Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 1544 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 1544 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18735/2021 R.G. proposto da:
COGNOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME;
-ricorrente-
contro
COMUNE DI RIVA LIGURE, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME;
-controricorrente-
avverso SENTENZA della CORTE D’APPELLO di GENOVA n. 556/2021 depositata il 20/05/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/09/2023 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
1. Nel 2014, NOME COGNOME conveniva in giudizio il Comune di Riva Ligure per sentirlo condannare al risarcimento dei danni subiti a seguito dell’allagamento di alcuni terreni verificatosi in data 30 novembre 2008.
A fondamento della propria pretesa, deduceva che, sin dal 2008, conduceva un fondo a giacitura pianeggiante, destinato per la totalità a coltivazioni di Ranuncolo (33.000 piante) per la produzione del fiore reciso. Precisava che, a causa della mancata pulizia del canale di scolo comunale, adiacente al fondo, aveva subito due allagamenti, il primo il 30 novembre 2008, il secondo il 14 dicembre 2008, con danni ai terreni.
Il Tunno evidenziava che solo dopo il primo evento il Comune aveva provveduto a pulire il canale di scolo.
Inoltre, precisava che in occasione degli stessi eventi dannosi anche le campagne condotte dal fratello NOME COGNOME e da NOME COGNOME avevano subito dei danni alla loro attività e la loro iniziativa risarcitoria nei confronti dello stesso Comune si era conclusa con la sentenza del Tribunale di Imperia che aveva condannato il Comune di Riva Ligure al risarcimento dei danni.
Il Tribunale di Imperia, invece, con sentenza n. 292/2018, dopo aver inquadrato la domanda del Tunno nell’alveo dell’art. 2051 c.c., la rigettava per mancanza di prova ritenendo che non avesse assolto l’onere probatorio ai sensi dell’art. 2697 c.c..
Affermava che l’attore, che agiva quale persona fisica, non lamentava danni al terreno in senso stretto ma denunciava danni dalla ‘mancata produzione lorda vendibile’ senza provare quale fosse la natura dell’attività di godimento e o di sfruttamento economico ed il titolo in base alla quale fosse a ciò legittimato.
2. La Corte di Appello di Genova, con sentenza n. 556/2021 del 12 maggio 2021, ha confermato la sentenza impugnata ritenendo non provato il danno dal Tunno.
Il giudice dell’appello ha affermato che in materia di risarcimento del danno è necessario provare la diminuzione del patrimonio del danneggiato, al fine di comprendere il danno patito, sulla base delle allegazioni della parte. Ha, conseguentemente, ritenuto che nel caso di specie il Tunno non abbia provato la diminuzione del suo patrimonio anche a fronte della contestazione da parte del Comune di Riva Ligure in merito alla qualifica di affittuario dell’appellante.
Avverso tale sentenza, NOME COGNOME propone ricorso in cassazione, sulla base di cinque motivi.
Il Comune di Riva Ligure resiste con controricorso. Il Collegio si è riservato il deposito nei successivi sessanta giorni.
Considerato che:
5.1. Con il primo motivo di ricorso, parte ricorrente lamenta la ‘Violazione dell’art. 360 n. 5 del c.p.c. in relazione all’art. 132 c.p.c..
Denuncia la motivazione apparente e/o contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili della sentenza della Corte d’appello dove ha affermato che, da un lato, l’attore, al fine di provare la fondatezza della domanda, aveva unicamente l’onere di allegare e di provare di aver subito una diminuzione del proprio patrimonio; dall’altro, ha ritenuto che per provare detta diminuzione del proprio patrimonio avrebbe dovuto comunque provare di avere la qualifica di affittuario, prova che non era mai stata fornita perché l’attore conduceva il fondo non in forza di un contratto di affitto, come del resto da lui sempre sostenuto, ma in forza di una mera situazione di fatto, come sempre pacificamente sostenuto nel corso del giudizio di merito.
5.2. Con il secondo e terzo motivo di ricorso, parte ricorrente denuncia la ‘violazione dell’art. 360 n. 4 c.p.c. in relazione agli artt. 132 c.p.c..
Si duole che la Corte d’appello ha dichiarato ‘il secondo e terzo motivo di appello irrilevanti stante la mancata indicazione della
natura dell’attività svolta il titolo in forza del quale il Tunno vanta il diritto al risarcimento’.
Il ricorrente sostiene, al contrario, che, per quanto riguarda la natura dell’attività svolta, aveva, nell’atto di citazione, precisato che ‘conduceva nel 2008 un fondo investito per la totalità a coltivazione di ranuncoli’ e per quanto riguarda ‘il titolo in forza del quale vantava il risarcimento’ aveva precisato di condurre il fondo ove aveva coltivato circa 33.000 ranuncoli per la produzione del fiore reciso, per cui il titolo in forza del quale valutare il risarcimento derivava dal trovarsi nel possesso e nella materiale disponibilità del terreno, al cui interno aveva coltivato detti ranuncoli per la produzione del fiore reciso.
5.3. Con il quarto motivo di ricorso, parte ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione ex art. 360 n. 3 c.p.c. dell’art. 2043 c.c..
La Corte d’appello avrebbe errato perché, da un lato, ha riconosciuto che il danno risarcibile ex 2043 c.c. consiste nella diminuzione del patrimonio del danneggiato, e dall’altro ha dichiarato che l’attore, oltre a provare la diminuzione del valore del proprio patrimonio, avrebbe dovuto comunque provare una circostanza ulteriore, ovvero la qualifica di affittuario. Tale percorso argomentativo sarebbe contraddittorio e si risolverebbe in una errata applicazione dell’articolo 2043.
5.4. Con il quinto motivo di ricorso, parte ricorrente lamenta ex art. 360 n. 3 c.p.c. la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. in relazione all’art. 244 c.c.. Denuncia l’erroneità della sentenza per avere ritenuto inammissibili i capitoli di prova.
6. Il primo motivo è fondato.
Questa Corte, a Sezioni unite, da ultimo con sentenza n. 20943/2022, dirimendo la diversità di indirizzi sulla conformazione della responsabilità del custode, ne ha affermato la natura oggettiva, stabilendo che, per la sua configurazione, è sufficiente
che il danneggiato dia prova del nesso di causalità tra la cosa in custodia ed il danno dallo stesso patito, mentre sul custode grava l’onere della prova liberatoria del fortuito, ossia ‘un fatto naturale o del danneggiato o di un terzo, connotato da imprevedibilità ed inevitabilità, dal punto di vista oggettivo e della regolarità o adeguatezza causale, senza alcuna rilevanza della diligenza o meno del custode’ (Cass. civ., SS. UU., Ord., 30/06/2022, n. 20943).
Quel che rileva, secondo tale giurisprudenza condivisa da questa Sezione, è l’irrilevanza, sul piano dell’accertamento causale, della natura ‘insidiosa’ della cosa in custodia o della percepibilità ed evitabilità dell’insidia da parte del danneggiato (Cass. civ., Sez. III, Ord., 17/02/2023, n. 5116). Sulla scorta di tale corso giurisprudenziale, è stato precisato che la condotta imperita, imprudente o negligente del danneggiato rileva solo se si pone come causa efficiente ed esclusiva del danno, connotata da carattere di imprevedibilità ed imprevenibilità in grado di interrompere la serie causale riconducibile alla cosa, precisandosi ancora che l’equiparazione del fortuito (rappresentato da un fatto naturale) al comportamento del terzo o del danneggiato (che integra, invece, gli estremi della condotta umana colpevole) può avvenire soltanto sul piano funzionale (id est, degli effetti riconducibili alla fattispecie astratta) ma non anche su quello morfologico della fattispecie stessa (Cass. 11152/2023 e successive conformi). Pertanto, per escludere la responsabilità del custode il giudice del merito deve compiere un triplice accertamento: (a) che la vittima abbia tenuto una condotta colposa o dolosa; (b) che quella condotta non fosse né prevenibile, né prevedibile’; (c) che quella condotta si sia posta in relazione causale esclusiva con l’evento di danno lamentato. E ‘non può astenersi dal compierlo, limitandosi a prendere in esame soltanto la natura colposa della condotta della vittima’ (Cass. civ., Sez. III, Ord., 17/02/2023, n. 5116).
Sulla base di tali principi, in sintesi, la responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. ha carattere oggettivo, e non presunto, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell’attore del nesso di causalità tra la cosa in custodia ed il danno. Ebbene, nel caso di specie, la Corte d’appello dopo aver interpretato la domanda qualificandola come responsabilità ex art. 2051 c.c., ha omesso di esaminare la domanda del Tunno ai sensi dei principi espressi dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 11152/2023; Cass. S.U. n. 20943/2022).
6.1. Anche il secondo motivo è fondato.
In tema di legittimazione alla domanda di danni, deve ritenersi che il diritto al risarcimento può spettare anche a colui il quale, per circostanze contingenti, si trovi ad esercitare un potere soltanto materiale sulla cosa e, dal danneggiamento di questa, possa risentire un pregiudizio al suo patrimonio, indipendentemente dal diritto, reale o personale, che egli abbia all’esercizio di quel potere (Cass. 4003/2006; Cass. 21011/2010; Cass. n. 3082/2015). Nel caso di specie, il ricorrente ha allegato che sin dal 2008, conduceva il fondo a giacitura pianeggiante, destinato per la totalità a coltivazioni di Ranuncolo (33.000 piante) per la produzione del fiore reciso, per cui il titolo in forza del quale valutare il risarcimento derivava dal trovarsi nel possesso e nella materiale disponibilità del terreno, al cui interno, appunto, aveva coltivato detti ranuncoli per la produzione del fiore reciso. Pertanto ha errato il giudice del merito che non ha applicato detti principi dove ha affermato (cfr. pag. 6 sentenza impugnata) che ‘l’attore non ha provato di esercitare un potere materiale sulla cosa né il titolo per cui li avrebbe avuti in conduzione’.
P.Q.M.
la Corte accoglie il primo e secondo motivo di ricorso, dichiara assorbiti gli altri motivi, cassa in relazione la sentenza impugnata,
come in motivazione, e rinvia anche per le spese di questo giudizio, alla Corte di Appello di Genova.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza