Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 6715 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 6715 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21018/2019 R.G. proposto
da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore ed elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che l a rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME
-ricorrente –
contro
COMUNE DI NAPOLI , in persona del Sindaco pro tempore ed elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio
Oggetto: Appalto lavori pubblici -Ritardata approvazione dell’atto di collaudo -Risarcimento danni -Danni da maggiori oneri concessori -Presunzione -Esclusione
R.G.N. 21018/2019
Ud. 13 febbraio 2025
CC
legale associato COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME
NOME
-controricorrente – avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO NAPOLI n. 866/2019 depositata il 19/02/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 13 febbraio 2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 866/2019, pubblicata in data 19 febbraio 2019, la Corte d’appello di Napoli, nella regolare costituzione dell’appellata RAGIONE_SOCIALE ha accolto parzialmente l’appello proposto dal COMUNE DI NAPOLI avverso la sentenza del Tribunale di Napoli n. 8314/2015, pubblicata in data 5 giugno 2015, escludendo dal complessivo risarcimento riconosciuto all’appellata, la somma di € 444.689,00, richiesta a titolo di maggiori oneri concessori.
RAGIONE_SOCIALE, infatti, aveva adito il Tribunale di Napoli, chiedendo la condanna del COMUNE DI NAPOLI al risarcimento dei danni derivati dal ritardo di oltre tredici anni intercorso tra il collaudo delle opere affidate in concessione alla stessa impresa e la successiva approvazione, da parte del Comune, dell’atto di collaudo.
Tali danni erano stati individuati dall’impresa attrice sia nei maggiori oneri concessori maturati in epoca successiva alla conclusione del contratto sia nelle maggiori spese generali correlate, da un lato, ai costi per il mantenimento dell’organizzazione di impresa resi necessari
dal mancato esaurimento del rapporto e , dall’altro lato, nei maggiori oneri fideiussori.
La domanda era stata integralmente accolta dal Tribunale di Napoli, il quale aveva condannato il COMUNE DI NAPOLI alla corresponsione alla RAGIONE_SOCIALE LIQUIDAZIONE degli importi di: € 444.689,00, a titolo di maggiori oneri concessori; € 209.540,91, a titolo di maggiori spese generali; € 57.385,70, a titolo di maggiori oneri fideiussori, oltre rivalutazione monetaria ed interessi.
Decidendo sul gravame del COMUNE DI NAPOLI, la Corte territoriale, dopo aver rilevato in premessa l’assenza del fascicolo d’ufficio del giudizio di primo grado, escludendo tuttavia che tale carenza ostasse alla definizione del giudizio, ha accolto il primo motivo d’appello, concernente il riconoscimento degli oneri di concessione, mentre ha dichiarato inammissibile il secondo motivo, concernente invece il riconoscimento delle maggiori spese.
Per quanto ancora rileva nella presente sede la Corte d’appello ha affermato che, in caso di ritardo nelle operazioni di collaudo imputabile all’Amministrazione concedente e di responsabilità della medesima per i danni conseguenti, mentre il riconoscimento del danno da maggiori spese non richiede prova particolare e può ritenersi sussistente in via presuntiva, diversamente il danno da maggiori oneri concessori non può ritenersi presunto, trattandosi di oneri relativi ad attività demandate alla concessionaria -quali progettazione, direzione lavori, collaudi, attività espropriative e spese generali ‘estranee alla attività edificatoria, che, una volta intervenuto l’atto di collaudo, e in attesa della sua approvazione, non hanno subito alcun incremento, ovvero, di cui non vi è prova alcuna, neppure presuntiva. di un loro incremento, trattandosi di attività tutte esaurite in precedenza’ .
Ha, pertanto, concluso la Corte d’appello che nella specie mancava la prova della sussistenza di un danno corrispondente ad una maggiorazione degli oneri concessori medesimi, escludendone la debenza quale voce risarcitoria.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Napoli ricorre la RAGIONE_SOCIALE LIQUIDAZIONE.
Resiste con controricorso il COMUNE DI NAPOLI.
5. La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
La ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con l’unico motivo di ricorso si deduce, testualmente, ‘violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2 della Legge 24 giugno 1929, n. 1137; e 23 della Legge n.183 del 18.5.1989, nonché del parere reso dalla Commissione istituita per le controversie tra concedente e concessionari – violazione e/o falsa applicazione della norma in tema di concessioni di sole costruzioni – violazione e/o falsa applicazione dell’art. 5, L. n. 741 del 10 dicembre 1981; 91 e ss. e 117 del R.D. n. 350/1895; 38 e 44 DPR n. 1063/62, nonché degli artt. 2697 c.c. 2727 c.c., 115, co. 2 c.p.c. in relazione all’art., 360 comma 1, n. 3) c.p.c.- omesso esame di un fatto controverso e/o documenti decisivi per il giudizio in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c.’ .
Argomenta, in particolare, il ricorso che la decisione impugnata avrebbe erroneamente:
-attribuito agli oneri di concessione caratteri diversi rispetto alle spese generali, omettendo di considerare che le due voci hanno in comune origine e caratteristiche, trattandosi, in entrambi i casi, di componenti del corrispettivo della
concessione di lavori pubblici, ‘destinate a remunerare specifiche prestazioni richieste all’esecutore nell’ambito del tempo prefissato, con la conseguenza che la protrazione del tempo, per fatto addebitabile al concedente legittima lo stesso esecutore a chiedere il risarcimento del danno per la parte eccedente quella contrattualmente convenuta’ ;
-tenuti distinti i profili probatori che interessano le due voci di danno, ritenendo che le spese generali possano essere riconosciute in via presuntiva ed invece escludendo il riconoscimento presuntivo nel caso dei maggiori oneri di concessione, sebbene anche questi ultimi si colleghino ad un maggiore impegno organizzativo e non possano ritenersi cessati al momento della firma dell’atto di collaudo , in quanto solo con l’approvazione del collaudo si assiste allo scioglimento del vincolo contrattuale ed al venir meno degli obblighi correlati;
-omesso di verificare il fascicolo di primo grado, dal cui esame si sarebbero potuti trarre argomenti di prova in ordine alla sussistenza del danno.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
2.1. Questa Corte ha reiteratamente affermato il principio, anche successivamente alla novellazione dell’art. 360 c.p.c., per cui è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, c.p.c., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto – che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma – e del vizio
di motivazione – che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione.
Ciò in quanto l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 26874 del 23/10/2018; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 7009 del 17/03/2017; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 21611 del 20/09/2013; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 19443 del 23/09/2011).
Il ricorso, in realtà, viene a richiamare nelle proprie premesse (pag. 7) l’orientamento di questa Corte (Cass. Sez. U, Sentenza n. 9100 del 06/05/2015 e, successivamente, Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 39169 del 09/12/2021) a mente del quale sebbene il ricorso venga ad articolare alcuni dei propri motivi in più profili di doglianza, lo stesso deve ritenersi ammissibile, quando la sua formulazione permetta di cogliere con chiarezza le singole doglianze prospettate, onde consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati.
Tuttavia, tale orientamento non viene a smentire quello precedentemente richiamato, ma con esso viene invece a comporsi in modo da delineare una coerente regola di fondo: non è, infatti, la pluralità di profili dedotti a determinare – in sé ed a priori – la inammissibilità del motivo; è, invece, il combinarsi dei profili medesimi
entro un quadro complessivo che determina o la scarsa intelligibilità del motivo o la disorganicità logico-giuridica delle doglianze con esso mosse che viene a determinare quella impossibilità di isolare le singole censure, dalla quale questa Corte ha, nei propri precedenti, fatto scaturire la declaratoria di inammissibilità.
Il ricorso ora in esame si colloca proprio in tale seconda ipotesi, in quanto lo stesso viene a formulare una serie di deduzioni nelle quali il profilo giuridico si mescola con profili in fatto, sostanzialmente veicolando, tramite la denuncia della violazione di legge, quelle che invece appaiono come vere e proprie censure al merito della decisione, come ben evidenziato dal reiterato riferimento ad aspetti fattuali -e cioè gli aspetti che, secondo la tesi dell’impresa ricorrente, dovrebbero condurre a ritenere presuntivamente un danno da maggiori oneri concessori -che esulano dallo specifico ambito dell’individuazione del corretto governo delle norme di diritto e come ulteriormente evidenziato dalla doglianza finale riferita all’inadeguato quadro probatorio, sul quale la Corte territoriale avrebbe fondato il proprio convincimento per effetto del mancato esame del fascicolo d’ufficio del giudizio di primo grado.
2.2. Occorre rilevare poi che il motivo nella sostanza si indirizza a censurare la decisione della Corte partenopea per avere escluso la possibilità di fare ricorso a meccanismi presuntivi per il riconoscimento del danno da maggiori oneri concessori, senza che tale censura si traduca nel concreto nella deduzione di alcuna violazione o falsa applicazione delle norme di diritto.
Ciò non esime dal rammentare che spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di
fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità, con la conseguenza che la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi a prospettare l’ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo e senza che sia, ulteriormente, imprescindibile che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo criterio di normalità, visto che la deduzione logica è una valutazione che, in quanto tale, deve essere probabilmente convincente, non oggettivamente inconfutabile (Cass. Sez. L -Ordinanza n. 22366 del 05/08/2021).
Il ricorso, invero, si sforza di inficiare il ragionamento della Corte d’appello, deducendone la sostanziale illogicità, ma il percorso critico da esso delineato viene a limitarsi sostanzialmente all’enunciazione della tesi dell’affinità (quasi sovrapponibilità) che sussisterebbe tra maggiori spese e maggiori oneri concessori, senza riuscire concretamente ad evidenziare l’assoluta illogicità del ragionamento del giudice di merito, nel momento in cui lo stesso ha escluso -del tutto motivatamente – la possibilità applicare un meccanismo presuntivo in relazione ai danni da maggiori oneri di concessione.
Risulta quindi insufficiente anche il richiamo -operato in ricorso -a Cass. Sez. 1, Sentenza n. 5010 del 02/03/2009 (ma si vedano anche Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 27690 del 02/10/2023 e Cass. Sez. 1 Ordinanza n. 14779 del 10/07/2020), essendo tali precedenti riferiti ad
ipotesi nelle quali l’applicazione del meccanismo presuntivo era stata collegata a specifici elementi la cui ricorrenza, nel caso degli oneri di concessione, è stata invece motivatamente esclusa dalla decisione impugnata.
2.3. Inammissibile, infine, è la censura riferita al disposto di cui all’art. 360, n. 5), c.p.c., in quanto – fermo il principio per cui l’acquisizione del fascicolo di ufficio di primo grado, ai sensi dell’art. 347 c.p.c., è affidata all’apprezzamento discrezionale del giudice dell’impugnazione, con la conseguenza che l’omessa acquisizione può essere dedotta come motivo di ricorso per cassazione solo ove si adduca che il giudice di appello avrebbe potuto o dovuto trarre dal fascicolo stesso elementi decisivi su uno o più punti controversi della causa, non rilevabili aliunde , e specificamente indicati dalla parte interessata (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 27691 del 21/11/2017; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 688 del 19/01/2010; Cass. Sez. L, Sentenza n. 24437 del 23/11/2007) -nel caso in esame a mancare è proprio la specifica indicazione degli elementi decisivi che solo nel fascicolo d’ufficio avrebbero potuto essere rinvenuti , avendo la ricorrente formulato la propria doglianza in modo del tutto carente di specificità ex art. 366 c.p.c., limitandosi ad invocare gli esiti di una consulenza tecnica d’ufficio i cui contenuti, tuttavia, non sono stati minimamente riprodotti, senza alcun ulteriore riferimento specifico ad atti o documenti presenti unicamente nel fascicolo d’ufficio.
Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione in favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei
presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte, dichiara inammissibile il ricorso;
condanna la ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 7.400,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima