale.
3.1. A questa regola generale la Corte EDU consente che possa derogarsi:
quando l’eccezione di irricevibilità sia tardivamente sollevata;
quando il giudizio di risarcimento proposto o proponibile dinanzi al giudice nazionale allungherebbe vieppiù i tempi della controversia, a detrimento dei diritti del ricorrente ( ex multis, Corte EDU, Gr. Sez., 11.7.2006, Jalloh c. Germania, § 129; Corte EDU, 6.10.2016, S.L. e J.L. c. Croazia, § 15).
Questi princìpi sono stati ribaditi dalla Corte EDU anche nella sentenza che qui viene in rilievo (sentenza 10.5.2012, § 50). Ivi infatti la Corte ha affermato di volere liquidare il danno patrimoniale anziché lasciare la liquidazione al Tribunale di Bari, ritenendo ‘ assolutamente irragionevole ‘ chiedere alla parte danneggiata ‘ di attendere l’esito dei procedimenti nazionali e di sostenerne le spese ‘.
3.2. Dunque la liquidazione dell’equa soddisfazione, nelle ipotesi suddette, non esclude un ulteriore fase processuale dinanzi al giudice nazionale.
4. Sugli effetti vincolanti e preclusivi della liquidazione compiuta dalla Corte EDU.
Nei casi appena indicati ( supra , § 3.1) sorge il problema di stabilire in che modo il giudice nazionale debba tenere conto della decisione della Corte EDU.
La liquidazione da parte della Corte EDU dell’ ‘equa soddisfazione’ di cui all’art. 41 della Convenzione può avere nei confronti del Giudice nazionale due effetti: a) preclusivi , quando impedisca di esaminare ex novo la medesima pretesa risarcitoria già esaminata dalla Corte EDU; b) vincolanti , quando è consentito al giudice nazionale riesaminare la pretesa risarcitoria, ma conformandosi alle statuizioni contenute nella sentenza della Corte EDU.
4.1. Gli effetti preclusivi sono assimilabili al giudicato. Essi discendono dall’impossibilità, per il giudice nazionale, di andare in contrario avviso rispetto alle statuizioni della Corte EDU, a pena di esporre il proprio Stato alla responsabilità per violazione della Convenzione.
Se dunque la Corte EDU ha ritenuto esistente un danno, non potrebbe il giudice nazionale andare in contrario avviso. Se ne ha negato l’esistenza, non è consentito alle parti reiterare la domanda dinanzi al giudice nazionale, perché ciò equivarrebbe ad una inammissibile ‘impugnazione’ della sentenza pronunciata dalla Corte EDU.
4.2. Gli effetti vincolanti scaturenti dalla liquidazione, da parte della Corte EDU , dell’ equa soddisfazione di cui all’art. 41 della Convenzione sono assimilabili alla compensatio lucri cum damno .
La Corte EDU infatti ha ripetutamente affermato che il giudice nazionale dinanzi al quale sia proseguita o introdotta una domanda di risarcimento dei medesimi danni già liquidati dalla Corte EDU deve ‘ tenere conto ‘ di quanto liquidato da quest’ultima.
‘Tenere conto’ vuol dire che il giudice nazionale deve prendere atto non solo della concessione di risarcimenti da parte della Corte EDU, ma anche delle decisioni con le quali quest’ultima ha rigettato le domande del ricorrente, poiché ‘sia la concessione di risarcimenti che i rigetti sono decisioni definitive e complete delle doglianze di un ricorrente’ (così l’opinione concordante del giudice Sabato, in allegato a Corte EDU, 28.6.2018, GIEM c. Italia).
E quando la Corte EDU, nel liquidare l’equa soddisfazione, ha ritenuto che questa non fosse esaustiva, e che il ricorrente avrebbe avuto la possibilità di chiedere al giudice nazionale ‘somme supplementari’, lo ha espressamente dichiarato (Corte EDU, 11.1.2011, NOME COGNOME c. Portogallo, § 38: ‘ la Cour souligne que ont la possibilité de recevoir des sommes supplémentaires dans le cadre de la procédure en exécution qu’ils ont introduite contre l’Etat ‘ .
4.3. In conclusione:
-) alla COGNOME non era inibito coltivare la lite dinanzi al giudice nazionale dopo la sentenza della Corte EDU;
-) sia le domanda di danno accolte dalla Corte EDU, sia quelle rigettate, non possono più essere esaminate dal giudice nazionale;
-) dal giudice nazionale possono essere esaminate solo le domande di danno non proposte dinanzi alla Corte EDU, oppure proposte ma da questa non esaminate .
5. Sul primo motivo di ricorso del Comune di Bari.
Col primo motivo il Comune di Bari deduce che la sentenza della Corte EDU è stata erroneamente interpretata dalla Corte d’appello. Sostiene che quest’erronea interpretazione ha avuto per effetto di violare il giudicato .
Sostiene il Comune di Bari che mentre la Corte EDU ha inteso liquidare tutti i danni patrimoniali sofferti dalla MABAR e rigettare le domande di danno ritenute non causalmente collegate alla illegittima confisca dei terreni, la Corte d’appello ha frainteso la motivazione, ritenendo che la Corte EDU avesse liquidato solo una parte dei danni sofferti dalla MABAR, lasciando impregiudicato l’accertamento e la quantificazione della parte restante.
5.1. Il motivo è fondato.
Alla Corte EDU la COGNOME chiese il risarcimento dei medesimi danni per i quali chiederà poi il risarcimento al Tribunale di Bari.
Le domande di danno sono state tutte esaminate dalla Corte EDU: alcune sono state accolte; altre rigettate per difetto di causa; nessuna è stata accantonata o non esaminata.
Il giudice nazionale pertanto non poteva accogliere la domanda di risarcimento proposta dinanzi a lui dalla COGNOME, perché così facendo ha inammissibilmente riesaminato e ribaltato le statuizioni di rigetto contenute nella sentenza della Corte EDU.
Tale conclusione si impone comparando: a) la domanda formulata dinanzi al Tribunale di Bari; b) la domanda formulata dinanzi alla Corte EDU; c) il contenuto della sentenza da quest’ultima pronunciata.
6. (A) Il contenuto della domanda proposta dinanzi al Tribunale di Bari.
Con l’atto di citazione introduttivo del presente giudizio, la COGNOME ha domandato il risarcimento dei seguenti pregiudizi:
il controvalore attuale dei fondi confiscati (p. 103 atto di citazione);
‘ tutti i danni patrimoniali emergenti ‘ (dicasi: ‘tutti’) consistiti negli ‘ investimenti effettuati per la programmazione, presentazione, progettazione ed esecuzione parziale dell’intervento edilizio ‘ (p. 103) ;
il lucro cessante per mancata realizzazione del piano ( ibidem );
il risarcimento del danno non patrimoniale da lesione dell’immagine.
7. (B) Il contenuto della domanda proposta dinanzi alla Corte EDU.
Col ricorso proposto dinanzi alla Corte EDU la COGNOME chiese il risarcimento dei seguenti danni:
-) il costo sostenuto per l’acquisto dei terreni;
-) i costi di costruzione;
-) gli onorari e le spese degli architetti;
-) i servizi tecnici (pubblicità ed elettricità);
-) gli oneri di urbanizzazione per;
-) gli oneri finanziari;
-) le spese notarili;
-) le imposte;
-) spese varie (per sicurezza ed elettricità);
-) il valore di mercato degli edifici poi abbattuti.
Tanto si legge nella sentenza della Corte EDU del 2012, al § 39.
E’ necessario aggiungere che la COGNOME, ad onta delle 319 pagine complessive impiegate per le proprie difese nella presente sede (tre ricorsi incidentali e la memoria), non ha mai espressamente riferito a questa Corte gli esatti contenuti del ricorso proposto dinanzi alla Corte EDU, anche per i fini di cui all’art. 366, n. 6, c.p.c..
8. (C) La decisione della Corte EDU.
A fronte delle domande indicate al § precedente, la Corte EDU ha premesso sulle perizie delle ricorrenti.
che avrebbe liquidato il danno basandosi ‘ Pertanto, essa prenderà in considerazione tali costi e li indicizzerà ‘ (§ 56). Le ‘perizie delle ricorrenti’ riferibili alla MABAR erano due.
Nella prima si indicava quale fosse il ‘valore di cessione in blocco degli immobili’ (all.to 128, p. 3): e dunque il mancato guadagno della vendita. datata 5.11.2007, si dichiarava (pp. 3-4) che ivi sarebbero stati presi in esame i
Nella seconda, intitolata ‘ Analisi di congruità ed inerenza ‘, seguenti costi:
acquisto dei suoli;
salari e contributi;
costruzione dei fabbricati;
progettisti;
prestazioni tecniche;
oneri di urbanizzazione e fidejussione;
oneri finanziari;
costi diversi (in questi furono inclusi i costi di guardianìa, pubblicità, elettricità, spese telefoniche);
costi notarili;
ICI.
8.1. Dopo avere premesso che la propria decisione si sarebbe basata sulle suddette ‘perizie di parte’, la Corte EDU ha liquidato:
il danno rappresentato dai costi di costruzione degli edifici poi demoliti, dichiarando di basarsi sulla perizia depositata dalla MABAR (§ 56);
il danno da perdita temporanea del possesso (§ 57);
il danno da perdita temporanea del godimento dei beni rimasti nel possesso della MABAR, ma destinati de facto a parco pubblico (§ 58). La Corte EDU ha invece rigettato le ‘ ulteriori richieste’ formulate dalla MABAR.
Lo ha fatto (§ 56) dichiarando che avrebbe preso in considerazione i costi di costruzione basandosi sulla perizia di parte ricorrente, ma ‘ tout en écartant les prétentions qui ne se rapportent pas directement avec la double
violation constatée et qui relèvent plutôt de l’activité des sociétés requérantes et du risque d’entreprendre, telles que, entre autres, les charges financières ou les frais de notaires supportés pour l’achat des terrains en question’.
La Corte dunque ha rigettato ‘tra le altre’ voci di danno, ma non già ‘escluse le altre’ voci di danno, i pregiudizi consistenti:
nelle spese notarili;
negli oneri finanziari;
nel mutamento di destinazione urbanistica dell’area.
Tali pregiudizi sono stati ritenuti ‘ non conness alla violazione’ dell’art. 1 del Protocollo da parte dello Stato italiano (§ 60).
8.2. Se dunque la Corte EDU da un lato ha premesso di voler liquidare il danno dichiarando di volersi basare sulla perizia di parte depositata dalla COGNOME; e dall’altro ha dichiarato di ‘escludere’ ( écarter ) perché non causalmente connesse alla violazione ascritta allo Stato italiano plurime voci di danno contemplate in quella perizia, la logica formale consente una sola conclusione: le voci di danno indicate alle pp. 3-4 della perizia COGNOME all.ta sub 127 sono state ritenute non dovute dalla Corte di Strasburgo.
8.3. Che la Corte EDU abbia deciso senza residui su tutte le voci di danno indicate dalla MABAR, parte accogliendole a parte rigettandole per difetto del nesso di causalità, è conclusione che si impone sia ab extrinseco, se si mette in relazione la sentenza ‘ MABAR’ del 2012 con la giurisprudenza consolidata della Corte EDU; sia ab intrinseco, se la si riguarda nel suo contenuto oggettivo.
8.4. Quanto al primo aspetto, l’equo indennizzo pecuniario previsto dall’art. 41 CEDU, in origine concepito come misura simbolica intesa ad evidenziare coram populo la violazione della Convenzione da parte d’uno Stato membro, da molti anni si è venuta trasformando in un risarcimento vero e proprio. Lo si desume da una visione organica della giurisprudenza della Corte EDU, la quale ha:
-) affermato il principio che la riparazione ex art. 41 deve essere globale; essa, in particolare, deve ‘ cancellare le conseguenze in modo tale da ristabilire nel miglior modo possibile la situazione anteriore’ (8.3.2018, Kanaginis c. Grecia , §§ 17 e ss.; COGNOME c. Grecia , , in causa 31107/96, § 32; Katsaros c. Grecia, in causa 51473/99, § 17, 13.11.2003);
-) affermato il principio che la liquidazione ex art. 41 CEDU deve coprire così il danno emergente, come il mancato guadagno altrimenti ritraibile da ll’attività d’impresa impedita dalla violazione (7.6.2012, Centro Europa c. Italia , in causa 38433/09, § 214, 218 e ss.)
-) affermato il principio che la liquidazione dell’indennizzo può essere equitativa solo quando sia impossibile determinare il danno nel suo esatto ammontare, altrimenti deve avvenire iuxta alligata et probata (31.5.2021, Alfa Glass c. Grecia , § 50-52; 29.10.2020, COGNOME c. Grecia , § 24-25);
-) affermato il principio che il pregiudizio di cui si chiede la liquidazione deve essere collegato da un causal link alla violazione della Convenzione (4.10.2019, Svitlana c. Ucraina , § 85);
-) affermato il principio per cui nella liquidazione dell’indennizzo non si può prescindere (‘ cannot overlook’ ) dalla condotta concorrente della vittima ( Svitlana c. Ucraina, cit., § 87).
8.5. Questo, dunque, è lo ‘statuto’ della satisfaction équitable ex art. 41 CEDU, e corrisponde allo statuto giuridico d’un risarcimento, non d’un indennizzo.
Pertanto, anche a voler supporre – solo per ipotesi – che la sentenza della Corte EDU qui in esame presenti delle ambiguità lessicali circa l’estensione del risarcimento accordato alla MABAR, queste sarebbero fugate se le si legge alla luce del quadro giuridico sopra tratteggiato.
Se la ‘ equa soddisfazione ‘ deve ripristinare lo status quo ‘nel miglior modo possibile’; se essa deve tener conto tanto delle perdite subìte, quanto del mancato guadagno; se essa non può essere accordata per la quota di danno di cui la vittima sia corresponsabile, è impensabile che la Corte EDU, nel
provvedere alla liquidazione del pregiudizio, abbia potuto prescindere dalla sua stessa giurisprudenza.
La sentenza dunque, nel caso di dubbio, va letta alla luce degli orientamenti della Corte EDU, ed alla luce di tali orientamenti deve concludersi che quella sentenza abbia voluto liquidare tutti i danni ritenuti provati , e rigettare la domanda di risarcimento dei danni ritenuti non provati o, se provati, non causalmente dipendenti dalla confisca.
Se poi tale decisione fu equa od iniqua, esaustiva od inesaustiva, coerente od incoerente con le prove offerte, non è questione che il giudice nazionale possa sindacare senza violare il giudicato sovranazionale e senza minare lo stesso rapporto tra le due Corti. E la prova logica è la seguente: se si consentisse al danneggiato di rimettere in discussione dinanzi al giudice nazionale la liquidazione compiuta dalla Corte di Strasburgo, lamentando una sottostima del danno, evidenti ragioni di parità ed equità imporrebbero di consentire altrettale censura al danneggiante, se questi a sua volta intendesse dolersi d’una liquidazione eccedente il dovuto. Ma va da sé che una simile eventualità si tradurrebbe in una impugnazione delle decisioni di Strasburgo, non consentita dalla Convenzione e giuridicamente impossibile.
8.6. Allo stesso risultato si perviene badando al contenuto oggettivo della sentenza.
La Corte EDU infatti:
ha affermato che l’indennizzo da fissare ‘ dovrà dare l’idea di una cancellazione totale delle conseguenze ‘ dannose (§ 54);
ha ritenuto già risarcito in forma specifica il danno da perdita della proprietà;
ha liquidato nel modo ritenuto di giustizia il danno da temporanea indisponibilità dei terreni ceduti all’amministrazione comunale e di quelli ingiustamente confiscati;
ha ritenuto gli altri danni pretesi dalla RAGIONE_SOCIALE non causalmente collegati alla violazione, da parte dello Stato italiano, del diritto all’inviolabilità della proprietà e del principio nullum crimen sine lege , e di
conseguenza ha dichiarato di ‘respingere’ ( §§ 56 e 60) la relativa domanda: e dunque di rigettarla.
8.7. Vale la pena aggiungere che il verbo écarter impiegato dalla Corte EDU per respingere parte delle domande formulate dalla COGNOME (il testo ufficiale della sentenza è il francese e l’inglese, non l’italiano) nel linguaggio giuridico d’Oltralpe è impiegato per designare il rigetto della domanda, non l’accantonamento.
In tal senso è stato frequentemente usato dalla Corte EDU, come si legge nelle sentenze Karahalios c. Grecia, § 20 (‘ le Gouvernement invite la Cour à écarter la demande au titre du dommage matériel ‘); Vasilev c. Grecia, § 25 (‘ le Gouvernement invite la Cour à écarter la demande au titre des frais et dépens ‘); Boyraz c. Turchia, § 22 (‘ le Gouvernement en conclut que le maintien en détention en cause était nécessaire et que la cour de sûreté (…) était fondée à écarter les demandes formulées en ce sens ‘ ); COGNOME c. Polonia (‘ la Cour constate que les motifs avancés pour écarter les demandes de remise en liberté étaient à la fois pertinents et suffisants ‘.
Nel nostro caso la Corte EDU al § 56 della sentenza ‘COGNOME‘ scrive che prenderà in considerazione i costi di costruzione ‘ tout en écartant les prétentions qui ne se rapportent pas directement avec la double violation constatée et qui relèvent plutôt de l’activité des sociétés requérantes et du risque d’ent reprendre, telles que, entre autres, les charges financières ou les frais de notaires supportés pour l’achat des terrains en question’.
Ciò vuol dire che le domande diverse da quelle espressamente accolte sono state rigettate, non accantonate.
9. Conclusioni sul primo motivo di ricorso del Comune di Bari
Detto di quale fu il contenuto dell’atto di citazione, quale il contenuto del ricorso alla Corte EDU e quale il contenuto della decisione di quest’ultima, deve concludersi che:
tutte le domande proposte dalla COGNOME dinanzi al Tribunale di Bari avevano ad oggetto i medesimi danni dei quali aveva già richiesto il risarcimento alla Corte EDU;
b) la Corte EDU esaminò tutte le domande proposte dalla COGNOME, parte accogliendole e parte rigettandole. Sia le statuizioni di accoglimento, sia quelle di rigetto, non potevano perciò essere sindacate dal giudice nazionale.
9.1. La coincidenza tra le domande di danno formulate dinanzi alla Corte di Strasburgo e quelle formulate dinanzi al Tribunale di Bari è indubitabile ed eclatante, e poiché nimium altercando veritas amittitur, non sarà superfluo riassumerla nella tabella che segue, che si inserisce eccezionalmente nel corpo della motivazione a scopo chiarificatore, stante la complessità del thema decidendum :
TABLE
9.2. In conclusione, la decisione della Corte EDU non ha lasciato ‘danni differenziali’ di cui la MABAR possa chiedere il ristoro al giudice nazionale.
Ha accolto parte delle domande e la parte restante le ha rigettate; su quelle rigettate si è formato il giudicato; se si è formato il giudicato p inutile discorrere di danni differenziali.
La Corte d’appello avrebbe potuto liquidare un danno differenziale solo dinanzi ad una dichiarazione espressa di non liquet da parte della CEDU su alcune delle voci di danno richieste dalla MABAR: dichiarazione che vanamente si cercherebbe nella sentenza della Corte EDU.
La sentenza impugnata è dunque effettivamente incorsa nella violazione del giudicato internazionale, là dove ha ritenuto (p. 128) che la Corte EDU si fosse semplicemente astenuta dal provvedere sulle domande intese ad ottenere il risarcimento del mancato profitto e delle altre voci di danno indicate al precedente § 8.1.
Secondo la sentenza impugnata, infatti, quelle domande non sarebbero state affatto rigettate dalla Corte EDU; semplicemente, quest’ultima non le avrebbe esaminate ‘ perché (…) riconducibili ad interessi giuridici estranei al campo di applicazione della Convenzione EDU , e non rientravano nelle sue prerogative giurisdizionali e dunque non potevano essere delibate nel giudizio sovranazionale ‘ .
Questa statuizione tuttavia è doppiamente erronea.
9.2.1. Il primo errore è consistito nel ritenere ‘non esaminate’ domande che la Corte EDU ha dichiarato espressamente di ‘rigettare’ ( ‘tout en ecartant’ ).
9.2.2. Il secondo errore è consistito nel fraintendere la sentenza della Corte EDU, qualificando come ‘declinatoria di giurisdizione’ quel che fu un vero e proprio rigetto per mancanza di nesso causale tra la violazione della Convenzione e il danno.
Restano solo da aggiungere tre corollari.
9.3. Il primo è che la sentenza impugnata ha ritenuto di poter demandare di questo, in sostanza, si è trattato l’esatta individuazione del dictum contenuto nella sentenza CEDU ad un collegio di periti. La sentenza d’appello, nella parte in cui ne ha recepito le conclusioni, è di conseguenza nulla, per avere devoluto al consulente una valutazione squisitamente giuridica, e come tale di sua esclusiva competenza, quale è l’interpretazione d’una sentenza , per di più di una sentenza sovranazionale.
.
9.4. Il secondo corollario è che sono prive di rilievo le deduzioni ampiamente svolte dalla MABAR circa la differente natura ed il differente fondamento delle domande proposte a Bari ed a Strasburgo.
Il contenuto oggettivo della domanda di danno si determina in base al pregiudizio di cui si chiede il ristoro, non in base alla condotta che lo ha arrecato. Così, exempli gratia , anche il vettore può essere chiamato a rispondere dei danni alla persona del passeggero a titolo contrattuale (art. 1681 c.c.) o extracontrattuale: ma va da sé che il danno risarcibile non cambierebbe nell’uno come nell’altro caso, e il creditore non potrebbe pretendere di duplicare il risarcimento invocando la diversità della norma violata dalla condotta illecita.
Del resto, la stessa Corte EDU, quando ha dovuto stabilire se fosse rispettato il requisito dell’esaurimento delle vie di ricorso interne, ha ripetutamente affermato che a tal fine non rileva che la causa petendi invocata dinanzi ai giudici nazionali ed alla Corte EDU sia diversa.
Quel che rileva è la ‘ sostanza ‘ (sic) della domanda ( Castells c. Spagna, 1992, § 32; NOME COGNOME c. Grecia, 1996, § 33; Fressoz c. Francia, 1999, § 38; Azinas c. Cipro , 2004, §§ 40-41; COGNOME c. Serbia , 2014, §§ 72, 79, 81-82; Platini c. Svizzera, 2020, § 51; NOME Çetin c. Turchia, 2020, §§ 28-30).
Ciò significa che anche se l’attore non invocasse dinanzi al giudice nazionale le norme della CEDU, quel che conta è che abbia proposto una domanda che consenta al giudice nazionale di rimediare alla lamentata violazione ( Gäfgen c. Germania , 2010, §§ 142, 144 et 146 ; COGNOME c. Croazia , 2018, § 117; COGNOME c. Grecia, 2010, § 29 ; Marić c. Croazia, 2014, § 53 ; Portu NOME e NOME COGNOME c. Spagna, 2018, §§ 62-63; Rodina c. Lettonia, 2020, §§ 81-83).
Nel nostro caso il ‘bene’ domandato al giudice nazionale era esattamente quello domandato al giudice della CEDU: la pronuncia del secondo impediva quindi la decisione del primo.
9.5. Il terzo corollario è che è giuridicamente scorretto affermare, come vorrebbe la COGNOME, che altro è il danno da violazione dell’art. 7 della
Convenzione; altro è invece il danno da incolpevole affidamento sulla legittimità dei provvedimenti amministrativi concessòri.
La violazione dell’art. 7 (e dell’art. 1 del Protocollo n. 1), secondo la Corte EDU, vi fu perché l’autorità giudiziaria confiscò terreni e fabbricati senza previamente accertare una condotta colpevole del proprietario. Ma terreni e fabbricati furono confiscati perché abusivamente lottizzati (circostanza ormai indiscutibile); e l’abusiva lottizzazione fu il frutto – secondo la prospettazione attorea d’una negligente condotta della P.A.
Non, dunque, due danni diversi causati da due condotte diverse la COGNOME ha richiesto nei due giudizi introdotti nelle due sedi. Le due pretese ‘condotte diverse’ non furono altro che l’una la causa dell’altra, ed identico fu il danno che ne derivò.
10. Il secondo motivo di ricorso del Comune di Bari.
Col secondo motivo è denunciata la violazione dell’art. 2043 c.c..
Il Comune di Bari sostiene che la Corte territoriale ha accordato alla MABAR il risarcimento d’un danno che non poteva dirsi ‘ingiusto’. La MABAR infatti non vantava alcuna situazione giuridica soggettiva attiva protetta dall’ordinamento per pretendere di portare a compimento un progetto vietato dalla legge.
10.1. Il motivo resta assorbito dall’accoglimento del primo motivo di ricorso.
11. Il terzo motivo di ricorso del Comune di Bari.
Col terzo motivo è denunciata la nullità della sentenza impugnata, ex art. 132 c.p.c.. Il motivo investe l’affermazione della sussistenza della colpa ex art. 2043 c.c. dell’Amministrazione comunale. Vi si sostiene che tale colpa sarebbe stata postulata, invece che motivata.
11.1. Il motivo resta assorbito dall’accoglimento del primo motivo di ricorso.
12. Il quarto motivo di ricorso del Comune di Bari.
Col quarto motivo è denunciata la violazione al di là dell’intitolazione del motivo dell’art. 1227 c.c..
Vi si sostiene che erroneamente ed immotivatamente la Corte d’appello ha escluso un concorso colposo della MABAR.
12.1. Il motivo resta assorbito dall’accoglimento del primo motivo di ricorso.
13. Il quinto motivo di ricorso del Comune di Bari.
Col quinto motivo è denunciato il vizio di omessa pronuncia, per avere la Corte d’appello trascurato di prendere in esame l’argomento difensivo inteso ad invocare l’errore scusabile dell’amministrazione comunale.
13.1. Il motivo resta assorbito dall’accoglimento del primo motivo di ricorso.
14. Il sesto motivo di ricorso del Comune di Bari.
Col sesto motivo la sentenza d’appello è censurata, sotto plurimi profili, nella parte in cui ha liquidato in euro 7.788.292,66 il danno sofferto dalla MABAR, consistito negli oneri passivi accumulati dapprima verso il ceto bancario, e poi divenuti esposizione nei confronti della Salvatore RAGIONE_SOCIALE s.p.aRAGIONE_SOCIALE, allorché quest’ultima tacitò le banche creditrici della MABAR rendendosi cessionaria del relativi crediti.
Nell’illustrazione del motivo si deduce che la Corte d’appello avrebbe:
-) incluso nella suddetta somma costi già considerati dalla Corte EDU, duplicando così il risarcimento;
-) frainteso il contenuto oggettivo della c.t.u. su questo punto.
14.1. Il motivo resta assorbito dall’accoglimento del primo motivo di ricorso.
15. Il primo motivo di ricorso della Regione Puglia.
Col primo motivo la sentenza d’appello è impugnata nella parte in cui ha ritenuto sussistente e dimostrata la colpa della Regione Puglia.
Nell’illustrazione del motivo sono contenute plurime censure.
15.1. Una prima censura è così riassumibile:
a) la Corte d’appello ha ritenuto che la Regione Puglia tenne una condotta colposa perché durante il procedimento finalizzato all’approvazione del piano di lottizzazione non rilasciò il prescritto ‘nullaosta paesistico’, nonostante l’avvenuta pubblicazione del Piano sul Bollettino Ufficiale della Regione; non fu emesso il prescritto parere del Comitato Urbanistico Regionale; e comunque ‘ non vigilò e controllò’ , per quanto di sua spettanza, il procedimento suddetto, in particolare non rilevando l’esistenza del vincolo di inedificabilità sulle aree lottizzate;
b) tale statuizione viola le norme sulle presunzioni (artt. 2727 e 2729 c.c.) è perché ha ritenuto dimostrata in via presuntiva l’esistenza d’un fatto (l’avvenuta pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione del piano di lottizzazione) che non poteva essere dimostrato in via presuntiva, ma solo per iscritto.
15.2. Con una seconda censura è denunciata la violazione dell’art. 115 c.p.c.. Vi si sostiene che la Corte d’appello ‘ non ha tenuto nel minimo conto ‘ due sentenze penali (l’una pronunciata dal GIP presso la Pretura di Bari, l’altra dalla Corte di cassazione) nelle quali si dava conto che l’intera procedura di lottizzazione avvenne di fatto estromettendo gli organi regionali, ai quali pertanto nessuna colpa per negligenza od imperizia poteva essere addebitata.
15.3. Con una terza censura la Regione deduce che erroneamente la Corte d’appello le ha attribuito, a titolo di colpa, di non avere esercitato alcun controllo sull’illegittimo piano di lottizzazione approvato dal Comune di Bari. Sostiene la ricorrente che quel preteso ‘omesso controllo’ non può essere ascritto a sua colpa, in quanto il Comune non le fece mai pervenire, prima della pubblicazione sul Bollettino Ufficiale, il suddetto Piano di Lottizzazione al Comitato Urbanistico Regionale, così come imposto dal combinato disposto degli artt. 21 e 27 della l. reg. Puglia 56/1980.
La Corte d’appello, senza mettere in discussione né l’esistenza di tale obbligo di comunicazione a carico del Comune, né la sua inosservanza,
avrebbe perciò illegittimamente ascritto alla Regione di avere omesso l’adozione d’un atto (il parere del Comitato Urbanistico) che essa non fu messa nelle condizioni di adottare.
15.4. Tutte le suddette censure sono assorbite dall’accoglimento del primo motivo del ricorso proposto dal Comune di Bari.
16. Il secondo motivo di ricorso della Regione Puglia.
Anche il secondo motivo contiene plurime censure, tutte rivolte contro il capo di sentenza che ha ritenuto ‘colposa’ la condotta della Regione.
Le censure mosse alla sentenza impugnata nell’illustrazione del motivo possono così riassumersi:
alla Regione è stato ascritto a titolo di colpa di non avere inserito l’area di INDIRIZZO tra quelle soggette a vincolo paesaggistico, avvalendosi dei poteri di cui al d.P.R. 616/77: ma il compimento di tale atto era discrezionale e non vincolato, e la sua omissione non poteva dar luogo a responsabilità;
alla Regione è stato ascritto a titolo di colpa di non avere curato l’apposizione del vincolo di inedificabilità di cui all’art. 51, lettere f) ed h) della l. reg. Puglia n. 56/1980: ma il vincolo imposto da tale norma è operante ex se , senza necessità di alcun provvedimento espresso della Regione; inoltre lo stabilire se una costruzione viola o meno un vincolo di inedificabilità è un accertamento che compete al Sindaco, ai sensi dell’art. 21 della suddetta l. reg. 56/1980;
alla Regione è stato ascritto a titolo di colpa di non avere controllato i provvedimenti comunali di adozione del piano di lottizzazione: ma tale controllo sarebbe stato possibile solo il piano di lottizzazione fosse stato dal Comune trasmesso al Comitato Urbanistico Regionale, il che non era avvenuto;
alla Regione è stato ascritto a titolo di colpa di non avere erroneamente interpretando la propria stessa legislazione – mai rilevato l’esistenza del vincolo di inedificabilità nel corso del procedimento di approvazione del Piano Regolatore Generale; di non avere ‘curato
l’imposizione del vincolo di inedificabilità’ imposto dall’art. 1 della l. reg. Puglia 30/1990: ma anche tale vincolo discendeva direttamente dalla legge, e non richiedeva l’adozione di provvedimenti espressi;
5) alla Regione è stato ascritto a titolo di colpa di avere fornito al Comune un parere (di fattibilità dell’opera) basato su una erronea interpretazione dell’art. 1 della l. reg. Puglia 30/1990: ma la Corte d’appello non ha considerato che quel parere riguardava ‘ profili generalissimi che nulla avevano a vedere con il piano di lottizzazione ‘ oggetto di causa;
6) alla Regione è stato ascritto a titolo di colpa di avere evitato che il piano di lottizzazione fosse inviato dal Comune al Comitato Urbanistico Regionale per il prescritto parere: ma la sentenza non spiega con quali mezzi od in che modo la Regione avrebbe impedito od ostacolato tale invio.
7) in ogni caso la Corte d’appello aveva travisato le prove , per avere ritenuto sussistere la colpa della Regione senza che fosse emersa l’adozione di alcun provvedimento amministrativo illegittimo da parte di quest’ultima, e nonostante fosse altresì emerso che essa non ebbe mai contezza dei contenuti del piano di lottizzazione (p. 46).
16.1. Il motivo resta assorbito dall’accoglimento del primo motivo di ricorso proposto dal Comune di Bari.
17. Il terzo motivo di ricorso della Regione Puglia.
Il terzo motivo di ricorso proposto dalla Regione espone una censura analoga a quella proposta dal Comune di Bari col primo motivo di ricorso, ed è fondato per le medesime ragioni già esposte ai §§ 6 e ss..
18. Il quarto motivo di ricorso della Regione Puglia.
Il quarto motivo di ricorso proposto dalla Regione espone una censura analoga a quella proposta dal Comune di Bari col secondo motivo di ricorso, e resta assorbito dall’accoglimento del primo motivo di ricorso proposto dal Comune di Bari.
19. Il quinto motivo di ricorso della Regione Puglia.
Il quinto motivo di ricorso proposto dalla Regione espone una censura analoga a quella proposta dal Comune di Bari col quarto motivo di ricorso, e resta assorbito dall’accoglimento del primo motivo di ricorso proposto dal Comune di Bari.
20. Il sesto motivo di ricorso della Regione Puglia.
Il sesto motivo di ricorso proposto dalla Regione espone una censura analoga a quella proposta dal Comune di Bari col quinto motivo di ricorso, e resta assorbito dall’accoglimento del primo motivo di ricorso proposto dal Comune di Bari.
21. Il settimo motivo di ricorso della Regione Puglia.
Il settimo motivo di ricorso proposto dalla Regione espone una censura analoga a quella proposta dal Comune di Bari col sesto motivo di ricorso.
Esso resta assorbito dall’accoglimento del primo motivo di ricorso proposto dal Comune di Bari.
La Regione Puglia propone un ‘ottavo motivo’ di ricorso col quale formalmente denuncia la violazione dell’art. 91 c.p.c., ma in realtà non si tratta d’un mezzo di impugnazione: infatti si limita a sostenere che siccome l’appello della COGNOME si sarebbe dovuto rigettare, le spese avrebbero dovuto seguire la soccombenza.
22. Il primo motivo di ricorso del Ministero.
Il primo motivo di ricorso proposto dal Ministero espone una censura analoga a quella proposta dal Comune di Bari col primo motivo di ricorso, ed è fondato per le medesime ragioni già esposte ai §§ 6 e ss..
23. Il secondo motivo di ricorso del Ministero.
Col secondo motivo è impugnata la sentenza d’appello nella parte in cui ha ritenuto sussistente la responsabilità del Ministero della cultura.
Nell’illustrazione del motivo si sostiene che:
il vincolo di inedificabilità sull’area di INDIRIZZO era impedito direttamente dalla legge (art. 51 l. reg. 13/1980), con la conseguenza che nessun atto della Soprintendenza era necessario per renderlo noto ed efficace, né gli atti o le omissioni ascritte alla Soprintendenza potevano essere considerati ‘causa’ del danno lamentato dalla MABAR;
in ogni caso alla Soprintendenza spettavano i compiuti di tutela del paesaggio, non di controllo delle attività urbanistiche;
il compito di rilasciare al costruttore l’autorizzazione di compatibilità paesaggistica spettava, ratione temporis , alla Regione e non al Ministero, il quale può esercitare solo un controllo di legittimità sull’autorizzazione regionale, che è compito della Regione trasmettere. Nel caso di specie, tuttavia, non avendo la Regione Puglia mai rilasciato la suddetta autorizzazione, questa non poté mai pervenire al Ministero.
24.1. Il motivo resta assorbito dall’accoglimento del primo motivo di ricorso proposto dal Comune di Bari.
25. Il terzo motivo del Ministero.
Col terzo motivo la sentenza di appello censurata nella parte in cui ha ritenuto sussistente la colpa del Ministero.
Vi si sostiene che la colpa dell’Amministrazione statale è stata affermata in modo apodittico.
25.1. Il motivo resta assorbito dall’accoglimento del primo motivo di ricorso proposto dal Comune di Bari.
26. Il primo motivo di ricorso incidentale della RAGIONE_SOCIALE
I tre ricorsi incidentali proposti dalla MABAR hanno identico contenuto e possono essere esaminati congiuntamente.
26.1. Col primo motivo la COGNOME denuncia la violazione degli artt. 1223 e 2043 c.c..
La censura è rivolta avverso la parte della sentenza d’appello nella quale è stato ritenuto già risarcito, per effetto della sentenza della Corte EDU, il danno da perdita del valore dei suoli (di cui a p. 112 dell’atto di citazione in primo grado).
A fondamento della censura deduce che:
-) la restituzione dei terreni confiscati non ha ristorato appieno il pregiudizio economico da essa subìto;
-) i terreni da essa acquistati, poi illegittimamente confiscati ed infine restituiti, hanno oggi un valore inferiore a quello che avrebbero altrimenti avuto;
-) che infatti, nonostante il riacquistato possesso e la permanente edificabilità dei suoli, nel 2018 la Soprintendenza adottò un provvedimento ostativo all’esecuzione di un ‘accordo di programma’ che la RAGIONE_SOCIALE e altre società commerciali avrebbero proposto al Comune di Bari, al fine di realizzare un programma edificatorio che lasciasse inalterate le aree ormai destinate a parco pubblico.
26 .1. Il motivo resta assorbito dall’accoglimento del primo motivo del Comune di Bari (§§ 6 e ss.).
Reputa opportuno la Corte aggiungere che la censura proposta dalla COGNOME col motivo in esame sarebbe stata comunque infondata.
26.1.1. Sarebbe stata infondata, in primo luogo, perché di fatto tale censura consiste in una impugnazione della sentenza pronunciata dalla Corte EDU, giacché lamenta la sottostima d’un danno da quella Corte esaminato e liquidato. Era facoltà della COGNOME rivolgersi al giudice nazionale o al giudice di Strasburgo, ma dopo avere esaurito le vie di ricorso interne. Avendo la MABAR scelto di adìre la Corte EDU senza il previo esaurimento delle vie di ricorso interne, ha accettato il rischio della insindacabilità assoluta delle decisioni del giudice di Strasburgo, e vanamente ora pretende da questa Corte quel che né essa, né alcun altro giudice nazionale potrebbe fare: sottoporre a riesame le decisioni della Corte EDU.
26.1.2. In secondo luogo la censura qui in esame sarebbe stata infondata per la sua contrarietà proprio alla norma che si assume violata dalla Corte d’appello: l’art. 1223 c.c..
La COGNOME infatti con la domanda introduttiva del giudizio ha chiesto di essere risarcita delle conseguenze dannose di un fatto illecito.
Il fatto illecito secondo la prospettazione attorea fu la colposa induzione a ritenere fattibile un investimento la cui realizzazione era in realtà giuridicamente impossibile.
Il risarcimento del danno da fatto illecito ha lo scopo di ripristinare la condizione patrimoniale del danneggiato, se l’illecito non fosse stato commesso.
Ma se il Comune di Bari – in ipotesi – avesse ab initio rilevato l’inedificabilità dell’area di INDIRIZZO e non avesse dato seguito al piano di lottizzazione, la situazione patrimoniale della RAGIONE_SOCIALE sarebbe stata la seguente: non avrebbe avviato i lavori, ma avrebbe conservato la proprietà dei terreni già acquistati, il cui valore sarebbe stato quello di terreni non edificabili.
Col motivo in esame la COGNOME pretende invece di essere risarcita non solo dell’interesse negativo ( id quod interest contractum non fuisse ), ma anche del maggior valore che i terreni da essa acquistati avrebbero avuto se fosse mancato l’illecito ( quantum lucrari potui ).
I due effetti non sono cumulabili, perché se fosse mancato l’illecito nessun investimento edilizio sarebbe mai potuto neanche partire e, di conseguenza, nessun incremento di valore dei suoli avrebbe arricchito la MABAR.
E’ il motivo di ricorso dunque, e non la sentenza impugnata, a propugnare tesi irrispettose dell’art. 1223 c.c..
27. Il secondo motivo di ricorso incidentale della RAGIONE_SOCIALE
Col secondo motivo la COGNOME lamenta la violazione dell’art. 2058 c.c..
Deduce che la restituzione dei terreni, da essa non chiesta e non voluta, non valse a ristorare il pregiudizio da essa subito. Aggiunge che la restituzione dei suoli non fu un ristoro ‘effettivo’, e la mancanza di effettività non rendeva la restituzione un risarcimento esaustivo.
27.1. Il motivo resta assorbito dall’accoglimento del primo motivo di ricorso proposto dal Comune di Bari.
In ogni caso anche tale censura – lo si aggiunge per completezza di esame dei complessi profili giuridici evocati – sarebbe stata manifestamente infondata.
Essa sarebbe stata manifestamente infondata sia per la ragione, fondamentale, già indicata al § 26.1 (il motivo vorrebbe inammissibilmente rimettere in discussione le valutazioni del giudice di Strasburgo); sia perché nella giurisprudenza di questa Corte è pacifico che la scelta fra risarcimento in forma specifica o per equivalente spetta al giudice e non è sindacabile in sede di legittimità.
Questo principio fu affermato per la prima volta da Cass. Sez. 2, 07/02/1975, n. 471, ed è stato ribadito da ultimo da Cass. Sez. 1, 13/11/2024, n. 29245. Da questo mezzo secolo di giurisprudenza la difesa della MABAR prescinde del tutto.
28. Il terzo motivo di ricorso incidentale della RAGIONE_SOCIALE.
Col terzo motivo è denunciata la violazione degli artt. 1226, 2043 e 2056 c.c.; nonché dell’art. 116 c.p.c..
Nell’epigrafe del motivo si dichiara che con esso la società ricorrente intende censurare la sentenza d’appello nella parte in cui:
ha escluso dal danno risarcibile ‘gli interessi’ (senza ulteriori precisazioni);
ha ritenuto già indennizzato dalla Corte EDU il danno emergente consistito nei costi di progettazione.
L’illustrazione del motivo tuttavia non è del tutto coerente con questa intitolazione.
Questa Corte, dopo molte letture della illustrazione di questo motivo, ritiene che l’unica interpretazione salvifica, in grado di evitarne la dichiarazione di inammissibilità per oscurità, debba essere la seguente:
-) il motivo contiene due censure subordinate l’una all’altra ;
-) con una prima censura la COGNOME deduce la Corte d’appello ha negato, con motivazione inesistente o almeno illogica, la corresponsione
degli interessi legali sulle somme ad essa dovute a titolo di risarcimento del danno consistito nella inutile sopportazione dei costi di costruzione; da un lato, infatti, la Corte d’appello ha ammesso che tali interessi non furono accordati dalla sentenza della Corte EDU; dall’altro però ha trascurato di esporre le ragioni del rigetto del relativo motivo di gravame;
-) con una seconda e subordinata censura la COGNOME deduce che, se si ritenesse che gli interessi sul credito risarcitorio fossero stati già liquidati dalla Corte EDU, l’importo da questa determinato (9,5 milioni di euro) risulterebbe inferiore alla somma delle varie voci di danno prospettate dalla MABAR.
In pratica la COGNOME sostiene che delle due l’una: se si ritenesse che gli interessi non furono accordati dalla Corte EDU, avrebbe dovuto liquidarli la Corte d’appello ma non lo fece; se si ritenesse che gli interessi fossero già stati liquidati dalla Corte EDU, l’importo da questa determinato sarebbe sottostimato rispetto alla sommatoria delle varie poste di danno.
28.1. Il motivo è innanzitutto inammissibile per la sua novità.
Nella parte dell’atto d’appello dedicata alla descrizione del danno e dunque all’assolvimento dell’onere di allegazione ex art. 346 c.p.c. (pp. 57-58) non si fa cenno alcuno al tema degli ‘interessi’, vuoi che con tale generica dizione la RAGIONE_SOCIALE avesse inteso riferirsi agli interessi moratori, vuoi che avesse inteso riferirsi agli interessi compensativi.
Del resto l’illustrazione del motivo esordisce denunciando che l’errore della Corte d’appello sarebbe consistito nel ritenere ‘ destituite di fondamento le pretese formulate sub 2)b delle conclusioni dell’atto introduttivo del giudizio di appello ‘, e le conclusioni di cui al punto ‘2 -b’ dell’appello (p. 66) furono le seguenti: ‘ a titolo di risarcimento di tutti i danni patrimoniali emergenti da essa riportati a causa degli investimenti effettuati per la programmazione, presentazione, progettazione ed esecuzione parziale dell’intervento edilizio di cui al Piano di Lottizzazione n. 151 / 1989 ‘. Nessun cenno, dunque, l’appello conteneva al tema degli interessi.
28.2. Nella parte in cui lamenta il vizio di motivazione il motivo è comunque inammissibile per altra ed ulteriore ragione: e cioè che l’unico vizio di motivazione denunciabile in sede di legittimità è quello consistente nella mancanza assoluta di motivazione, nella insuperabile contraddittorietà o nella assoluta incomprensibilità. Non è (più) denunciabile, invece, la mera insufficienza della motivazione (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
Nel caso di specie non ricorre nessuna di queste ipotesi: la Corte d’appello ha rigettato la domanda di cui al punto ‘2.b’ dell’atto d’appello dichiarando: ‘ il pregiudizio de quo risulta già indennizzato dalla Corte E.D.U. con la sentenza in data 10/05/2012 ‘ . Una motivazione dunque ben comprensibile e non contraddittoria.
28.3. Nella parte, infine, in cui denuncia come erroneo il rigetto della domanda di risarcimento del danno consistito nei costi di costruzione e progettazione, il motivo è infondato per le ragioni già esposte ai §§ 5.1 e ss.
29. Il quarto motivo di ricorso incidentale della RAGIONE_SOCIALE
Anche col quarto motivo è denunciata la violazione degli artt. 1223, 2043 e 2056 c.c., nonché dell’art. 116 c.p.c..
Anche questo motivo è rivolto contro il capo di sentenza reiettivo della domanda formulata al punto ‘2 -b’ dell’atto d’appello, vale a dire la condanna delle Amministrazioni appellate al risarcimento ‘ di tutti i danni patrimoniali emergenti da essa riportati a causa degli investimenti effettuati per la programmazione, presentazione, progettazione ed esecuzione parziale dell’intervento edilizio di cui al Piano di Lottizzazione n. 151/1989 ‘ . Nell’illustrazione del motivo si deduce che:
-) tra i ‘danni emergenti’ di cui aveva chiesto il risarcimento vi erano gli ‘oneri finanziari’ inutilmente sostenuti, ovvero gli ‘ interessi passivi sulle plurime operazioni di finanziamento bancario a sostegno della realizzazione dell’opera edilizia’ ;
-) la Corte d’appello ha rigettato la domanda in esame sul presupposto che gli oneri finanziari di cui la MABAR chiedeva il risarcimento
erano stati sostenuti per acquisire i fondi necessari all’acquisto dei terreni destinati all’esecuzione del progetto edilizio; sicché, una volta restituiti i terreni alla MABAR, gli interessi passivi sui finanziamenti richiesti per l’acquisto di essi non potevano ritenersi inutilmente spesi;
-) tuttavia la restituzione dei terreni alla RAGIONE_SOCIALE non valse a ristorare quest’ultima degli oneri finanziari sostenuti per il loro acquisto; i suddetti oneri infatti furono sostenuti non per acquistare dei terreni, ma per realizzare un investimento edilizio; pertanto, venuta meno la fattibilità del progetto per fatto e colpa della P.A., quegli oneri costituirebbero ex se un danno risarcibile.
29.1. Nella parte in cui lamenta il vizio di motivazione il motivo è inammissibile per le ragioni già indicate al § 28.2.
N el caso di specie la Corte d’appello ha rigettato la domanda di risarcimento del danno consistito negli interessi passivi ritenendolo già liquidato dalla Corte EDU. Una motivazione dunque ben comprensibile e non contraddittoria.
29.2. Nella parte restante il motivo è infondato, alla luce delle motivazioni già esposte ai fini dell’accoglimento del primo motivo di ricorso proposto dal Comune di Bari (§§ 5.1 e ss.).
30. Il quinto motivo di ricorso incidentale della RAGIONE_SOCIALE.
Anche col quinto motivo di ricorso è denunciata la violazione degli artt. 1223, 2043 e 2056 c.c., nonché dell’art. 116 c.p.c..
Con tale motivo la sentenza d’appello è impugnata nella parte in cui ha ritenuto che la rivalutazione e gli interessi sulle somme liquidate a titolo di risarcimento del danno dovessero decorrere dalla data di trascrizione del provvedimento giudiziario di confisca (10 aprile 2001). La MABAR deduce che la rivalutazione e gli interessi si sarebbero dovuti far decorrere dal momento in cui fu tenuta la condotta illecita, e dunque nel momento in cui fu approvato dalle competenti autorità il piano di lottizzazione.
30.1. Il motivo resta assorbito dall’accoglimento del ricorso proposto dal Comune di Bari, dalla Regione Puglia e dal Ministero della Cultura. La ritenuta insussistenza d’un danno risarcibile, infatti, rende vano discorrere degli effetti della mora.
31. Il sesto motivo di ricorso incidentale della RAGIONE_SOCIALE.
Col sesto motivo è denunciata la violazione degli artt. 1226 e 2056 c.c..
Con questo motivo è impugnata la sentenza d’appello nella parte in cui ha rigettato la domanda di risarcimento del danno da ‘lucro cessante indiretto’, per tale dovendosi intendere il danno consistito nella perduta possibilità di investire altrove tutte le somme vanamente profuse nel progetto edilizio non andato a buon fine.
La ricorrente deduce che ‘ la legge richiede di provare solo e soltanto l’esistenza del lucro cessante e non anche il suo esatto ammontare, come invece è di norma necessario per il danno emergente ‘; che in ogni caso la prova del danno da lucro cessante può essere data per presunzioni; che nel caso di specie comunque i documenti prodotti in causa erano sufficienti a dimostrare an e quantum del suddetto danno.
31.1. Il motivo resta assorbito dall’accoglimento de i ricorsi proposti dalle Amministrazioni, per le ragioni già indicate ai §§ 5.1 e ss..
31.2. Per completezza di analisi, in ragione della delicatezza delle questioni trattate rileva la Corte che il motivo sarebbe stato comunque inammissibile e infondato.
In primo luogo sarebbe stato inammissibile perché la domanda di risarcimento del danno da perduta possibilità di impiegare altrove le risorse vanamente destinate all’ affaire ‘Punta COGNOME‘ è stata rigettata per difetto di prova, e dunque con statuizione non sindacabile in questa sede.
La censura pertanto cozza contro il consolidato e pluridecennale orientamento di questa Corte, secondo cui non è consentita in sede di legittimità una valutazione delle prove ulteriore e diversa rispetto a quella compiuta dal giudice di merito, a nulla rilevando che quelle prove potessero
essere valutate anche in modo differente rispetto a quanto ritenuto dal giudice di merito ( ex permultis , Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612747; Sez. 3, Sentenza n. 13954 del 14/06/2007, Rv. 598004; Sez. L, Sentenza n. 12052 del 23/05/2007, Rv. 597230; Sez. 1, Sentenza n. 7972 del 30/03/2007, Rv. 596019; Sez. 1, Sentenza n. 5274 del 07/03/2007, Rv. 595448; Sez. L, Sentenza n. 2577 del 06/02/2007, Rv. 594677; Sez. L, Sentenza n. 27197 del 20/12/2006, Rv. 594021; Sez. 1, Sentenza n. 14267 del 20/06/2006, Rv. 589557; Sez. L, Sentenza n. 12446 del 25/05/2006, Rv. 589229; Sez. 3, Sentenza n. 9368 del 21/04/2006, Rv. 588706; Sez. L, Sentenza n. 9233 del 20/04/2006, Rv. 588486; Sez. L, Sentenza n. 3881 del 22/02/2006, Rv. 587214; e così via, sino a risalire a Sez. 3, Sentenza n. 1674 del 22/06/1963, Rv. 262523, la quale affermò il principio in esame, poi ritenuto per sessant’anni: e cioè che ‘ la valutazione e la interpretazione delle prove in senso difforme da quello sostenuto dalla parte è incensurabile in Cassazione ‘).
31.2. Per di più il motivo sarebbe stato anche infondato nel merito, se del merito si fosse potuto discorrere.
La COGNOME è stata risarcita, per effetto della sentenza della Corte EDU, delle somme spese per avviare il progetto non andato a buon fine. Su tali importi la Corte EDU ha riconosciuto altresì il pregiudizio causato dalla mora, chiamato ‘ indicizzazione’ e liquidato à forfait .
Ora, la perduta possibilità di investire delle somme di denaro in un attività redditizia costituisce un danno da perdita del lucro finanziario che il denaro avrebbe potuto garantire.
Delle due, pertanto, l’una: o la liquidazione avviene in concreto , aumentando il capitale vanamente investito del lucro che avrebbe verosimilmente prodotto se impiegato altrove (beninteso, secondo quanto allegato e provato); o la liquidazione avviene in abstracto e presuntivamente, attraverso il ricorso agli interessi compensativi (Cass. S.U. 19499/08).
Le due possibilità non possono mai cumularsi. Sicché alla COGNOME, avendo ottenuto comunque dalla Corte EDU la liquidazione del danno da mora
(l’ ‘indicizzazione’ ), è precluso domandare anche la perdita del lucro finanziario che avrebbe potuto realizzare investendo altrove le proprie risorse.
32. Il settimo motivo di ricorso incidentale della RAGIONE_SOCIALE.
Col settimo motivo è denunciata la violazione degli artt. 1226 c.c., 2056 c.c. e 116 c.p.c..
Anche il settimo motivo di ricorso censura la sentenza d’appello nella parte in cui ha rigettato per difetto di prova la domanda di risarcimento del danno da lucro cessante.
Nell’illustrazione del motivo si sostiene che la Corte d’appello avrebbe errato nel non ritenere ‘ prova idonea del lucro cessante quella offerta dalla produzione documentale agli atti perché, tra l’altro, costituita da fatture non quietanzate dei costi di costruzione ‘; che a dimostrare il danno bastava la prova presuntiva; che a dimostrare il danno da lucro cessante bastava la dimostrazione dell’esistenza del pregiudizio, e non anche la prova del suo esatto ammontare; di avere superficialmente e comunque in modo inesatto interpretato e valutato la perizia di parte (‘ la complessissima perizia immobiliare REAG ‘).
32.1. Il motivo resta assorbito dall’accoglimento del ricorso proposto dalle Amministrazioni; esso comunque sarebbe stato manifestamente inammissibile a tacer d’altro – per le ragioni già indicate al § 31.2.
33. L’ottavo motivo di ricorso incidentale della RAGIONE_SOCIALE
Con l’ottavo motivo è denunciata la violazione degli artt. 1226, 2043, 2056, 2059, 2729 c.c.
La censura è rivolta contro il capo di sentenza che ha rigettato la domanda di ristoro del danno non patrimoniale formulata sia dalla COGNOME, sia da NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Nell’illustrazione del motivo si deduce che:
-) erroneamente la Corte d’appello ha ritenuto già risarcito dalla Corte EDU il danno non patrimoniale sofferto dai tre ricorrenti;
-) la Corte EDU, infatti, risarcì il danno non patrimoniale causato dalla confisca, ma non il danno non patrimoniale causato dalla lesione dell’affidamento nella legittimità dei provvedimenti della P.A.;
-) in ogni caso il danno liquidato dalla Corte EDU alla COGNOME non era satisfattorio’ ;
-) del suddetto danno vi era ampia prova.
33.1. Il motivo è manifestamente inammissibile.
La Corte d’appello ha ritenuto – e non importa qui se a torto od a ragione che il Tribunale avesse rigettato la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale per ‘ genericità e vaghezza del titolo giustificativo’ ; aggiunse che questa fu una ‘ autonoma ratio decidendi ‘ e che né la COGNOME, né gli altri appellanti l’aveva no impugnata (p. 210, § ‘ II.D.2.d.2.b ‘ della sentenza d’appello ).
La Corte d’appello, in definitiva, ha rilevato -implicitamente, ma inequivocabilmente la formazione d’un giudicato interno sulla statuizione di ‘ genericità della domanda ‘.
Questa statuizione non è stata impugnata dagli odierni ricorrenti incidentali. Il motivo in esame infatti si diffonde a sostenere che la liquidazione del danno non patrimoniale effettuata dalla Corte EDU non fu esaustiva, ma in nessun punto investe l’affermazione dell’avvenuta formazione del giudicato interno circa la genericità della domanda.
36.2. La Corte non può inoltre esimersi dal rilevare che:
-) il motivo si traduce di fatto in una ‘impugnazione’ della decisione pronunciata dalla Corte EDU, giuridicamente impossibile;
-) costituisce una cerebrina astrazione la pretesa di distinguere tra ‘ il danno non patrimoniale causato dalla confisca ‘ ed il ‘ danno non patrimoniale causato dalla lesione dell’affidamento ‘, per le ragioni già indicate al § 9.5;
-) la censura proposta da NOME COGNOME e NOME COGNOME in proprio è manifestamente inammissibile ex art. 366 n. 3 c.p.c., dal momento che in nessun punto non solo del pur verboso ricorso per
cassazione, ma tampoco nell’atto di citazione, essi riferiscono in modo chiaro per quale ragione furono danneggiati dalla vicenda oggetto di causa.
34. Il nono motivo di ricorso incidentale della RAGIONE_SOCIALE.
Col nono motivo è denunciata la violazione degli artt. 1173 e 1223 c.c..
Nell’illustrazione del motivo si sostiene che:
-) la responsabilità della P.A. derivante dall’adozione di provvedimenti amministrativi illegittimi è soggetta alle regole della responsabilità contrattuale, non di quella aquiliana;
-) ciò incide ‘ sul riparto dell’onere probatorio’ ;
-) pertanto ‘ nulla essere contestato all’odierna ricorrente e quanto fin qui evidenziato sia, in ogni caso, ampiamente sufficiente a dimostrare l’effettiva sussistenza del danno non patrimoniale subito, all’immagine e reputazione ‘.
34.1. Il motivo è manifestamente infondato.
A prescindere da qualsiasi considerazione sulla perdurante validità della tesi della ‘ responsabilità da contatto sociale ‘ (tesi risalente al 1934 che ciclicamente cade, risorge e giace a seconda dei gusti o, peggio, degli scopi degli interpreti), resta il fatto che l’applicazione delle regole sulla responsabilità contrattuale esonera il danneggiato dalla prova della colpa del responsabile (art. 1218 c.c.), non certo dalla prova dell’esistenza del danno e del nesso di causa.
La ritenuta fondatezza del primo motivo di ricorso proposto dal Comune di Bari e degli equivalenti motivi di ricorso proposti dalle altre amministrazioni non impone la cassazione con rinvio della sentenza impugnata.
Infatti, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, rigettando l’appello proposto dalla MABAR e dichiarando assorbito quello (avente ad oggetto la domanda di manleva) proposto dal Ministero della Cultura.
La decisione della causa nel merito impone di provvedere, oltre che sulle spese del giudizio di legittimità, anche sulle spese dei precedenti gradi di giudizio.
Reputa la Corte che la complessità delle questioni agitate; l’esito alterno dei gradi di merito; la circostanza che la motivazione adottata dalla Corte EDU potesse oggettivamente dare àdito a dubbi, costituiscano gravi ed eccezionali motivi idonei a giustificare ex art. 92 c.p.c. la compensazione delle spese sia dei gradi di merito, sia del presente giudizio di legittimità.
Per questi motivi
la Corte di cassazione:
-) accoglie il primo motivo di ricorso del Comune di Bari; il terzo motivo di ricorso della Regione Puglia ed il primo motivo di ricorso del Ministero della Cultura;
-) dichiara assorbiti i restanti motivi proposti dai tre ricorrenti appena indicati;
-) rigetta il ricorso incidentale proposto dalla RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME e NOME COGNOME;
-) cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e, decidendo nel merito, rigetta l’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME e NOME COGNOME ; dichiara assorbito l’appello incidentale proposto dal Ministero della Cultura;
(-) compensa integralmente tra le parti le spese dei gradi di merito e del presente giudizio di legittimità;
(-) ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti incidentali (RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME e NOME COGNOME), di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, addì 20 maggio 2025.
Il consigliere estensore
Il Presidente
(NOME COGNOME)
(NOME COGNOME