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Risarcimento acqua non potabile: la Cassazione decide

Un cittadino ha citato in giudizio il proprio comune per la fornitura di acqua non potabile. La Corte di Cassazione ha confermato il diritto al risarcimento per l’acqua non potabile, respingendo le argomentazioni del comune relative alla competenza del giudice e alla presunta mancanza di prove del danno. La Corte ha stabilito che la giurisdizione appartiene al giudice ordinario e che il danno può essere liquidato in via equitativa, senza la necessità di produrre ogni singolo scontrino per l’acquisto di acqua in bottiglia.

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Pubblicato il 29 ottobre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Risarcimento Acqua Non Potabile: La Cassazione Conferma il Diritto dell’Utente

Quando l’acqua che esce dal rubinetto di casa non è potabile, sorge spontanea una domanda: si ha diritto a un indennizzo? E come si dimostra il danno subito? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su questi aspetti, confermando che il risarcimento per acqua non potabile è un diritto dell’utente e che la sua quantificazione non richiede prove eccessivamente onerose, come la conservazione di ogni scontrino. Analizziamo insieme questa importante decisione.

Il Contesto del Caso: Bollette Idriche e Acqua Contaminata

La vicenda ha origine dall’opposizione di una cittadina a un’ingiunzione di pagamento per canoni idrici non pagati. Oltre a contestare la prescrizione di alcune annualità, la signora ha presentato una domanda riconvenzionale contro il Comune, gestore del servizio idrico. La sua richiesta era chiara: accertare che l’acqua fornita per anni non era potabile, a causa del superamento dei limiti di legge per arsenico e fluoruri, e di conseguenza condannare l’ente a un risarcimento per i danni subiti.

I giudici di primo e secondo grado le hanno dato parzialmente ragione, riconoscendo l’inadempimento del Comune e liquidando un danno patrimoniale di 2.100 euro, basato sul costo presunto per l’acquisto di acqua in bottiglia per le necessità quotidiane di una famiglia media.

La Questione della Giurisdizione sul risarcimento acqua non potabile

Il Comune, non soddisfatto della decisione, ha presentato ricorso in Cassazione sollevando due questioni principali. La prima riguardava la giurisdizione: secondo l’ente, la controversia avrebbe dovuto essere trattata dal giudice tributario e non da quello civile.

La Suprema Corte ha respinto nettamente questa tesi. Ha chiarito che, a seguito delle riforme normative, il canone per il servizio idrico integrato non è più considerato un tributo, ma un corrispettivo per una prestazione commerciale complessa, basata su un contratto di utenza. Di conseguenza, le controversie relative all’inadempimento contrattuale del gestore, come la fornitura di acqua non conforme, rientrano a pieno titolo nella giurisdizione del giudice ordinario.

La Prova del Danno e la Liquidazione Equitativa

Il secondo motivo di ricorso del Comune si concentrava sulla prova del danno. L’ente sosteneva che la cittadina non avesse fornito prove concrete del danno patrimoniale, come gli scontrini fiscali per l’acquisto di acqua potabile. Criticava quindi la decisione dei giudici di merito di liquidare il danno in via equitativa.

Anche su questo punto, la Cassazione ha dichiarato il motivo inammissibile. I giudici hanno spiegato che il ricorso del Comune non denunciava un’errata applicazione delle regole sull’onere della prova, ma mirava a ottenere una nuova valutazione dei fatti, attività preclusa in sede di legittimità. Una volta che è stata accertata l’esistenza del danno (l’an), ovvero il fatto che il Comune ha fornito acqua non potabile violando i suoi obblighi, il giudice può procedere alla quantificazione del danno (il quantum) utilizzando il suo potere di valutazione equitativa (ex art. 1226 c.c.). Questa è una mera tecnica di quantificazione, del tutto legittima quando la prova del preciso ammontare del danno è difficile.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte ha ribadito che il compito del ricorrente in Cassazione non è quello di lamentare una valutazione delle prove non gradita, ma di individuare specifici errori di diritto o vizi procedurali. Nel caso di specie, il tribunale aveva correttamente ritenuto provato l’inadempimento del Comune e, di conseguenza, il diritto della cittadina al risarcimento. La stima del danno, basata su dati di comune esperienza come il fabbisogno giornaliero di acqua potabile pro capite e il costo medio dell’acqua minerale, è stata considerata una metodologia congrua e corretta.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per i Cittadini

Questa ordinanza offre importanti tutele per i cittadini. Stabilisce chiaramente che il gestore del servizio idrico ha un obbligo contrattuale di fornire acqua potabile e conforme ai parametri di legge. In caso di inadempimento, l’utente ha diritto a essere risarcito per i costi aggiuntivi sostenuti, come l’acquisto di acqua in bottiglia. L’aspetto più rilevante è che non è indispensabile conservare meticolosamente ogni prova di spesa. Se il danno è certo nella sua esistenza, il giudice può determinarne l’ammontare in via equitativa, basandosi su criteri logici e di comune esperienza, garantendo così una tutela effettiva e non solo formale dei diritti degli utenti.

A quale giudice bisogna rivolgersi per le controversie sulle bollette dell’acqua non potabile?
La competenza è del giudice civile ordinario, non del giudice tributario. La Corte di Cassazione ha chiarito che il canone idrico è il corrispettivo per un servizio commerciale basato su un contratto, non un tributo.

Per ottenere il risarcimento per la fornitura di acqua non potabile, è obbligatorio presentare tutti gli scontrini dell’acqua in bottiglia acquistata?
No, non è strettamente obbligatorio. Una volta dimostrato che il gestore ha fornito acqua non conforme alla legge (provando quindi l’esistenza del danno), il giudice può quantificare il risarcimento in via equitativa, basandosi su dati di comune esperienza come il fabbisogno medio pro capite e il costo dell’acqua minerale.

Il gestore del servizio idrico può evitare il risarcimento se dimostra che la contaminazione dell’acqua è dovuta a cause complesse, come la situazione geologica del territorio?
No. La fornitura di acqua non potabile costituisce un inadempimento contrattuale che fa sorgere il diritto al risarcimento del danno patrimoniale, ovvero dei costi sostenuti dall’utente per sopperire a tale mancanza. La difficoltà della situazione non esime il gestore dalla sua responsabilità contrattuale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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