Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 12383 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 12383 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2140/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona dell’amministratore unico e legale rappresentante p.t. Dott. NOME COGNOME quale incorporante la società RAGIONE_SOCIALE in forza dell’atto fusione per Notar NOME COGNOME di Pontecagnano Faiano (SA) del 17.12.2020 Rep. 880 Racc. 676, rappresentata e difesa dall’Avvocato NOME COGNOMEC.F: CODICE_FISCALE, con il suo difensore elettivamente dom.toa in Roma presso lo studio NOME COGNOME in INDIRIZZO con domiciliazione digitale ex lege
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del suo legale rapp.te p.t., anche quale incorporante le società RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, elettivamente dom.ta presso gli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME dello Studio Legale COGNOME
Associazione professionale (C.F.P_IVA), dai quali è rappresentata e difesa, con domiciliazione digitale ex lege
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO POTENZA n. 686/2022 depositata il 28/11/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Fatti di causa
1.- La banca Monte dei Paschi di Siena, molti anno or sono, ha chiesto ed ottenuto un decreto ingiuntivo nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE, oggi incorporata da RAGIONE_SOCIALE, che succeduta, dunque, nel rapporto, agisce in giudizio attualmente.
La società ingiunta ha proposto opposizione a quel decreto ingiuntivo ed i giudici di merito, per sintetizzare la vicenda che è stata piuttosto complessa, hanno accertato che la banca aveva fatto valere un credito non ancora esigibile. Non solo, una volta ottenuto il decreto ingiuntivo, aveva segnalato la società ingiunta alla centrale rischi.
Dunque, il decreto ingiuntivo è stato revocato, ma non solo la cancellazione della segnalazione è avvenuta molto tempo dopo, e è rimasta attiva, ma la stessa banca aveva iscritto ipoteca a garanzia di quel suo credito da decreto ingiuntivo e non ha provveduto, dopo la revoca di esso, a cancellare le iscrizioni.
L’illegittimità del comportamento della banca, per violazione dell’obbligo di correttezza, ossia per avere fatto valere un credito non ancora esigibile, è stata accertata con sentenza passata in giudicato, all’esito del ricorso in Corte di cassazione.
Successivamente, con diversa causa, è stato accertato che il credito fatto valere dalla banca, non solo non era esigibile in quel momento, ossia nel momento in cui è stato emesso il decreto ingiuntivo, ma era altresì inesistente, che, anzi, era la società ad essere in credito verso l’istituto bancario.
2.- A seguito dunque di tali vicende, la società RAGIONE_SOCIALE ora RAGIONE_SOCIALE ha agito nei confronti della banca per il risarcimento dei danni.
3.- Il Tribunale di Lagonegro in primo grado ha ritenuto che la società avesse chiesto il risarcimento per il fatto che la banca aveva fatto valere un credito non esigibile, ma che non avesse chiesto il risarcimento per avere la banca fatto valere un credito inesistente. E, di conseguenza, ha ritenuto che solo il primo dei due danni andasse preso in considerazione, ma che tuttavia non risultava provato.
Inoltre il giudice di primo grado ha ritenuto che la banca aveva chiesto il danno da illegittima levata del proteso e lo ha liquidato in 15 mila euro, riconoscendo solo quello non patrimoniale.
3.1.- La società ha proposto appello e la Corte di Appello di Potenza ha sostanzialmente confermato la decisione di primo grado, salvo a riconoscere anche il danno patrimoniale per la illegittima segnalazione alla centrale rischi.
4.- Contro questa sentenza propone ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE con sei motivi illustrati da memoria. Ne chiede il rigetto il Monte dei paschi di Siena, con controricorso e memoria.
Ragioni della decisione
1.Una prima questione posta con il ricorso attiene alla interpretazione della domanda iniziale.
Come si è accennato, con due diversi giudicati, ovviamente resi in separati procedimenti, si era accertato che: a) la banca aveva fatto valere un credito che ancora non era esigibile; b) in seguito era
emerso che il credito era in realtà del tutto inesistente, essendo invece la società creditrice della banca.
Secondo il Tribunale, e la decisione è condivisa dai giudici di appello, la società ha chiesto il risarcimento del danno solo per la prima e non per la seconda condotta. Ossia ha chiesto il risarcimento del danno subito quale conseguenza del solo fatto che la banca aveva azionato un credito non ancora esigibile, e non aveva chiesto invece il danno derivante dal fatto che la banca pretendeva di far valere un credito del tutto inesistente.
Dunque, i giudici di merito si sono occupati solo della prima domanda e l’hanno rigettata, per difetto di prova.
I primi due motivi contestano questa ratio .
2.- Con il primo motivo si prospetta difetto di motivazione, ed in particolare nullità della sentenza per contraddittorietà nei motivi.
In particolare, secondo la ricorrente la decisione impugnata ha dapprima ritenuto che non fosse stata fatta domanda di risarcimento derivante dalla pretesa di azionare un credito non esistente (p. 5 e 7 della sentenza), per poi dire il contrario (p. 9 della sentenza).
Con la conseguenza, secondo la ricorrente, che ‘ La motivazione contiene, quindi, affermazioni assolutamente inconciliabili tra loro in ordine alla individuazione del petitum, che – come si vedrà nel successivo motivo – era individuabile – assai più ragionevolmente nella richiesta risarcitoria del danno complessivamente subito dalla società per effetto del comportamento avuto della banca sotto vari profili, che involgevano sia l’azione monitoria per il recupero di un credito rivelatosi inesigibile e poi accertato come inesistente ‘ (p. 20 del ricorso).
3.Con il secondo motivo si prospetta violazione dell’articolo 112 c.p.c.
In realtà la censura non è solo di pronuncia su domanda diversa, ma altresì di erronea interpretazione di quest’ultima.
Sostiene la ricorrente di avere formalmente chiesto il risarcimento non solo per la condotta della banca consistente nella pretesa di far valere un credito inesigibile, ma altresì per il fatto che la banca ha fatto valere un credito inesistente, con le conseguenze che ne sono scaturite.
E riporta il passo della citazione che contiene questa domanda: ‘ la responsabilità della banca, che dovrà risarcire i danni collegati non solo all’illegittimo decreto ingiuntivo, alla sua esecutività ed alla conseguenziale ipoteca giudiziale, ma anche alla mera esteriorizzazione di insussistenti crediti in sofferenza od insoluti nei confronti della RAGIONE_SOCIALE rappresentata quale soggetto insolvente o, comunque, inaffidabile o di scarsa affidabilità il che ha comportato- come si verificherà nel corso del giudizio- conseguenze esiziali per l’impresa ‘ (p. 22).
Ne trae la conclusione che di conseguenza il giudice di appello non ha deciso, ritenendola non proposta, una domanda che invece era stata espressamente formulata.
Inoltre, ed è censura diversa, anche a dispetto della rubrica, la ricorrente assume che nella decisione del giudice di appello di ritenere non proposta la domanda di danni da credito inesistente, è ravvisabile violazione dei criteri di interpretazione della domanda, che va intesa non solo secondo il suo tenore letterale, ma piuttosto tenendo conto del complessivo significato e del complessivo contenuto degli atti: complessivo contenuto da cui era agevole ricavare che la domanda comprendeva ogni danno derivante dalla condotta scorretta della banca.
Questi due motivi sono logicamente connessi, ed attengono alla medesima questione.
Il secondo è fondato e ciò determina assorbimento del primo.
Ed è fondato per due ragioni. La prima è che, come si evince dal tenore stesso della citazione, prima riportata, la ricorrente ha chiesto il risarcimento di ogni danno derivante dalla pretesa della banca di
azionare quel credito, e dunque sia per il fatto che il credito non era esigibile, sia per il fatto che non esisteva proprio, come successivamente accertato.
Ma, soprattutto, al di là del tenore letterale della domanda, è principio di diritto che il giudice debba intenderla tenendo conto non solo del tenore letterale delle espressioni usate, ‘ ma anche dalla natura delle vicende rappresentate dalla medesima parte e dalle precisazioni da essa fornite nel corso del giudizio, nonché dal provvedimento concreto richiesto, con i soli limiti della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e del divieto di sostituire d’ufficio un’azione diversa da quella proposta’ (Cass. 13602/ 2019; Cass. 8225/ 2004).
Ciò premesso, non solo andava dunque valutata la domanda alla luce delle vicende rappresentate, ed erano per l’appunto rappresentate tutte le vicende che erano scaturite dalla pretesa scorretta della banca, ma soprattutto andava considerato che la condotta consistente nel pretendere un credito non ancora esigibile e quella di pretendere un credito inesistente erano in realtà la medesima condotta.
La banca ha chiesto ed ottenuto un decreto ingiuntivo per un credito, inizialmente ritenuto non esigibile, credito poi, in diverso giudizio, accertato altresì come non esistente. Era in realtà il credito ad avere due profili che ne impedivano il pagamento: era inesistente e comunque inesigibile.
Non era la condotta della banca ad essere duplice, ma duplice era la ‘natura’ del credito che la banca pretendeva di far valere.
Qui la condotta che si assume lesiva è unica, ed è stata quella di aver chiesto ed ottenuto un decreto ingiuntivo per un credito, che in un primo giudizio è risultato inesigibile, ed in un secondo giudizio del tutto inesistente.
Dunque, la domanda avrebbe dovuto essere interpretata non già assumendo che vi fossero due distinte condotte produttive di due
distinti danni, ma postulando come unica la condotta lesiva (e tale era) per via di due diversi profili di illiceità: non due diverse condotte lesive, ma un’unica condotta caratterizzata da più profili di illiceità.
4.- Con il terzo motivo, che prospetta plurime violazioni di legge, e precisamente violazione dell’articolo 112 c.p.c., dell’articolo 342 c.p.c. e 2727 e ss. c.c., si aggredisce una ulteriore e diversa ratio decidendi.
Come si è detto, la Corte di Appello ha ritenuto come validamente proposta solo la domanda di risarcimento derivante dalla pretesa di escutere un credito inesigibile, non già la domanda di risarcimento derivante dalla pretesa di escutere un credito inesistente: condotte che, come abbiamo visto, sono in realtà una medesima ed unica condotta.
Tuttavia, pur ritenendo come validamente proposta la domanda di risarcimento da illegittima pretesa di escutere un credito inesigibile, il Tribunale in primo grado l’ha rigettata sul presupposto che la banca avrebbe in ogni caso adito, in tempi prossimi e in mancanza di pagamento da parte del correntista, l’autorità giudiziaria per ottenere un titolo di condanna al pagamento del saldo passivo, con la conseguenza che lo screditamento avutosi in quel momento si sarebbe comunque verificato anche dopo (il passo relativo è riportato a pagina 25-26 del ricorso).
Questa ratio è stata impugnata dalla ricorrente con uno specifico motivo di appello, con cui si è fatto presente che il nesso di causalità era negato sulla base di una mera ipotesi: che la banca avrebbe comunque richiesto il credito quando fosse diventato esigibile e quindi, si suppone, l’averlo chiesto quando non lo era diventava irrilevante.
Alle pagine 26 e ss. del ricorso la ricorrente riporta il motivo di appello relativo a tale capo di decisione.
Sostiene la ricorrente che tale motivo di appello è rimasto senza pronuncia.
Il motivo è fondato.
Non risulta dalla motivazione della Corte di Appello che vi sia pronuncia sul punto. L’intera questione del danno da pretesa di far valere un credito inesigibile è trascurata. La Corte di Appello si occupa di soli due motivi di appello: l’uno sul contenuto della domanda, di cui si è detto ai due motivi precedenti, e l’altro sul danno da illegittima segnalazione alla centrale rischi, e che è ulteriore e diverso, questo si, da quello causato dalla pretesa di far valere il credito. Dunque, non c’è pronuncia su l punto.
5.- Il quarto ed il quinto motivo attengono ad una ulteriore voce di danno, derivante da una diversa ed ulteriore condotta della banca.
Come si è detto, quest’ultima, oltre ad avere agito per un credito non esistente e non esigibile, ha altresì segnalato la società alla centrale rischi.
La ricorrente ha dunque chiesto anche il danno derivante da tale segnalazione.
Il T ribunale l’aveva limitato a quello non patrimoniale, mentre la Corte di Appello ha ritenuto fornita, si, la prova del fatto che si era prodotto anche un danno patrimoniale, ma aveva ritenuto che non vi fosse sufficiente prova del quantum ed ha dunque liquidato il danno in via equitativa.
5.1.- Con il quarto motivo questa ratio è contestata prospettando violazione degli articoli 1223 e ss. c.c.
Secondo la ricorrente, la Corte di Appello ha violato i principi che regolano il risarcimento in via equitativa, poiché non solo era stata fornita la prova dell’ an , ma altresì del quantum , poiché erano state prodotte prove orali, erano stati depositati numerosi documenti contabili e di altro genere probatorio, ad indicare quali erano state le ripercussioni negative della segnalazione alla centrale rischi.
Dunque, non era vero che il danno non poteva essere facilmente quantificato: poteva esserlo, salvo a dovere interpretare quei documenti e quelle prove.
5.2.- Con il quinto motivo la stessa censura è prospettata come di omesso esame.
Si dice che, nel ritenere che il danno era difficile da stimarsi, il giudice di appello non ha tenuto in alcuna considerazione né le prove orali né le prove documentali, cioè non ha tenuto conto del fatto che invece la prova dell’ammontare del danno subito era stata fornita.
I due motivi, logicamente connessi, sono fondati.
E’ principio di diritto che qualora sia provata, o non contestata, l’esistenza del danno, il giudice può far ricorso alla valutazione equitativa non solo quando è impossibile stimarne con precisione l’entità’, ma anche quando, in relazione alla peculiarità del caso concreto, la precisa determinazione di esso sia difficoltosa (Cass. 11370/ 2006; Cass. 9744/ 2023).
Ma la difficoltà deve essere oggettiva, non già dovuta alla complessità delle prove addotte dalla parte proprio a dimostrazione dell’ammontare.
La valutazione circa la difficoltà di stima, pure alla luce di prove prodotte, è rimessa al discrezionale apprezzamento del giudice di merito, che però deve fornire motivazione del perché quelle prove non sono sufficienti a dimostrare l’ammontare, non potendo la decisione di liquidare in via equitativa, anziché sulla base di quanto allegato dalla parte, costituire una decisione arbitraria.
Potrebbe sembrare che una motivazione vi sia, ma è la seguente:’ i bilanci e l’ulteriore documentazione prodotta, così come le prove orali relative al buon andamento economico della società, non possono dare certezza…che nel corso dei successivi anni la situazione sarebbe rimasta la medesima …” (p. 9 della sentenza).
In altri termini, i giudici di merito ritengono che, sebbene sia stata dimostrata una perdita, non è detto che tale perdita non si sarebbe verificata comunque per altre ragioni negli anni seguenti.
Questo assunto è del tutto illogico, poiché non accerta l’efficacia causale rispetto ad un evento ma lo fa rispetto al suo ipotetico controfattuale.
Il fatto che la situazione patrimoniale della società avrebbe potuto peggiorare comunque non toglie che di fatto è peggiorata per l’illecita segnalazione.
In altri termini, se il danneggiato lamenta un determinato evento di danno (ripercussione negativa dovuta alla segnalazione) è di quello che si deve discutere, non di una ipotesi diversa: si deve accertare se la segnalazione ha prodotto danno, e non può influire su tale fattuale l’ipotesi di un controfattuale: si, ma non è detto che la situazione economica sarebbe peggiorata in futuro per altro.
Ognuno vede la illogicità di tale ragionamento che sostituisce all’evento di cui effettivamente la ricorrente si duole (danno da segnalazione illegittima) un evento diverso ed ipotetico (comunque la situazione economica della società poteva in futuro peggiorare per altre ragioni).
E senza tacere del fatto che se quei documenti non rappresentano una perdita, posto che non è escluso che se ne potesse verificare una in seguito (sebbene per altre causa) allora avrebbe dovuto rigettarsi la domanda di risarcimento, non essendo provato un nesso di causa tra la illegittima segnalazione ed il danno.
Con la conseguenza che la Corte di Appello ha ritenuto insufficienti i documenti, salvo a dire che il danno era comunque provato nell’ an , per una ragione del tutto insostenibile, che sta alla base della scelta di liquidare il danno equitativamente.
6.- Il sesto motivo prospetta violazione degli articoli 156 c.p.c. e 1225 e ss. cc.
Questa volta la censura di erroneo ricorso alla liquidazione equitativa attiene al danno non patrimoniale liquidato come conseguenza della illegittima segnalazione.
Anche in tal caso la ricorrente si duole del fatto che non si è tenuto conto degli elementi addotti a dimostrazione del pregiudizio effettivamente sofferto.
In tal caso la censura non è sufficientemente specifica, poiché non adduce argomenti per poter dire che il giudice di merito aveva elementi per la quantificazione del danno (alla immagine) e non ne ha tenuto conto o erroneamente li ha ritenuti irrilevanti, con conseguente inammissibilità del motivo in scrutinio.
Il ricorso va pertanto accolto nei termini sopra precisati e la decisione cassata con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo, il terzo, il quarto e il quinto motivo, per quanto di ragione e nei sensi precisati in motivazione. Dichiara assorbito il primo. Dichiara inammissibile il sesto. Cassa la decisione impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Potenza, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 6/03/2025.