Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 27181 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3   Num. 27181  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22130/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE,  in  persona  del  Sindaco  p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), con domicilio digitale ex lege ;
-ricorrente-
 contro
NOMECOGNOMENOME,  elettivamente  domiciliata  in  INDIRIZZO,  presso  lo  studio  dell’avvocato  NOME COGNOME  (CODICE_FISCALE)  che  la  rappresenta  e  difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE);
-controricorrente-
avverso  la  SENTENZA  del  TRIBUNALE  di  VITERBO  n.  551/2023, depositata il 31/05/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME conveniva in giudizio il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, quale gestore del RAGIONE_SOCIALE, ed in opposizione ad una ingiunzione di pagamento relativa a canoni acqua, eccepiva la prescrizione del credito per canone acqua relativamente agli anni 2012, 2013 e 2014 e per l’effetto chiedeva di annullare e comunque dii dichiarare improduttivo di qualsiasi effetto l’atto di ingiunzione di pagamento nr. 20190833900000144 del 18.12.2019; in via riconvenzionale, domandava di accertare e dichiarare che il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE a partire dal 01/01/2013 aveva somministrato acqua non potabile e priva dei requisiti di legge per l’accertato superamento dei parametri massimi consentiti dalla legge di arsenico e/o di floruri, e per l’effetto di ritenerlo inadempiente, tenuto conto dell’obbligo di fornire almeno sei litri di acqua potabile al giorno per persona, e di condannarlo al pagamento di euro 600,00 per sei anni, quale costo della fornitura media di un anno di nr. 6 litri al giorno di acqua potabile per un nucleo familiare medio di nr. 2 persone, nonché di condannarlo al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale per inadempimento contrattuale.
Con sentenza n. 721/2020, il Giudice di Pace di Viterbo accoglieva le domande della COGNOME, annullava, pertanto, l’ingiunzione di pagamento nella parte in cui faceva riferimento ai canoni acqua relativi agli anni 2012, 2013 e 2014, convalidava l’ingiunzione di pagamento nella parte riguardante il canone acqua relativo all’anno 2015, accertava e dichiarava l’inadempimento contrattuale del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE e per l’effetto accertava e dichiarava che parte attrice aveva diritto a corrispondere solo il 50% del
canone acqua potabile, accertava e dichiarava non dovuto il 50% della somma richiesta nell’ingiunzione di pagamento  nella parte in cui  si  faceva    riferimento  al  canone  acqua  relativo  all’anno  2015, per  un  importo  pari  ad  euro  48,16,  condannava  il  RAGIONE_SOCIALE  RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE  al risarcimento dei danni che liquidava in complessivi euro 2.400,00 (euro 2.100,00 per danno patrimoniale, euro 300,00 per danno non patrimoniale), oltre agli interessi legali dalla data della sentenza al saldo.
Con la sentenza n. 551/2023, il Tribunale di Viterbo, in accoglimento parziale dell’appello promosso dal RAGIONE_SOCIALE,  ha  condannato  l’appellante  al  risarcimento  dei  danni  in favore  della COGNOME ,  liquidati  in  complessivi  euro  2.100,00 per danno patrimoniale, escludendo la condanna al risarcimento del danno non patrimoniale; ha confermato quanto al resto la statuizione di primo grado.
Avverso la suindicata sentenza del giudice dell’appello i l  RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE propone ora ricorso cassazione, affidato a due motivi illustrati con memoria.
Resiste con controricorso la COGNOME , che ha prodotto anche atto  che  non  può  considerarsi  memoria,  in  difetto  dei  relativi requisiti di legge.
E’ stata formulata proposta di definizione accelerata della controversia, prospettando il rigetto del ricorso.
Il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ha chiesto ritualmente la decisione del ricorso.
La trattazione del ricorso è stata, dunque, fissata ai sensi dell’art. 380bis 1 cod.proc.civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
 Con  il  primo  motivo  il  ricorrente  denunzia  violazione  e  falsa applicazione dell’art. 2, c. 1, D.lgs. 546/1992 in riferimento all’art. 360,  1°  e  3°  comma,  cod.proc.civ.,  censurando    la  impugnata sentenza, nella parte in cui il tribunale ha disatteso l’eccezione di
incompetenza funzionale del giudice adito, ritenendola non solo tardiva, ma anche priva di pregio «non trattandosi, nel caso di specie, di opposizione avverso un’ordinanza ingiunzione avente ad oggetto tributi, ma entrate (canoni idrici) con riferimento ai quali la stessa amministrazione ha indicato quale autorità giudiziaria alla quale poter proporre opposizione ‘l’Autorità Giudiziaria competente per territorio(Giudice di pace) e tale dovendosi individuare in base all’oggetto della stessa’ ».
La tesi del ricorrente è che competente a giudicare sia il giudice tributario  e  che  l’eccezione  di  incompetenza,  essendo  rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, non fosse tardiva.
Il motivo è infondato.
Non è stato addotto alcun argomento che giustifichi l’eventuale discostamento dai numerosi precedenti di questa Corte hanno che rilevato che, mentre fino al 3 ottobre 2000 il canone o diritto di cui alla legge 10 maggio 1976, n. 319 <>, successivamente, per effetto dell’art. 24 del d.lgs. 18/08/2000, n. 258, <>, la quale quanto al RAGIONE_SOCIALE di depurazione, <>; di conseguenza sussiste la giurisdizione ordinaria, in forza di quanto statuito da Cass., Sez. Un., 27/05/2022, n. 17248, secondo cui «l’azione risarcitoria proposta dall’utente nei confronti del gestore del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE qualora si controverta soltanto del risarcimento del danno cagionato all’utente dalla fornitura di acqua in violazione dei limiti ai contenuti di sostanze tossiche (nella specie, arsenico e floruri)
imposti da disposizioni anche di rango eurounitario, ovvero del diritto alla riduzione del corrispettivo della fornitura stessa per i vizi del bene somministrato – rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, atteso che è «il singolo rapporto di utenza a venire in considerazione e, con esso, il diritto del singolo utente a vedersi risarcito il danno arrecatogli dal contrattuale inadempimento della controparte immediata, cioè il gestore RAGIONE_SOCIALE e fornitore del bene acqua, come pure a vedersi ridotto il corrispettivo dell’acqua fornita, siccome priva delle qualità pattuite (cioè la conformità alle disposizioni di legge e regolamentari in materia di limiti massimi di arsenico e/o fluoruri).
2) Con il secondo motivo parte ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e ss. cod.civ. in riferimento all’art. 360, 1° comma, n. 3 e n. 5 cod.proc.civ., attingendo il capo di sentenza con cui il tribunale ha ritenuto corretta la valutazione in via equitativa svolta dal giudice di primo grado del danno patrimoniale, «considerato che, pur non avendone esplicitato i parametri di riferimento, ha ritenuto di fare applicazione dei dati di comune esperienza e già indicati nell’atto di citazione da parte degli odierni appellati con riferimento alle voci di danno prospettate dagli attori, i quali, in particolare, avevano richiamato tanto il costo medio di un litro di acqua minerale (€ 0,20), che il fabbisogno pro capite di sei litri di acqua indicato anche dalla RAGIONE_SOCIALE con la conseguenza che la somma liquidata appare congrua se rapportata al tempo».
Il C omune ricorrente sostiene che la COGNOME avrebbe dovuto provare di risedere abitualmente nell’abitazione somministrata e di avere effettivamente acquistato l’acqua potabile nella misura indicata,  conservando  i  relativi  scontrini  fiscali  e  producendoli  in giudizio, atteso che il nocumento patrimoniale non può mai essere considerato in re ipsa e che in  difetto di allegazione e prova della conseguenza pregiudizievole non può addivenirsi ad una
determinazione equitativa, poiché l’operazione di liquidazione ex art. 1226 cod.civ. costituisce una mera tecnica di quantificazione del danno che, come tale, postula necessariamente il raggiungimento della prova circa l’ an del preteso pregiudizio. In aggiunta contesta -verosimilmente in ciò si concretizza la violazione dell’art. 360, 1° comma, n. 5 cod.proc.civ. che, pur avendo il tribunale escluso la sua responsabilità, rigettando la richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale con la seguente motivazione: «Nella fattispecie in oggetto, tenendo conto della complessità della situazione geologica del terreno e della necessità di completamento delle infrastrutture, si ritiene che il pregiudizio subito da parte appellata debba essere qualificato come mero disagio», non abbia rigettato (anche) la richiesta di risarcimento del danno patrimoniale, atteso che il presupposto per la condanna al risarcimento del danno è RAGIONE_SOCIALE proprio dalla sussistenza della colpa del debitore asseritamente inadempiente.
Il motivo è inammissibile.
Non solo perché la violazione dell’art. 2697 cod.civ. è stata dedotta senza che ne ricorrano i presupposti, più volti enunciati da questa Corte un motivo denunciante la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura effettivamente e, dunque, dev’essere scrutinato come tale solo se in esso risulti dedotto che il giudice di merito abbia applicato la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’ onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costitutivi ed eccezioni. Viceversa, allorquando il motivo deducente la violazione del paradigma dell’art. 2697 c.c. non risulti argomentata in questi termini, ma solo con la postulazione (erronea) che la valutazione delle risultanze probatorie ha condotto ad un esito non corretto, il motivo stesso è inammissibile come motivo in iure ai sensi del n. 4 dell’art. 360 c.p.c. (se si considera
l’art. 2697 c.c. norma processuale) e ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. (se si considera l’art. 2697 c.c. norma sostanziale, sulla base della vecchia idea dell’essere le norme sulle prove norma sostanziali) e, nel regime dell’art. 360 n. 5 oggi vigente si risolve in un surrettizio tentativo di postulare il controllo della valutazione delle prove oggi vietato ai sensi di quella norma : Cass., Sez. Un., 5/08/2016 n. 16598) – ma anche perché il tribunale ha confermato la sentenza di primo grado ritenendo integrata la prova dell’ an della pretesa risarcitoria e su questo punto le censure di parte ricorrente sono carenti ed inefficaci non avendo centrato la ratio decidendi della impugnata sentenza.
In merito, invece, alla asserita violazione dell’art. 360, 1° comma, n. 5 cod.proc.civ. va ribadito che detta disposizione del codice di rito riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, 1° comma, n. 6, e 369, 2° comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass., Sez. Un., 7/04/2014, n. 8053). Si evidenzia, altresì, che costituisce un “fatto”, agli effetti dell’art. 360, 1° comma, n. 5, cod. proc. civ., non una “questione” o un “punto”, ma un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass. 6/09/2019, n. 22397; Cass. 8/09/2016, n. 17761; Cass., Sez. Un., 23/03/2015, n. 5745; Cass. 4/04/2014, n. 7983; Cass.
5/03/2014, n. 5133). Non costituiscono, viceversa, “fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio di cui alla richiamata norma del codice di rito le argomentazioni, supposizioni o deduzioni difensive (Cass. 18/10/2018, n. 26305; Cass. 14/06/2017, n. 14802); gli elementi istruttori (Cass., Sez. Un., 7/04/2014, n. 8053); una moltitudine di fatti e circostanze, o il “vario insieme dei materiali di causa” (Cass. 21/10/2015, n. 21439; Cass. 29/10/2018, n. 27415), sicché sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a questi ultimi profili, come nel caso all’esame (cfr. Cass. 14/09/2022, n.27076; Cass. 25/07/2023), n.22273).
All’inammissibilità e infondatezza dei motivi, consegue il rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e sono liquidate, in favore della controricorrente, nella misura indicata in dispositivo.
 Il  RAGIONE_SOCIALE  ricorrente  va  altresì  condannato  al  pagamento  di somme  ex  art.  96,  3°  e  4°  co.,  c.p.c.,  ricorrendone  i  rispettivi presupposti di legge.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente: a) delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 1.600,00 ( di cui euro 1.400,00 per onorari ), oltre a spese generali e accessori come per legge; b) al pagamento di euro 1.400,00 ex art. 96, 3° comma, cod.proc.civ.; somme da distrarsi in favore dei difensori, dichiaratisi antistatari. Condanna il ricorrente al pagamento di euro 1.000,00 ex art. 96, 4° comma, cod.proc.civ., in favore della Cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, come modif. dalla l. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della
sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente all’ufficio del merito competente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella Camera di Consiglio del 16 settembre 2025 dalla Terza sezione civile della Corte Suprema di Cassazione.
Il Presidente NOME COGNOME