Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20333 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 20333 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 21/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 14596-2021 proposto da:
COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME nella qualità di eredi di COGNOME NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrenti principali –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME
– controricorrente –
ricorrente incidentale nonché contro
COGNOME NOME COGNOME
ricorrente principali -controricorrenti incidentali avverso la sentenza n. 2613/2020 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 27/11/2020 R.G.N. 4109/2017; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/05/2025 dal Consigliere Dott. NOMECOGNOME
Oggetto
Accertamento rapporto di lavoro subordinato
R.G.N. 14596/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 14/05/2025
CC
RILEVATO CHE
la Corte di Appello di Roma, con la sentenza impugnata, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha accertato che tra NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE erano intercorsi rapporti di lavoro subordinato, sino al 31 dicembre 2013; ha dichiarato inammissibili le domande di condanna dell’appellata al pagamento dei contributi previdenziali ed alla restituzione di quelli fiscali e di natura tributaria versati in relazione all’apparente rapporto autonomo; ha respinto ogni altra domanda di parte appellante, compensando integralmente le spese del doppio grado;
la Corte, per quanto qui rilevi, ha parzialmente accolto l’appello proposto dagli eredi della COGNOME ritenendo, in difformità dal primo giudice, raggiunta la prova dell’esistenza di un vincolo di subordinazione tra la società e la loro dante causa; per la Corte ‘di conseguenza deve trovare accoglimento la domanda di accertamento dell’esistenza della natura subordinata dei rapporti di lavoro svoltisi tra le parti, a decorrere dalla data di stipulazione del primo dei contratti di collaborazione autonoma, e coincidenti con i periodi indicati nei singoli contratti di collaborazione’;
tuttavia, respinta l’eccezione di decadenza ex art. 32 l. n. 183 del 2010, la Corte ha rilevato che ‘l’odierna appellante non ha impugnato alcun licenziamento’, né ‘ha impugnato in alcun modo i termini apposti ai singoli contratti di collaborazione coordinata, essendosi limitata ad affermare nel ricorso introduttivo che una volta accertata la natura subordinata del rapporto, questo non può considerarsi effettivamente concluso’; ha chiosato: ‘nessuna specifica doglianza è stata formulata in relazione ai termini apposti a ciascuno dei contratti,
con la conseguenza che ogni rapporto non può dirsi certamente proseguito successivamente alla scadenza del termine apposto, e quindi dopo la scadenza del termine apposto all’ultimo dei contratti di collaborazione’;
‘oltretutto ha aggiunto la Corte territoriale -dall’esame delle comunicazioni inviate dalla COGNOME alla RAGIONE_SOCIALE non emerge alcuna offerta delle proprie energie lavorative’, con la conseguenza che ‘non solo il rapporto deve comunque ritenersi cessato alla data del 31.12.2013, ma in ogni caso la lavoratrice non ha diritto alle retribuzioni asseritamente maturate successivamente alla suddetta data, nei limiti dedotti nel ricorso (ossia tutte le retribuzioni maturate nell’anno 2014) con conseguente rigetto di tutte le domande di condanna al pagamento delle retribuzioni ed al riconoscimento dell ‘anzianità pregressa’;
infine, la Corte romana ha affermato che ‘le motivazioni di cui sopra determinano altresì l’assorbimento delle difese dell’appellata ed il rigetto della restante parte della domanda’;
per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso i soccombenti con cinque motivi; ha resistito la società intimata con controricorso, contenente impugnazione incidentale condizionata affidata ad un motivo; ad essa hanno resistito gli eredi con controricorso;
la società ha comunicato memoria;
all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;
CONSIDERATO CHE
i motivi di ricorso principale possono essere come di seguito sintetizzati;
1.1. il primo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2094, 1414 e 1424 c.c.; si critica diffusamente la sentenza impugnata per avere ritenuto che la parte appellante avrebbe dovuto impugnare ‘i termini apposti ai singoli contratti di collabora zione coordinata’, traendone l’errata conseguenza ‘ che ogni rapporto non può dirsi certamente proseguito successivamente alla scadenza del termine apposto, e quindi dopo la scadenza del termine apposto all’ultimo dei contratti di collaborazione’ ;
1.2. il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 115 c.p.c., lamentando che ‘alcun contratto di collaborazione coordinata è stata oggetto del giudizio, essendo la domanda di accertamento riferita alla natura, di fatto, subordinata del rapporto di lavoro intercorso tra le parti, solo formalmente qualificato autonomo, nei dodici contratti sottoposti al vaglio del giudice’;
1.3. il terzo mezzo deduce la violazione dell’art. 132, n. 4, c.p.c., ravvisando una insanabile contraddizione nella motivazione impugnata, laddove d’un canto riconosce l’inapplicabilità della decadenza ex art. 32 l. n. 183 del 2010, ma, d’altro canto, rigetta le pretese della lavoratrice affermando che ‘nessuna specifica doglianza in relazione ai termini apposti a ciascuno dei contratti’ era stata proposta;
1.4. col quarto motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1219, 1223, 1324 e 1362 e ss. c.c. per avere escluso che ‘la rivendicazione da parte della dott.ssa COGNOME dell’assunzione a tempo indeterminato inoltrata ancor prima della cessazione di fatto del rapporto, nonché la successiva diffida con la quale sono stati chiesti la ‘regolarizzazione’ della posizione lavorativa e ‘l’inserimento nell’elenco del personale impiegatizio o direttivo da ricollocare
nella società RAGIONE_SOCIALE concretassero una offerta di energie lavorative e una messa in mora;
1.5. l’ultimo motivo eccepisce una omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. per avere la sentenza impugnata ‘omesso di attribuire l’inquadramento contrattuale richiesto dalla originaria ricorrente’;
con il ricorso incidentale condizionato la società eccepisce l’omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 c.p.c. ‘in ordine all’eccezione di applicabilità ai rapporti di lavoro riqualificati del solo art. 2126 c.c., stante la natura di società c.d. in house della Regione Lazio RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE
il Collegio reputa che il ricorso principale sia da accogliere nei sensi espressi dalla motivazione che segue;
3 . 1. il primo e il terzo motivo, congiuntamente esaminabili per connessione, sono fondati;
risulta pacificamente come, con l’atto introduttivo del giudizio, la COGNOME avesse chiesto al giudice adito dichiararsi l’intercorrenza perdurante di ‘un unico rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dal 1° febbraio 2007, oppure da quella diversa data che sia accertata in corso di causa’, con l’ordine alla convenuta di ripristinare la concreta funzionalità dell’ ‘accertato ra pporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato’ e, previa declaratoria del livello di inquadramento, condanna al pagamento, a titolo retributivo o, in subordine, risarcitorio, della somma di euro 45.447,05 ‘per il periodo fra il 1° gennaio 2014 ed il 30 novembre 2014, oltre a quanto dovuto per il periodo successivo e fino al materiale ripristino del rapporto’;
respinto il ricorso in primo grado per mancanza di prova della subordinazione, le originarie conclusioni venivano reiterate in appello, anche in seguito all’intervento degli eredi;
ciò posto, al cospetto di una domanda di accertamento di un unico rapporto di lavoro subordinato ex art. 2094 c.c., sin dall’instaurazione del primo rapporto di collaborazione e perdurante anche al momento dell’atto introduttivo del giudizio, non può esser e condiviso l’assunto della Corte territoriale secondo il quale, nonostante la dichiarata inapplicabilità del termine di decadenza ex art. 32 l. n. 183 del 2010, fosse però necessario impugnare ‘i termini apposti ai singoli contratti di collaborazione coor dinata’;
ciò in contrasto con quanto ancora di recente ribadito da questa Corte di legittimità (v. Cass. n. 18210 del 2024) secondo cui, nel caso di domanda di accertamento della natura subordinata di un rapporto di lavoro avente veste formale di contratto di lavoro autonomo, non solo non trova applicazione il regime decadenziale ex art. 32 l. n. 183 del 2010, ma la riqualificazione operata dal giudice si caratterizza come ricostruzione della realtà del rapporto, con l’effetto di travolgere anche le scadenze finali previste nel primo come nei successivi contratti di collaborazione autonoma;
si tratta, infatti, di “rilettura” complessiva del rapporto, nei suoi elementi di effettività, cui il giudice, a seguito di specifica domanda giudiziale, perviene, ritenendo che esso, dietro lo schermo di una configurazione (come di lavoro autonomo) soltanto formale, sia invece da ricondursi al tipo del lavoro subordinato; è questa un’operazione che non ha nulla a che vedere con il recesso del committente nei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa ed è di tutt’altra natura rispetto all’accertamento della nullità di una clausola contrattuale di durata, poiché tale accertamento lascia integro il rapporto, così come definito e voluto dalle parti, sebbene venga a privarlo del termine finale inizialmente (ma
illegittimamente) pattuito; invece, l’operazione di riqualificazione e di conseguente trasformazione del rapporto, da lavoro autonomo a lavoro subordinato, si caratterizza per un’attività di emersione della realtà del rapporto medesimo, nel suo concreto atteggiarsi, con l’effetto di travolgere anche le scadenze finali previste nel primo come nei successivi contratti (cfr. Cass. n. 11424 del 2021 e Cass. n. 17845 del 2023);
pertanto, essendo la stessa Corte territoriale ad aver accertato la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato sin dal primo contratto formalmente autonomo, la stipulazione dei successivi contratti non poteva incidere sulla già intervenuta trasformazione del rapporto, né risultava necessario -come invece ritenuto dalla sentenza gravata -impugnare ‘i termini apposti ai singoli contratti di collaborazione coordinata’;
3.2. risulta fondato anche il quarto motivo del ricorso principale; in esso sono trascritti i contenuti di entrambe le comunicazioni inviate dalla RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE, sulla base delle quali la Corte di Appello ha negato che la dipendente avesse offerto alla società le proprie energie lavorative e messo in mora la parte datoriale;
a ragione, tuttavia, la difesa degli eredi ha evidenziato la violazione dei canoni legali di interpretazione della volontà negoziale, a partire dal criterio letterale delle espressioni utilizzate, in connessione col principio secondo cui l’atto di costituzione in mora non è soggetto all’uso di formule sacramentali, atteso che nella motivazione gravata non si spiega perché una richiesta di ‘assunzione con contratto di lavoro a tempo indeterminato’, con conseguente diffida alla ‘regolarizzazione’ nonché all’ ‘inserimento nell’elenco del personale impiegatizio o direttivo da ricollocare’ nella società, non rappresentassero atti idonei a configurare una messa a
disposizione delle energie lavorative e a manifestare la volontà di costituire in mora il destinatario di quegli atti;
3.3. infine, va accolta la censura contenuta nel quinto motivo del ricorso principale, con cui si eccepisce la violazione dell’art. 112 c.p.c.;
l’art. 112 c.p.c., rubricato ‘corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato’, governa il rapporto tra le istanze delle parti e la pronuncia del giudice e l’affermazione della violazione di tale disposizione processuale, per omesso esame di una domanda o per la pronuncia su di una domanda non proposta, denuncia un error in procedendo del giudice di merito che deve essere fatto valere ai sensi del n. 4 dell’art. 360 c.p.c.;
nella specie, dalle conclusioni dell’atto introduttivo del giudizio, riproposte in grado d’appello, si era chiesto all’adito giudice di ‘dichiarare il diritto di NOME COGNOME in base alle mansioni espletate, all’inquadramento nella categoria Qu adri (oppure quella diversa categoria ritenuta di giustizia), 3° livello retributivo (oppure in quel diverso livello che sarà ritenuto di giustizia), secondo la classificazione del personale’ applicabile; la Corte territoriale, benché avesse riconosciuto la natura subordinata del rapporto di lavoro, non si è pronunciata su tale capo autonomo della domanda, neanche per motivare un eventuale rigetto, per cui la sentenza impugnata deve essere cassata anche per questo vizio processuale, onde consentire al giudice del rinvio indicato in dispositivo di pronunciarsi su tale richiesta;
dai superiori accoglimenti discende, invece, l’assorbimento del secondo motivo di gravame, dovendo la Corte del rinvio procedere a nuovo esame;
l’accoglimento del gravame principale, consente lo scrutinio del ricorso incidentale condizionato della società, che pure
risulta fondato quanto alla denunciata omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. ‘in ordine all’eccezione di applicabilità ai rapporti di lavoro riqualificati del solo art. 2126 c.c., stante la natura di società c.d. in house della Regione Lazio di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE
infatti, nella memoria di costituzione in appello, la società aveva ritualmente riproposto, ai sensi dell’art. 346 c.p.c., l’eccezione secondo la quale la domanda avversaria ‘di accertamento della perdurante esistenza del rapporto e/o conversione del medes imo’, così come quella volta al risarcimento del danno, avrebbero dovuto essere pregiudizialmente respinte ‘attesa la natura della società appellata (e prima ancora della incorporata RAGIONE_SOCIALE, che opera in house providing della Regione Lazio’; la Corte territoriale ha omesso di pronunciarsi su tale questione e il rinvio disposto in conseguenza dell’accoglimento del ricorso principale consentirà al giudice del rinvio di delibare anche tale eccezione;
conclusivamente, vanno accolti sia il ricorso principale che quello incidentale, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio al giudice indicato in dispositivo che si uniformerà a quanto statuito, procedendo a rinnovato esame della controversia e provvedendo anche alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie entrambi i ricorsi, cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure ritenute fondate e rinvia alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.