Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 19175 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 19175 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 12/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8836/2024 R.G. proposto da :
Agenzia Regionale per le attività Irrigue e Forestali – A.R.I.F. Puglia, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa da ll’ Avv. NOME COGNOME con domicilio digitale legale
-ricorrente-
contro
COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME con domicilio digitale legale
-controricorrente-
avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce n. 924/2023 depositata il 05/01/2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Lecce ha respinto il gravame proposto dall’ Agenzia Regionale per le attività Irrigue e Forestali – ARIF – Puglia e confermato la sentenza di primo grado che aveva riconosciuto a NOME COGNOME il risarcimento da abusivo ricorso al termine per una serie di contratti intercorsi con la medesima Agenzia dal 1° luglio 2011 al 30 giugno 2017 , escludendo che l’assunzione a tempo indeterminato nel frattempo
intervenuta valesse ad escludere il relativo risarcimento del danno perché non collegata a specifiche previsioni legislative per stabilizzare il personale precario; era stata, altresì, accolta la domanda di ricostruzione della carriera, con riconoscimento degli anni di servizio precedenti all’assunzione a tempo indeterminato, in difetto di ragioni idonee a giustificare la diversità di trattamento con il personale di ruolo.
Avverso tale pronuncia propone ricorso per cassazione l’ Agenzia Regionale per le attività Irrigue e Forestali – ARIF Puglia sulla base di due motivi, cui resiste NOME COGNOME con controricorso.
La ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 , primo comma, n. 3 c.p.c., la v iolazione e falsa applicazione dell’art. 36, comma 5, d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165, della L.R. 3 della Regione Puglia 25 febbraio 2010 n. 3, nonché dell’art. 28, comma 2, d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81. La Corte territoriale avrebbe errato nel l’escludere l’efficacia sanante dell ‘intervenuta stabilizzazione, che avrebbe dovuto indurre i giudici d’appello a rigettare la domanda di risarcimento del danno.
1.1. La censura è infondata.
La sentenza impugnata ha motivato il proprio assunto richiamando la consolidata giurisprudenza in materia di risarcimento del danno cd. ‘comunitario’ , da riconoscersi in favore di coloro che abbiano lavorato nell’ambito della pubblica amministrazione in virtù di abusivo ricorso a contratti di lavoro a tempo determinato, in base ai criteri di liquidazione affermati in base alla nota decisione di questa Corte a Sezioni Unite (n. 5072 del 15 marzo 2016), in conformità alla direttiva 1999/70/CE, al fine di assicurare la tutela del lavoratore con la previsione di una misura sufficientemente dissuasiva anche come forma di agevolazione dell’onere probatorio circa il danno subito.
Quanto alla specifica questione dell’asserita efficacia sanante dell’assunzione a tempo indeterminato della lavoratr ice, avvenuta dal 20 luglio 2017, i giudici d’appello hanno precisato che «NOME è
stata assunta con contratto a tempo indeterminato non in esito ad un percorso di stabilizzazione dei lavoratori che avessero prestato attività con reiterati contratti a termine, bensì per avere svolto più di 180 giornate di lavoro nell’anno precedente. L’assunzione, perciò, non può tenere il luogo del ristoro dovuto per l’illegittima apposizione del termine ». Sono state, quindi, richiamate le pronunce di questa Corte, secondo cui la successiva immissione in ruolo del lavoratore costituisce misura sanzionatoria idonea a reintegrare le conseguenze pregiudizievoli dell’abuso solo se ‘strettamente correlata’ alla reiterazione dei contratti a termini.
Tale interpretazione si pone correttamente nella linea evolutiva della giurisprudenza di questa Corte, che ha chiarito come l’efficacia sanante della immissione in ruolo del lavoratore, in termini di idoneità a reintegrare le conseguenze pregiudizievoli dell’illecito , escludendo il diritto al risarcimento del danno, dipende dalla connessione con la successione dei contratti a termine (Cass. Sez. L, 03/10/2023, n. 27882), nel senso che la stabilizzazione si ponga in rapporto di diretta derivazione causale e non già di mera agevolazione con l’abusiva reiterazione , occorrendo che sia stata da essa determinata, costituendo l ‘ esito di misure specificamente volte a superare il precariato (così Cass. Sez. L, 27/05/2021, n. 14815).
Nel caso di specie l’immissione in ruolo non è avvenuta in ragione della successione dei contratti a termine bensì «in applicazione del diritto di precedenza di cui al comma 4 quinquies dell’articolo 5 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 (Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEEP e dal CES), come inserito dal comma 40 dell’articolo 1 della legge 24 dicembre 2007, n. 247», secondo quanto previsto dal comma 2, lett. b), dell’art. 1 2 della L.R. n. 3 del 2010 per gli operai stagionali forestali utilizzati per una durata pari o superiore a centottantuno giornate lavorative, previsione applicabile, a ben vedere, a prescindere da qualsivoglia abusiva reiterazione del termine e, dunque, ad essa non ricollegabile.
Con il secondo motivo, si deduce, in relazione all’art. 360 , primo comma, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione della clausola 4
dell’ accordo quadro sul lavoro a tempo determinato allegato alla direttiva 1999/70/CE e del l’art. 97 Cost. Si assume che la Corte d’appello avrebbe omesso di considerare che il personale a termine era compensato con un elemento aggiuntivo della retribuzione, al fine di sanare la disparità di trattamento con i lavoratori a tempo indeterminato, come richiesto dalla clausola 4 de ll’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato. Si evidenzia, inoltre, che la ricostruzione della carriera deve tenere conto della diversa modalità di reclutamento e del fatto che la COGNOME, per l’assunzione a tempo indeterminato, non aveva dovuto superare un concorso pubblico.
2.1. Anche tale censura è infondata, come ampiamente argomentato nella sentenza impugnata, in conformità alla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la clausola 4 dell ‘a ccordo quadro sul rapporto a tempo determinato, recepito dalla direttiva 99/70/CE, di diretta applicazione, impone al datore di lavoro pubblico di riconoscere, ai fini della progressione stipendiale e degli sviluppi di carriera successivi al 10 luglio 2001, l ‘ anzianità di servizio maturata sulla base di contratti a tempo determinato, nella medesima misura prevista per il dipendente assunto ab origine a tempo indeterminato, allorché le funzioni svolte siano identiche a quelle precedentemente esercitate nell ‘ ambito del contratto a termine, in applicazione del principio di non discriminazione (fra molte, Cass. Sez. L, 06/02/2019, n. 3473; Cass. Sez. L., 16/07/2020, n. 15231; in senso conforme, Cass. Sez. L, 02/12/2024, n. 30784).
Nella specie, la Corte d’appello ha sottolineato che la diversità di trattamento può essere giustificata solo da elementi precisi e concreti di differenziazione che contraddistinguano le modalità di lavoro e che attengano alla natura ed alle caratteristiche delle mansioni espletate, mentre l’ARIF si era limitata ad assumere che le ragioni oggettive di diversità tra il lavoro a tempo determinato e quello stabile risiederebbero nella diversa modalità di reclutamento, circostanza inidonea a giustificare la discriminazione, mentre la deduzione circa il differente trattamento economico sviluppata nel motivo (comunque inidonea a rendere conto del
diverso computo dell’anzianità di servizio) è inammissibile perché nuova, secondo quanto emerge dalla stessa sentenza impugnata.
Il ricorso va, pertanto, rigettato.
Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza, con distrazione in favore degli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME procuratori antistatari che ne ha fatto richiesta.
Occorre dare atto, ai fini e per gli effetti indicati da Cass. Sez. U. 20/02/2020, n. 4315, della sussistenza delle condizioni processuali richieste dall’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in euro 3.000,00 per compensi, oltre agli esborsi liquidati in euro 200,00, al rimborso delle spese generali al 15%, ed accessori di legge, con distrazione in favore degli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME antistatari.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 06/06/2025.