Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 9049 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 9049 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 06/04/2025
SENTENZA
sul ricorso 29084/2022 proposto da:
-ricorrente-
OGGETTO: PUBBLICO IMPIEGO
contro
;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 230/2022 della Corte d’Appello di Torino, pubblicata in data 24.05.2022, N.R.G. 696/2021;
udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 18/03/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
udito il P .M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
udito l’avvocato NOME COGNOME per delega verbale dell’Avv. NOME COGNOME udito l’avvocato NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME docente di scuola secondaria di primo grado assunto a tempo determinato su posto in organico di diritto in forza di contratti a tempo determinato dall’anno scolastico 2014/2015 all’anno scolastico 2020/2021 sempre presso lo stesso Istituto e per la classe di concorso B-16, ha convenuto in giudizio la Regione Autonoma Valle d’Aosta deducendo l’illegittima reiterazione dei suddetti contratti e chiedendo la condanna della Regione al risarcimento del danno subito ex art. 32, comma 5, della legge n. 183/2010 e del maggior danno derivato dall’abuso.
Nelle more del giudizio il COGNOME è risultato vincitore di un concorso ed è stato immesso in ruolo.
Il Tribunale di Aosta, in parziale accoglimento del ricorso, ha accertato l’abusiva reiterazione di contratti a tempo determinato dal 1.9.2014 al 31.8.2021 ed ha condannato la Regione Autonoma Valle d’Aosta al risarcimento del danno in favore del Na ccarato nella misura di quattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre interessi dal 1.9.2017.
La Corte di Appello di Torino ha respinto l’appello avverso tale sentenza dalla Regione Autonoma Valle d’Aosta.
La Corte territoriale ha ritenuto illegittima la reiterazione dei contratti a tempo determinato, in quanto si erano protratti oltre i 36 mesi; ha in particolare rilevato che l’astratta previsione contenuta nella legge n. 107/2015 di indizione di futuri concorsi ogni tre anni non è di per sé sufficiente a d escludere l’utilizzo abusivo dei rapporti a termine, essendo necessario che in detto arco temporale i concorsi vengano effettivamente indetti e svolti.
Ha inoltre considerato inidonea ad escludere l’abuso l’indizione del concorso del 2018 (concorso al quale il ricorrente non aveva partecipato), in quanto l’abuso si era già realizzato ; ha inoltre ritenuto che la mancanza del titolo di abilitazione fosse da addebitare a responsabilità della stessa Regione, essendo pacifico che il concorso del 2018 era riservato ai docenti in possesso dell’abilitazione.
Ha osservato che dal 2014 per la classe di concorso B-16 non erano state effettuate procedure abilitanti, tanto che il concorso indetto dalla Regione nel marzo 2018, riservato ai docenti in possesso dell’abilitazione, era andato deserto e che il COGNOME aveva potuto partecipare alla procedura concorsuale indetta a maggio 2020, essendo previsto unicamente il requisito del possesso del titolo di studio, in conformità a quanto statuito dal Consiglio di Stato con sentenza n. 4990/2018; ha pertanto ritenuto tali circostanze rilevanti ai fini del riconoscimento dell’abuso.
Considerato che i docenti della classe di concorso B-16 in possesso del solo titolo di studio (e non anche dell’abilitazione ) non avevano avuto la possibilità di conseguire l’abilitazione all’insegnamento per la mancanza di apposite procedure abilitanti e che fino al 2020 non avevano potuto partecipare a concorsi accessibili con il solo possesso del titolo di studio, ha osservato che per tali docenti non vi era la certezza di fruire di un accesso privilegiato al pubblico impiego in tempi certi e ravvicinati.
Alla luce dei principi di diritto affermati da Cass. n. 15240/2021, ha escluso che l’immissione in ruolo durante la pendenza del giudizio avesse cancellato l’abuso e le conseguenze pregiudizievoli da esso derivate, in quanto la procedura
concorsuale non era riservata al solo personale precario ed aveva operato un’effettiva selezione sulla base del merito (la valutazione dei titoli era possibile solo se fosse stata superata la prova scritta).
Ha infine ritenuto congrua la misura del risarcimento, più vicina a quella minima che a quella media tanto più che a fronte di un periodo ben superiore a 36 mesi (84 mesi) sono state liquidate solo 4 mensilità.
10 . Avverso tale sentenza la Regione Autonoma Valle d’Aosta ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui il COGNOME ha resistito con controricorso.
A seguito di formulazione della proposta di definizione ai sensi dell’art. 380-bis, primo comma, cod. proc. civ., Regione Valle d’Aosta ha presentato istanza di decisione ai sensi dell’art. 380 -bis, secondo comma, cod. proc. civ.
Entrambe le parti hanno depositato memoria nel termine di legge ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.
Con ordinanza interlocutoria n. 30633/2024 questa Corte ha disposto il rinvio a nuovo ruolo per l fissazione in pubblica udienza.
La Procura Generale ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 4 della legge n. 124/1999, dell’art. 1 della legge n. 107/2015, dell’art. 17 del d.lgs. n. 59/2017, dell’art. 1 del d.l. n. 126/2019 e della clausola 5 dell’Accordo Quadro nonché dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 115, 420 e 437 c.p.c.
Si critica la sentenza impugnata per avere ritenuto illegittima la reiterazione dei contratti a tempo determinato stipulati nella vigenza della legge n. 107/2015.
Si sostiene che ha errato la Corte territoriale nell’interpretare il quadro normativo e nell’estendere alla fattispecie, successiva all’entrata in vigore della legge n. 107/2015, i medesimi principi affermati in relazione alle supplenze conferite antecedentemente alle pronunce della Corte di Giustizia e della Corte Costituzionale, pur avendo la Regione dimostrato di avere bandito i concorsi e di trovarsi, quindi, nella condizione di ricorrere al contratto a tempo determinato in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali.
Si evidenzia che la legge n. 107/2015 ha previsto un piano straordinario di assunzioni; precisando che negli otto anni intercorsi tra l’anno scolastico 20142015 e l’anno scolastico 2020 -2021 sono state bandite procedure concorsuali con una frequenza ‘in media’ inferiore al triennio .
Si argomenta che l’assenza di procedure abilitanti era stata tardivamente dedotta dal COGNOME solo all’udienza di discussione dinanzi al Tribunale e non era stata provata, non essendo a tal fine sufficiente la sola produzione della sentenza del Consiglio di Stato.
Si assume che attraverso il riferimento alla mancata attivazione delle procedure abilitanti è stata introdotta in giudizio una causa petendi diversa rispetto a quella originaria; si precisa che la conformità della disciplina nazionale rispetto a quella UE deve essere verificata esclusivamente in relazione alla previsione di tempi certi per il reclutamento del personale di ruolo e all’effettivo espletamento delle procedure selettive, evidenziando che nel periodo di riferimento la Regione aveva dimostrato di avere bandito ben tre procedure concorsuali.
Con il secondo motivo il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 4 della legge n. 124/1999, dell’art. 1 della legge n. 107/2015, della clausola 5 dell’Accordo quadro, dell’art. 1223 c.c. nonché dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 115, 420 e 437 c.p.c. relativamente al riconosciuto il risarcimento del danno nonostante l’assenza del titolo di abilitazione.
Addebita alla Corte territoriale di avere ritenuto fondata la pretesa risarcitoria del COGNOME sulla base di una circostanza tardivamente dedotta, che aveva introdotto una nuova causa petendi .
Rileva che non poteva nella specie essere ravvisato un danno da perdita di chances, non essendo configurabile un abuso dei contratti a tempo determinato qualora, come nel caso di specie, le procedure concorsuali siano state bandite, non rilevando in senso contrario la circostanza che il dipendente con contratti di lavoro a tempo determinato non possa accedere a tali procedure per altre ragioni, tra cui la carenza di procedure abilitanti; precisa che il personale precario ha la facoltà di azionare strumenti di tutela per la mancata attivazione di percorsi abilitanti e può chiedere il risarcimento del danno non per la reiterazione dei
contratti a tempo determinato, ma per l’impossibilità di partecipare ai banditi concorsi per tale ragione.
Con il terzo motivo, il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 4 della legge n. 124/1999, dell’art. 1 della legge n. 107/2015 dell’Art. 1 del d.l. n. 126/2019 della clausola 5 dell’accordo quadro, per avere la Corte territoriale erroneamente riconosciuto il risarcimento del danno nonostante la stabilizzazione.
Evidenzia che il concorso all’esito del quale il COGNOME era stato immesso in ruolo è stato bandito in conformità all’art. 1 del d.l. n. 126/2019 sempre al fine di consentire, con procedura straordinaria, la stabilizzazione dei docenti precari; precisa che il suddetto concorso aveva previsto una selezione significativamente diversa da quella dei concorsi ordinari.
La proposta di definizione ex art. 380 bis c.p.c. risulta così formulata: ‘ Il ricorso appare manifestamente infondato, in quanto:
quanto al primo motivo non vi è ragione alcuna perché i principi sanciti da Cass. 22552/2016, se le supplenze annuali siano reiterate anche dopo la L. 107/2015 con durata ben superiore ai 36 mesi, non si dia luogo a risarcimento del danno (la stessa Cass. 22557/2016 citata dalla ricorrente richiama il fatto che espressamente la predetta Legge abbia stabilito un limite alla reiterazione delle supplenze, prevedendo che a decorrere dal 1° settembre 2016 i contratti a tempo determinato su posti vacanti e disponibili non possono superare la durata complessiva di trentasei mesi, anche non continuativi: art. 1 c.131);
quanto al secondo motivo l’assenza di titolo abilitante non ha rilievo, sul piano risarcitorio, a fronte dell’obiettiva reiterazione di contratti a termine (Cass. 8672/2023; Cass. 30933/2023; Cass. 31121/2023, intervenute proprio nel contenzioso che ha rig uardato la Val D’Aosta);
quanto al terzo motivo l’indirizzo giurisprudenziale di questa S.C. si è affinato nel senso, ripetutamente confermato, che l’assunzione in ruolo a seguito di prova concorsuale, anche riservata, non può dirsi conseguenza causale del lavoro a tempo determinato (Cass. 14815/2021; da ultimo Cass. 35145/2023), con principio che non vi è ragione alcuna di ritenere non applicabile nel settore scolastico;
è pacifico e accertato dal giudice del merito che l’assunzione a tempo indeterminato del docente sia avvenuta in esito a concorso per titoli ed esami, sicché non ha rilievo il fatto che quella sessione fosse stata fissata per il superamento del precariato, valendo i suesposti principi in ordine al risalire di essa ai meriti concorsuali dell’interessato. ‘
L’istanza di decisione, oltre a fare leva sulla novità dell e questioni dedotte nei primi due motivi di ricorso, richiama una serie di pronunce con le quali si è affermato che l’orientamento relativo alla necessità di una stretta correlazione tra stabilizzazione ed abuso non è esportabile in ambito scolastico.
Il primo ed il secondo motivo, che vanno trattati congiuntamente per ragioni di connessione logica, sono infondati.
Questa Corte, nel ricostruire il quadro normativo interno relativo al sistema di reclutamento del personale scolastico a partire dalla legge n. 124/1999 (si vedano le sentenze del 18 ottobre 2016, dalla n. 22552 alla n. 22557), ha evidenziato le significative modifiche introdotte dalla legge n. 107/2015, la quale, oltre a prevedere un piano straordinario di assunzioni del solo personale docente per l’anno scolastico 2015/2016 suddiviso in tre fasi (art. 1, comma 95 ss.), ha sancito la definitiva perdita di efficacia delle graduatorie ad esaurimento effettivamente esaurite (art. 1, comma 105), ha ribadito la cadenza triennale dei concorsi, da indire su base regionale tenendo conto del fabbisogno espresso dalle istituzioni scolastiche nel piano dell’offerta formativa, ha previsto l’efficacia triennale delle graduatorie concorsuali, (art. 1, comma 113), ha inserito un limite nella reiterazione delle supplenze, prevedendo che a decorrere dal 1° settembre 2016 i contratti a tempo determinato per la copertura dei posti vacanti e disponibili non possono superare la durata complessiva di trentasei mesi, anche non continuativi (art. 1, comma 131).
L’art. 1, comma 131, della legge n. 107/2015 ha in particolare previsto: ‘ 1. A decorrere dal 1º settembre 2016, i contratti di lavoro a tempo determinato stipulati con il personale docente, educativo, amministrativo, tecnico e ausiliario presso le istituzioni scolastiche ed educative statali, per la copertura di posti vacanti e disponibili, non possono superare la durata complessiva di trentasei mesi, anche non continuativi ‘.
Tale disposizione, interpretata autenticamente dall’art. 1, comma 375, della legge n. 232/2016, il quale ha stabilito: ‘ 375. L’art. 1, comma 131, della legge 13 luglio 2015, n. 107, si interpreta nel senso che i contratti di cui tenere conto per il computo della durata complessiva del servizio già maturato sono quelli sottoscritti a decorrere dal 1° settembre 2016 ‘ , è stata abrogata dall ‘art. 4 bis del d.l. 12 luglio 2018, n. 87, convertito con modificazioni dalla Legge 9 agosto 2018, n. 96.
A fronte dell’abrogazione del termine massimo di 36 mesi anche non continuativi per la durata complessiva dei contratti di lavoro a tempo determinato per la copertura di posti vacanti e disponibili, inizialmente riferita ai contratti a tempo determinato stipulati a decorrere dal 1° settembre 2016, il limite di durata complessiva di 36 mesi per i contratti di lavoro a tempo determinato stipulati con il singolo docente non può dunque essere esteso ai contratti di lavoro a tempo determinato stipulati nella vigenza della legge n. 107/2015.
Né può trovare applicazione il termine di durata massima previsto dalle disposizioni in materia di contratti a tempo determinato nel settore privato.
Dall’art. 1 del d.l. n. 134/2009, convertito con legge n. 167 del 2009 e dall’art. 9, comma 18, del d.l. n. 70/2011, già nel 2016 questa Corte aveva già tratto elementi che confortavano l’interpretazione delle previgenti disposizioni di legge (Cass. SS.UU. n. 18353/2014) in termini di inapplicabilità del d.lgs. n. 368/2001 ai rapporti di lavoro stipulati con i docenti e il personale ATA, in ragione della peculiarità del sistema di reclutamento proprio del settore della Scuola Pubblica (si vedano le citate sentenze del 18 ottobre 2016).
Si è infatti chiarito che l’inapplicabilità del d.lgs. n. 368/2001 ai rapporti di lavoro stipulati con i docenti e il personale ATA era comunque evincibile dall’intera disciplina di settore, indipendentemente dai suddetti interventi riformatori, dai quali non si ricava alcun elemento che consenta di affermare che, invece, nel passato la disciplina contenuta nel D. Lgs. n. 368 del 2001, trovasse applicazione ai rapporti a termine stipulati con i docenti ed il personale ATA.
D’altronde, proprio su tale premessa la Corte Costituzionale con l’ordinanza n. 207 del 2013 ha sottoposto alla Corte di giustizia dell’Unione europea, in via
pregiudiziale ai sensi e per gli effetti dell’art. 267 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea, le questioni di interpretazione della clausola 5, punto 1, dell’Accordo Quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE.
Analoghe considerazioni valgono dunque per l’inapplicabilità del d.lgs. n. 81/2015, che ha abrogato il d.lgs. n. 368/2001, ai rapporti di lavoro stipulati con i docenti e il personale ATA.
Pertanto, la proposta di definizione anticipata non è condivisibile nella parte in cui estende il limite dei 36 mesi ai contratti a tempo determinato stipulati nella vigenza della legge n. 107/2015 con il personale docente per la copertura di posti vacanti e disponibili perché, alla luce dei suddetti interventi normativi, ai suindicati contratti non può essere applicato il principio secondo cui nel settore scolastico costituisce abuso la reiterazione di contratti a tempo determinato oltre i 36 mesi.
Questa Corte ai fini della configurabilità dell’abuso rilevante sul piano del diritto UE, e dunque del diritto interno, nella stipulazione di contratti a tempo determinato con il personale docente per la copertura di posti vacanti e disponibili, nelle citate sentenze del 18 ottobre 2016 ha valorizzato la cadenza triennale dei concorsi pubblici, prevista dall’art. 1, comma 113, della legge n. 107/2015, che ha riformato l’art. 400 del T.U. d.lgs. n. 297/1994.
Tali principi sono tuttora validi in base alle disposizioni vigenti, nel senso che è configurabile un abuso nella reiterazione di contratti a tempo determinato stipulati dopo l’entrata in vigore della legge n. 107/2015, qualora non vengano banditi i concorsi con la cadenza triennale prevista dall’art. 400 del d.lgs. n. 297/1994, come modificato dall’art. 1, comma 113, della stessa legge n. 107/2015, o qualora, pur essendo rispettata la cadenza triennale, non vengano banditi concorsi adeguati (cioè vengano banditi concorsi che non permettono il conseguimento del bene della vita costituito dall’immissione in ruolo).
L’art. 1, comma 113, della legge n. 107/2015 ha infatti modificato il primo periodo del comma 01 dell’art. 400 del d.lgs. n. 297/1994 prevedendo: ‘I concorsi per titoli ed esami sono nazionali e sono indetti su base regionale, con cadenza triennale, per tutti i posti vacanti e disponibili, nei limiti delle risorse
finanziarie disponibili, nonché per i posti che si rendano tali nel triennio. Le relative graduatorie hanno validità triennale a decorrere dall’anno scolastico successivo a quello di approvazione delle stesse e perdono efficacia con la pubblicazione delle graduatorie del concorso successivo e comunque alla scadenza del predetto triennio’.
La cadenza triennale dei concorsi è stata ritenuta misura adeguata rispetto alla sentenza della Corte di giustizia del 26 novembre 2014 resa nelle cause riunite C-22/13, da C-61/13 a C-63/13 e C-418/13, COGNOME e altri, la quale ha statuito: «La clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura nell’allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale, quale quella di cui trattasi nei procedimenti principali, che autorizzi, in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali per l’assunzione di personale di ruolo delle scuole statali, il rinnovo di contratti di lavoro a tempo determinato per la copertura di posti vacanti e disponibili di docenti nonché di personale amministrativo, tecnico e ausiliario, senza indicare tempi certi per l’espletamento di dette procedure concorsuali ed escludendo qualsiasi possibilità, per tali docenti e detto personale, di ottenere il risarcimento del danno eventualmente subito a causa di un siffatto rinnovo».
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 187/2016 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione, dell’art. 4, commi 1 e 11, della legge n. 124/99, nella parte in cui autorizzava, in mancanza di limiti effettivi alla durata massima totale dei rapporti di lavoro successivi, ‘ il rinnovo potenzialmente illimitato di contratti di lavoro a tempo determinato per la copertura di posti vacanti e disponibili di docenti nonché di personale amministrativo, tecnico e ausiliario, senza che ragioni obiettive lo giustifichino’ ed ha rammentato, nell’esercizio dell’inedito ruolo di giudice del rinvio pregiudiziale svolto, come sia indiscutibile che competa al giudice ‘comune’ chiamato ad applicare nel rapporto una sentenza di illegittimità costituzionale di accoglimento di questione afferente la norma applicabile, dare
ingresso allo ‘jus superveniens’ che sia intervenuto (v. anche Cass. da n. 22552/2016 alla n. 22557/2016).
Dalla combinazione dei vari interventi, sia a regime che transitori, effettuati con la legge n. 107/2015, il giudice delle leggi ha desunto l’esistenza ‘in tutti i casi che vengono in rilievo’, di una delle misure rispondenti ai requisiti richiesti dalla Corte di giustizia, individuandole, quanto ai docenti, nelle procedure privilegiate di assunzione che attribuivano a tutto il personale interessato serie ed indiscutibili chances di immissione in ruolo; ha dunque evidenziato che le misure autorizzate dalla normativa comunitaria sono fra loro alternative ed ha per tanto ritenuto sufficiente l’applicazione di una sola di esse.
Ha in particolare richiamato i paragrafi 77 e 79 della sentenza COGNOME in cui si legge rispettivamente : ‘…quando, come nel caso di specie, il diritto dell’Unione non prevede sanzioni specifiche nell’ipotesi in cui vengano nondimeno accertati abusi, spetta alle autorità nazionali adottare misure che devono rivestire un carattere non solo proporzionato, ma anche sufficientemente energico e dissuasivo per garantire la piena efficacia delle norme adottate in applicazione dell’accordo quadro…’; ‘quando si è verificato un ricorso abusivo a una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, si deve poter applicare una misura che presenti garanzie effettive ed equivalenti di tutela dei lavoratori al fine di sanzionare debitamente tale abuso e cancellare le conseguenze della violazione del diritto dell’Unione’, evidenziando che tale sentenza, pur avendo precisato alcune delle misure che possono essere adottate (procedure di assunzione certe, anche nel tempo, e risarcimento del danno), non ne esclude altre, purché rispondenti ai suddetti requisiti.
Ha pertanto evidenziato che è solo una la misura da applicare, purché presenti garanzie effettive ed equivalenti di tutela.
All’indizione corretta dei concorsi è dunque legata la sussistenza di una ragione oggettiva ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a) dell’accordo quadro, nei termini evidenziati dalla Corte di giustizia, secondo cui le esigenze di continuità didattica che inducono ad assunzioni temporanee di dipendenti nel comparto scuola possono costituire una ragione obiettiva ai sensi della suddetta clausola, che giustifica sia la durata determinata dei contratti conclusi con il
personale supplente, sia il rinnovo di tali contratti in funzione delle esigenze di continuità didattica, fatto salvo il rispetto dei requisiti fissati dall’accordo quadro.
Come ritenuto da questa Corte riguardo all’abusiva utilizzazione della contrattazione a termine nei confronti dei docenti di religione (v. Cass. n. 18698/2022), l’abuso lesivo dell’Accordo quadro si verifica qualora l’insegnante sia mantenuto in servizio senza che siano indetti i concorsi di accesso ai ruoli con la cadenza triennale prevista dalla legge senza che, per il radicarsi dell’illecito, vi sia necessità di altra dimostrazione che quella dell’inosservanza dell’obbligo di concorso sancito dalla n ormativa speciale, a definizione del sistema congegnato dal legislatore.
Per il reclutamento dei docenti a tempo indeterminato, l’Amministrazione é tenuta a bandire correttamente i concorsi con cadenza triennale; tali concorsi devono essere idonei a consentire il conseguimento del bene della vita, costituito dall’immissione in ruolo .
Tale idoneità non sussiste qualora le procedure concorsuali, pur bandite con la cadenza triennale prevista dalla legge, non consentano il conseguimento immediato dell’immissione in ruolo dei precari (ad esempio: siano riservate a docenti in possesso dell’abilitazione e non siano state precedute da procedure abilitanti).
Le censure relative alla novità della questione riguardante la rilevanza delle procedure abilitanti e la diversità della causa petendi sono infondate.
Dalle prospettazioni contenute nel primo motivo di ricorso risulta che la Regione nella memoria ex art. 416 cod. proc. civ. aveva dedotto la legittimità dei contratti a tempo determinato e l’insussistenza del danno , non potendo il COGNOME conseguire l’immissione in ruolo con l’inserimento nelle graduatorie ad esaurimento né attraverso i concorsi ordinari, in quanto non era provvisto del titolo abilitante.
La rilevanza della questione dell’insussistenza del titolo abilitante era stata dunque tempestivamente introdotta in giudizio dalla Regione.
Dal primo motivo di ricorso risulta inoltre che solo a fronte di tale eccezione il COGNOME aveva dedotto che per la sua classe di concorso non erano state attivate procedure abilitanti e che la mancanza di abilitazione non poteva
escludere il risarcimento del danno, in quanto non era a lui imputabile; la deduzione del COGNOME è stata dunque svolta in replica all’eccezione tempestivamente sollevata dalla Regione.
Nel rito del lavoro, il divieto di jus novorum in grado di appello, di cui all’art. 437 secondo comma cod. proc. civ. ha ad oggetto le sole eccezioni in senso proprio e non si estende alle eccezioni improprie e alle mere difese, ossia alle deduzioni volte alla contestazione di fatti costitutivi e giustificativi allegati dalla controparte a sostegno della pretesa ovvero alle deduzioni che corroborano sul piano difensivo eccezioni già ritualmente formulate (Cass. n. 20157/2012; Cass. n. 4545/2009).
La deduzione svolta da COGNOME non introduce una nuova causa petendi, costituita dall’abusiva reiterazione di contratti a tempo determinato dall’anno scolastico 20142015 all’anno scolastico 2020 -2021.
La sentenza impugnata, che ha escluso la novità della questione riguardante la rilevanza delle procedure abilitanti ed ha rilevato che per i docenti della classe di concorso B-16 in possesso del solo titolo di studio e non anche dell’abilitazione non vi era la certezza di fruire, in tempi certi e ravvicinati, di un accesso privilegiato al pubblico impiego, ha correttamente ritenuto abusiva la reiterazione dei contratti a tempo determinato stipulati tra il Naccarato e la Regione Valle d’Aosta dall’anno scolastico 2014/2015 all’anno scolastico 2020/2021.
11. Il terzo motivo è infondato.
In ordine agli effetti della stabilizzazione, vanno estesi alla fattispecie in esame i principi espressi da questa Corte riguardo all’abusiva utilizzazione della contrattazione a termine nei confronti dei docenti di religione (v. Cass. n. 18698/2022; Cass. n. 10455/2024), secondo cui il diritto al risarcimento del danno cd. eurounitario e del maggior danno eventualmente sofferto restano indifferenti all’eventuale successiva immissione nel ruolo dei docenti a tempo indeterminato mediante concorso e non a seguito di procedure connotate da automaticità (Cass. n. 14815/2021).
Non rilevano dunque la qualificazione del concorso come ‘straordinario’, la dichiarata finalità di superare il precariato, né la previsione di una sola prova
scritta su quesiti a risposta multipla (rispetto alle due prove scritte e alla prova orale previste per il concorso ordinario), essendo dirimente il carattere ‘automatico’ della procedura.
In base alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, infatti, perché una procedura concorsuale sia idonea ad assicurare al lavoratore precario il conseguimento del bene della vita costituito dall’immissione in ruolo si deve trattare di una procedura nella quale sia rinvenibile una stretta correlazione tra l’abuso commesso dall’Amministrazione e la stabilizzazione dal dipendente (Cass. n. 15240 del 2021 e molti seguiti conformi, con richiami a Corte di giustizia UE 19 marzo 2020, cause riunite C-103/18 COGNOME e C-429/18 COGNOME e a.). Correlazione che, in linea generale, presuppone, sotto il profilo soggettivo, che la stabilizzazione avvenga nei ruoli dell’ente pubblico che ha posto in essere la condotta abusiva e, sotto il profilo oggettivo, che essa sia l’effetto diretto ed immediato dell’abuso, condizione quest’ultima che non ricorre quando l’assunzione a tempo indeterminato avvenga all’esito di una procedura concorsuale ordinaria, ancorché interamente riservata ai dipendenti già assunti a termine (principi recentemente ribaditi da Cass. n. 35145 del 2023). Procedura concorsuale ordinaria e meritocratica (anche se finalizzata al superamento del precariato) quale è quella grazie al cui superamento il COGNOME era stato immesso in ruolo.
La Corte territoriale ha accertato che il COGNOME è stato immesso in ruolo per effetto del superamento di una procedura su base meritocratica, accessibile anche a personale a tempo indeterminato.
L’art. 1, comma 1, d.l. n. 126/2019, ha infatti autorizzato il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca è a bandire, contestualmente al concorso ordinario per titoli ed esami di cui all’art. 17, comma 2, lett. d) del d.lgs. n. 59/2017, entro il 30 aprile 2020, una procedura straordinaria per titoli ed esami per docenti della scuola secondaria di primo e di secondo grado, finalizzata all’immissione in ruolo nei limiti di cui ai commi 2, 3 e 4 del medesimo articolo, procedura altresì finalizzata all’abilitazione all’insegnamento nella scuola secondaria, alle condizioni previste dal medesimo articolo.
Il successivo comma 4 ha previsto: ‘Annualmente, completata l’immissione in ruolo, per la scuola secondaria, degli aspiranti iscritti nelle graduatorie ad esaurimento e nelle graduatorie di merito dei concorsi per docenti banditi negli anni 2016 e 2018, per le rispettive quote, e disposta la confluenza dell’eventuale quota residua delle graduatorie ad esaurimento nella quota destinata ai concorsi, all’immissione in ruolo della procedura straordinaria e del concorso ordinario di cui al comma 1 è destinato rispettivamente il 50 per cento dei posti così residuati, fino a concorrenza del numero di 24.000 posti per la procedura straordinaria. L’eventuale posto dispari è destinato alla procedura concorsuale ordinaria’, mentre il comma 5 ha stabilito che la partecipazione alla procedura è riservata ai soggetti, anche di ruolo, che congiuntamente:’ a) tra l’anno scolastico 2008/2009 e l’anno scolastico 2019/2020 hanno svolto, su posto comune o di sostegno, almeno tre annualità di servizio, anche non consecutive, valutabili come tali ai sensi dell’articolo 11, comma 14, della legge 3 maggio 1999, n. 124.(…); b) hanno svolto almeno un anno di servizio , tra quelli di cui alla lettera a), nella specifica classe di concorso o nella tipologia di posto per la quale si concorre; c) posseggono, per la classe di concorso richiesta, il titolo di studio di cui all’art. 5 del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 59, fermo restando quanto previsto dall’articolo 22, comma 2, del predetto decreto (…)’.
Il comma 9 ha previsto una prova scritta, da svolgersi con sistema informatizzato, composta da quesiti a risposta multipla, la formazione di una graduatoria di vincitori sulla base del punteggio riportato nella prova scritta di cui al comma 11, lettera c), nel limite dei posti di cui al comma 2, l’immissione in ruolo nei limiti dei posti annualmente autorizzati ai sensi del comma 4.
La sentenza impugnata, che ha escluso l’efficacia sanante della stabilizzazione del COGNOME, in quanto avvenuta all’esito di una procedura concorsuale su base meritocratica, accessibile anche a personale a tempo indeterminato , è dunque corretta.
Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, dell’obbligo, per parte ricorrente, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
Considerato che il giudizio non viene concluso in conformità alla proposta di definizione anticipata e che non sussiste dunque il presupposto indicato dall’art. 380 bis, ultimo comma, cod. proc. civ., non trovano applicazione il terzo e il quarto comma dell’articolo 96 cod. proc. civ.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per esborsi ed in € 3.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali nella misura del 15% e accessori di legge;
dà atto della sussistenza dell’obbligo per parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della Corte