Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 33269 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 33269 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18925/2019 R.G. proposto da:
ISTITUTO RAGIONE_SOCIALE PALERMO, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO NOME INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente
e
contro
ricorrente
all’incidentale-
contro
COGNOME NOMECOGNOME titolare dell’omonima IMPRESA individuale, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME-) rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente
e
ricorrente
incidentale-
contro
RAGIONE_SOCIALE quale società incorporante RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
nonché contro
COMUNE di CERDA
-intimato- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO PALERMO n. 700/2019 depositata il 29/03/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. L’Istituto Autonomo per le Case Popolari della Provincia di Palermo (IACP) aveva convenuto avanti al Tribunale di Palermo NOME COGNOME in qualità di titolare dell’omonima impresa individuale, con il quale aveva stipulato il 27.6.2002 un contratto di appalto pubblico per la realizzazione di quarantotto alloggi popolari nel Comune di Cerda. L’istituto aveva evidenziato che il contratto aveva avuto esecuzione complessa, con sospensione dei lavori per la necessità di rielaborare il progetto strutturale, non approvato dal Genio Civile, con perizia di variante e suppletiva, ed era stato rescisso ex art.340 l. n.2248/1865 all. F con determinazione del 30.5.2006 perché l’impresa si era rifiutata di sottoscrivere la perizia di variante e suppletiva; aveva quindi chiesto la condanna dell’impresa a restituire la differenza tra quanto dalla stessa incassato e quanto ad essa dovuto per i lavori effettivamente eseguiti e a risarcire i danni, sia per la mancata tempestiva realizzazione degli alloggi -con relativa perdita dei canoni di locazione-, sia per gli oneri relativi alla messa in sicurezza del cantiere.
NOME COGNOME si era costituito chiedendo il rigetto delle domande, perché la sospensione dei lavori determinata dalla mancata approvazione del Genio Civile era ascrivibile a responsabilità dello IACP, e instando in via riconvenzionale per la declaratoria di risoluzione del contratto per inadempimento dell’Istituto, ex art.1454 o ex art.1453 c.c., con condanna della controparte al risarcimento dei danni. NOME COGNOME aveva chiamato in causa RAGIONE_SOCIALE, con la quale aveva contratto polizza fideiussoria in relazione al contratto di appalto in contestazione, lamentando che la società assicuratrice aveva corrisposto all’Istituto € 218.608,72, nonostante la diffida ricevuta.
RAGIONE_SOCIALE aveva partecipato al giudizio evidenziando la correttezza del proprio operato, considerata la natura di contratto autonomo di garanzia della polizza, e chiedendo a propria volta la condanna di NOME COGNOME a rimborsarle quanto versato a IACP.
A seguito delle difese dell’appaltatore RAGIONE_SOCIALE aveva a propria volta chiamato in causa il Comune di Cerda, attribuendo all’Ente territoriale la responsabilità dei problemi sorti in relazione al rilascio della concessione edilizia per gli alloggi oggetto del contratto di appalto.
Espletata una CTU, il Tribunale di Palermo aveva ritenuto illegittima la sospensione dei lavori disposta dallo IACP il 2.9.2002, con riconoscimento a favore dell’impresa di danni per € 287.729,41, aveva escluso lo scioglimento del contratto di appalto ex art.1454 c.c. su iniziativa dell’appaltatore e, infine, aveva ritenuto legittimo l’esercizio dello ius variandi da parte della stazione appaltante e illegittimo il rifiuto dell’impresa di dare seguito ai lavori, con conseguente declaratoria di legittimità della rescissione del contratto disposta dalla stazione appaltante per grave inadempimento dell’appaltatore; compensate le reciproche ragioni di debito/credito delle parti, aveva riconosciuto a favore di NOME COGNOME la residua debenza di € 100.000,00 circa, oltre accessori e spese. Ne era conseguita anche l’esclusione del diritto di IACP di escutere la polizza fideiussoria, con spese processuali della società assicuratrice poste a carico di IACP; le spese processuali a favore del Comune di Cerda, del quale era stata negata la responsabilità prospettata, erano state poste invece a carico di NOME COGNOME; le spese del giudizio tra IACP e NOME COGNOME erano state compensate.
Contro la sentenza del Tribunale di Palermo avevano proposto appello principale IACP e incidentale NOME COGNOME; al giudizio avevano partecipato anche il Comune di Cerda e RAGIONE_SOCIALE
Le questioni nuovamente sottoposte al Giudice d’Appello erano state le seguenti.
Attraverso l’appello principale era stata contestata la pronuncia di condanna di IACP al risarcimento dei danni per illegittima sospensione dei lavori, perché a tal fine sarebbe stata prima necessaria la ripresa dei lavori, non intervenuta per il rifiuto dell’impresa -da cui era conseguita la legittima rescissione del contratto di appalto-; l’Istituto appellante si era doluto anche della quantificazione del danno a favore dell’impresa, incidente comunque di per sé sull’esito della disposta compensazione e sulla legittimità dell’escussione della polizza fideiussoria.
Attraverso l’appello incidentale NOME COGNOME aveva lamentato: l’errato riconoscimento della legittimità della rescissione del contratto, per essere stato lo stesso già risolto ex art.1454 c.c. per iniziativa precedente dell’appaltatore, con illegittimità dell’esercizio dello ius variandi da parte dell’Istituto e giustificatezza del rifiuto dell’impresa di riprendere i lavori; l’errata quantificazione dei danni da sospensione illegittima, molto maggiori di quanto accertato in primo grado; l’errata quantificazione dei danni riconosciuti a favore di IACP; l’errata condanna dell’impresa al rimborso delle spese processuali del Comune di Cerda; l’appaltatore aveva formulato anche, subordinatamente al riconoscimento della legittimità della rescissione del contratto da parte di IACP, richiesta di applicazione dell’art.25 l. n.109/94 per il pagamento del 10% del valore dei lavori non eseguiti.
La Corte d’Appello di Palermo aveva: -parzialmente accolto l’appello principale, limitatamente ad alcune voci di danno riconosciute dal Tribunale, escludendo invece che per il riconoscimento del danno da illegittima sospensione dei lavori fosse necessaria la ripresa degli stessi; -parzialmente accolto l’appello incidentale in relazione alla quantificazione dei danni a favore di IACP, decurtati degli oneri di cantiere, non provati, per € 10.000,00, e in relazione alla condanna di NOME COGNOME a pagare le spese processuali del Comune di Cerda, poste infine a carico di IACP.
La Corte di merito aveva confermato invece la legittimità della rescissione del contratto ad opera dell’Istituto, sottolineando che non era intervenuto prima dell’esercizio dello ius variandi alcun atto da parte dell’appaltatore qualificabile come diffida ad adempiere ex art.1454 c.c., e aveva respinto anche la richiesta svolta
subordinatamente alla conferma della rescissione del contratto da parte dell’appaltatore, volta ad ottenere l’applicazione dell’art.25 d.lgs. n.109/94, per la liquidazione del 10% del valore dei lavori non eseguiti. Sotto quest’ultimo profilo la Corte aveva rilevato che la norma è applicabile quando le varianti disposte in corso d’opera eccedano il quinto dell’importo originario del contratto, e non era questo il caso di specie. La Corte d’Appello aveva quindi ridefinito i rapporti di dare-avere tra le parti negoziali, all’esito della compensazione, in € 58.495,78 a carico di IACP e a favore di NOME COGNOME confermando l’illegittimità dell’incameramento da parte di IACP della somma di cui alla polizza fideiussoria e le statuizioni conseguenti
Avverso la sentenza della Corte d’Appello di Palermo ha proposto ricorso per cassazione IACP, affidandolo ad un solo motivo.
I) Error in iudicando: violazione degli art.1218 e 1223 c.c. (art.360 co 1 n.3 c.p.c.) Si lamenta l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto la debenza del risarcimento dei danni anche in ipotesi di sospensione illegittima senza successiva ripresa dei lavori per rifiuto dell’appaltatore; la motivazione della sentenza fa riferimento ad una pronuncia della Corte di cassazione, n.15700/2018, che però riguarderebbe, secondo il ricorrente, l’ipotesi di sospensione ab initio legittimamente disposta e il suo protrarsi legittimo, e non la sospensione per fatto imputabile alla stazione appaltante, dovendosi fare riferimento in quest’ultima ipotesi agli art.1218 e s. c.c. Nel caso di specie, essendo acclarato che IACP aveva risolto il contratto in modo legittimo a causa dell’ingiustificato rifiuto dell’appaltatore di riprendere i lavori, non potrebbe essere riconosciuto alcun risarcimento, pur a fronte di una sospensione illegittima. In sostanza, secondo il ricorrente, per effetto della rinuncia ad eseguire il contratto verrebbe meno il rapporto di consequenzialità ‘immediata e diretta’, richiesto dall’art.1223 cod. civ., tra ‘ il danno da sospensione, ovvero da attesa, e l’inadempimento della stazione appaltante ‘ (così a pag.11 del ricorso), potendo essere in tal caso riconosciuto, ex art.340 l. n.2248/1865, all.F, solo il pagamento dei lavori eseguiti regolarmente -in senso analogo sarebbe anche l’art.119 DPR n.554/1999, come interpretato dalla giurisprudenza-. Ne consegue che l’impresa appaltatrice non avrebbe avuto diritto ad alcun risarcimento del danno in conseguenza dell’illegittima sospensione dei lavori, ‘ proprio perché i connessi oneri sono strettamente funzionali al mantenimento di un apparato produttivo che lo stesso appaltatore ha ritenuto di non dover utilizzare nel momento in cui ha deciso di non dover riprendere i lavori ‘. La cassazione della sentenza impugnata nella parte in
cui ha disposto la compensazione dovrebbe comportare, secondo la ricorrente, la declaratoria di legittimità di incameramento della somma di cui alla polizza fideiussoria da pate di IACP, titolare di un credito verso NOME Reale superiore all’importo di polizza.
NOME COGNOME ha notificato controricorso con ricorso incidentale articolato su due motivi.
I) In relazione all’art.360 n.3 c.p.c.: violazione e falsa applicazione dell’art.1454 c.c., dell’art.30 co 2 DPR n.1063 del 1962 e dell’art.340 LLPP del 1865
Secondo la Corte d’Appello, osserva NOME COGNOME, il contratto di appalto non si sarebbe risolto ex art.1454 c.c. prima della rescissione ad opera di IACP, perché l’atto dichiaratorio in data 8.3.2005, inviato da NOME COGNOME alla controparte, si configurerebbe non come diffida ad adempiere con le conseguenze di cui all’art.1454 c.c. ma come un atto unilaterale con il quale la parte ha dichiarato risolto il contratto, in quanto tale privo di effetti; la Corte non avrebbe tenuto conto che con l’atto richiamato si dichiarava la risoluzione del contratto in seguito alla scadenza del termine di tre mesi intimato con la diffida notificata il 3.10.2003; il diritto dell’appaltatore a risolvere il contratto nell’ipotesi in cui la sospensione dei lavori si protragga oltre un quarto dalla durata complessiva dei lavori troverebbe del resto conferma nell’art.30 cit. alla luce del quale l’iniziativa dell’appaltatore sarebbe stata pienamente legittima.
II) in relazione all’art.360 n.3 c.p.c.: violazione e falsa applicazione dell’art.25 l. n.11 febbraio 1994 n.109 e s.m.i.
IACP avrebbe riformulato un nuovo progetto, in violazione dell’art.25 l.n.109/94 e per eluderne l’applicazione, e l’Ufficio del Genio Civile avrebbe approvato la perizia in variante subordinatamente all’accettazione da parte dell’impresa appaltatrice, con apposizione di una condizione del tutto inammissibile: dovrebbe pertanto essere comunque riconosciuta all’impresa la percentuale del 10% sui lavori non eseguiti prevista dall’articolo richiamato.
Ha notificato controricorso anche RAGIONE_SOCIALE, incorporante RAGIONE_SOCIALE, affermando l’inammissibilità del ricorso principale ex art.360, 360 bis c.p.c., e comunque per formazione del giudicato in ordine alla decisione sull’incameramento della polizza fideiussoria, non criticata dall’Istituto ricorrente principale; la società controricorrente ha chiesto in ogni caso il rigetto del ricorso di IACP o, in subordine per il caso di suo accoglimento, la declaratoria di
legittimità dell’operato di FATA e la fondatezza della domanda di rivalsa verso NOME COGNOME con sua condanna a pagare l’importo versato.
Il Comune di Cerda è rimasto intimato.
IACP ha depositato controricorso per rispondere al ricorso incidentale proposto dall’appaltatore.
Tutte le parti costituite hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
L’unico motivo del ricorso principale è inammissibile.
13.1. La questione su cui sono incentrati i profili di critica svolti da IACP concerne la possibilità di riconoscere in materia di appalti pubblici il diritto all’applicazione della penale concordata per il ritardo nell’esecuzione dei lavori anche nell’ipotesi di sospensione illegittima degli stessi, per fatto imputabile alla stazione appaltante, non seguita dalla loro ripresa e quindi dal completamento dell’opera per il rifiuto opposto dall’appaltatore.
Il rifiuto alla ripresa dei lavori e quindi ad eseguire il contratto farebbe venire meno, secondo il ricorrente, il rapporto di consequenzialità ‘immediata e diretta’, richiesto dall’art.1223 cod. civ., tra il danno da sospensione, ovvero da attesa, e l’inadempimento della stazione appaltante, con possibilità di riconoscere in tal caso all’appaltatore, ex art.340 l. n.2248/1865, all.F, solo il pagamento dei lavori eseguiti regolarmente.
13.2. Appare opportuno chiarire che la clausola penale, che è accessoria al contratto e mira a rafforzare il vincolo negoziale, può riguardare l’inadempimento della prestazione concordata o il ritardo nell’inadempimento e non è alternativa, in entrambi i casi, alle disposizioni di cui all’art.1218 e s. c.c. ma permette alle parti di concordare in via preventiva la prestazione dovuta, nell’ipotesi in cui un inadempimento o un ritardo nell’adempimento si sia, in concreto, verificato, incidendo quindi sull’identificazione e sulla quantificazione del danno dall’inadempimento o dal ritardo conseguente -salva la risarcibilità, ove ciò sia convenuto, del maggior danno subito, da provare secondo le regole ordinarie-.
La penale pattuita per l’inadempimento non può estendersi al ritardo -e viceversa-, salvo diversa previsione negoziale espressa, perché si tratta di previsioni negoziali volte a coprire danni con genesi e caratteristiche diverse.
Ne consegue che non vi è alcun impedimento logico giuridico a che la previsione di una penale per il ritardato adempimento possa coesistere con il mantenimento del
vincolo contrattuale, o a che essa possa essere riconosciuta per il ritardato adempimento intervenuto prima della risoluzione del contratto, anche nell’ipotesi in cui quest’ultima sia conseguita al protrarsi del ritardo per un lasso di tempo tale da incidere sull’interesse dell’altra parte a ricevere la prestazione concordata. Nel caso di intervenuta risoluzione contrattuale sarà cioè possibile il riconoscimento della penale pattuita per il ritardo nell’adempimento a favore della parte che lo ha subito, solo in relazione al periodo di tempo intercorso tra il manifestarsi del ritardo e la successiva risoluzione per il perdurare dello stesso.
Si richiama in proposito l’orientamento interpretativo di legittimità, che è nei termini esposti e, tra le altre, la pronuncia della Corte di Cassazione n.27994/2018, che ha ben evidenziato come ‘ L’art. 1383 c.c. vieta il cumulo tra la domanda della prestazione principale e quella diretta ad ottenere la penale per l’inadempimento, ma non esclude che si possa chiedere tale prestazione insieme con la penale per il ritardo e, nella ipotesi di risoluzione del contratto, il risarcimento del danno da inadempimento e la penale per la mancata esecuzione dell’obbligazione nel termine stabilito ovvero, cumulativamente, la penale per il ritardo e quella per l’inadempimento, salva, nel caso di cumulo di penale per il ritardo e prestazione risarcitoria per l’inadempimento, la necessità di tenere conto, nella liquidazione di quest’ultima, della entità del danno ascrivibile al ritardo che sia stato già autonomamente considerato nella determinazione della penale, al fine di evitare un ingiusto sacrificio del debitore ‘ -cfr., in termini, anche Cass. n.22050/19 e Cass. n.5651/2023-.
13.3. Le considerazioni svolte, enucleabili dal disposto degli art.1382 e s. c.c., sono valide anche in materia di appalti pubblici in relazione allo svolgimento del rapporto negoziale, regolato dalla normativa di diritto privato.
13.4. Nel caso concreto, data per pacifica la pattuizione di una penale per il ritardo nell’esecuzione delle opere, non vi è alcuna ragione che giustifichi l’assunto secondo cui la parte che ha subito il ritardo nell’adempimento altrui, costituito dall’intervento di una sospensione dei lavori illegittima, perda il diritto alla corresponsione della penale per il periodo di ritardo, corrispondente al protrarsi della sospensione, solo perché nel momento in cui sarebbe dovuta avvenire infine la ripresa dei lavori ne rifiuti illegittimamente la continuazione: l’illegittimità del rifiuto impedisce il sorgere in capo al rifiutante di un diritto risarcitorio per il definitivo venire meno del vincolo negoziale -e determina il sorgere di un diritto in capo alla parte alla quale era
ascrivibile il ritardo al risarcimento degli eventuali danni correlati alla risoluzione del contratto conseguente al rifiuto illegittimo-, ma non elide la situazione di pregiudizio pregressa da attribuire al ritardo per fatto imputabile alla controparte -che il ritardo sia conseguito ad una sospensione dei lavori legittima o illegittima non cambia, apparendo inoltre di difficile giustificazione immaginare il diritto a percepire la penale in caso di sospensione legittima e la negazione di esso in caso di sospensione illegittima-.
13.5. In sostanza, il rifiuto, pur illegittimo, di proseguire nell’esecuzione dei lavori appaltati non ha alcuna incidenza causale sui danni da ritardo già sorti e subiti identificati e quantificati preventivamente con la previsione di una penale da ritardoma rappresenta il momento che determina la cessazione del ritardo nell’adempimento a carico della parte fino a quel momento inadempiente e, escludendo la possibilità di portare a compimento secondo gli accordi iniziali il contratto, può determinare il sorgere di un diritto risarcitorio in favore della parte divenuta adempiente -come è stato nel caso di specie: si ricorda che nelle precedenti fasi di merito è stato riconosciuto il diritto di IACP al risarcimento dei danni da inadempimento subiti-.
13.6. Si aggiunge che non si pongono questioni sull’entità della penale riconosciuta e sulla riferibilità del liquidato al periodo di ritardo, né si prospetta l’esistenza dei presupposti per la sua riduzione ex art.1384 c.c., in tesi non vagliati dai Giudici del merito: l’unica questione posta riguarda il prospettato venir meno del nesso di causalità, che sarebbe stato interrotto dall’illegittimo comportamento dell’appaltatore giustificante la risoluzione, considerato come tale da escludere il riconoscimento dei danni da ritardo per il periodo precedente.
13.7. Dalle considerazioni svolte consegue che non è teorizzabile nel motivo di ricorso in esame alcuna reale violazione di legge: il ricorso principale deve pertanto essere respinto.
Il primo motivo di ricorso incidentale è inammissibile per difetto di autosufficienza.
14.1. La Corte d’Appello, e prima il Tribunale, non ha mai affermato che non vi fossero le condizioni giustificanti la risoluzione del contratto di appalto ad opera dell’appaltatore, ma ha esaminato e valutato la documentazione richiamata dal ricorrente, sia la lettera del 8.3.2005, sia la missiva precedente del 3.10.2003, giungendo a ritenerne l’inidoneità a costituire il presupposto per una risoluzione ex art.1454 c.c.
14.2. Il ricorrente incidentale ribadisce l’idoneità delle due missive richiamate, sottolineando in particolare il contenuto di diffida a adempiere di quella in data 3.10.2003, ma non ne trascrive il contenuto quantomeno in relazione alle parti che dovrebbero evidenziarne l’utilità ai sensi dell’art.1454 c.c.
14.3. Ne consegue che non è possibile nemmeno la verifica della doglianza attraverso l’esame del supporto documentale che si assume a tal fine determinante, con assorbimento di ogni ulteriore considerazione sul fatto che il motivo di ricorso in esame mira in concreto, inammissibilmente, ad ottenere una rivalutazione nel merito del materiale probatorio e della ricostruzione dei fatti che ne emerge in evidente contrasto con il disposto degli art.348 ter u.c. e 360 c.p.c. co 1 n.5 c.p.c. -nei testi normativi applicabili al presente giudizio, alla luce della valutazione conforme sul punto sia del Tribunale che del Giudice dell’impugnazione- e con la preclusione del riesame del merito nell’ambito del giudizio di legittimità.
E’ inammissibile pure il secondo motivo di ricorso incidentale, che non coglie e non contrasta la ratio decidendi della sentenza impugnata, fondata sul rilievo della non pertinenza della normativa richiamata. La Corte ha infatti sottolineato che, nel caso di specie, la variante disposta non eccedeva il quinto dell’importo originario del contratto, come invece richiesto dall’art.25 cit., e che la stazione appaltante non aveva comunque proceduto direttamente alla risoluzione del contratto ma ne aveva prima richiesto l’esecuzione, ottenendo il rifiuto dell’appaltatore.
Il rigetto del ricorso principale e l’inammissibilità del ricorso incidentale, comportano l’assorbimento delle questioni poste da RAGIONE_SOCIALE già FATA, che avrebbero avuto significatività solo se fosse stato accolto il ricorso principale.
Attesa la soccombenza reciproca sussistono i presupposti per l’integrale compensazione delle spese del presente giudizio di cassazione nei rapporti tra RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME
In considerazione dell’esito del ricorso principale, si compensano integralmente le spese di fase anche in relazione alla posizione di La Cattolica di RAGIONE_SOCIALE nei confronti sia di IACP che di NOME COGNOME, non essendo state messe direttamente in discussione dai ricorrenti principale e incidentale le statuizioni di merito coinvolgenti la società assicuratrice.
Nulla sulle spese quanto alla posizione del Comune di Cerda, che non ha svolto difese.
Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto, sia in relazione al ricorso principale, sia in relazione al ricorso incidentale.
PQM
la Corte rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile quello incidentale; compensa integralmente le spese processuali del giudizio di cassazione nei confronti di tutte le parti costituite.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte sia della ricorrente principale sia del ricorrente incidentale, se dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari, in ipotesi, a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art.13 comma 1 bis .
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della prima sezione civile della Corte