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Ripristino del rapporto: dove deve avvenire?

Un lavoratore, dopo aver ottenuto la conversione di contratti di somministrazione in un rapporto a tempo indeterminato, è stato reintegrato in una sede diversa e più lontana. La Corte di Cassazione ha confermato la condanna dell’azienda al risarcimento del danno, chiarendo che il ripristino del rapporto di lavoro deve avvenire nel luogo in cui il dipendente prestava la sua ultima attività. Qualsiasi successivo trasferimento deve essere giustificato da comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive, la cui prova spetta al datore di lavoro.

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Ripristino del rapporto: Dove Deve Essere Reintegrato il Lavoratore?

Quando un contratto di lavoro viene dichiarato illegittimo e si procede al ripristino del rapporto, una domanda cruciale sorge spontanea: in quale sede operativa deve essere ricollocato il lavoratore? La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, fornisce una risposta chiara e tutela i diritti del dipendente, stabilendo un principio fondamentale in materia di trasferimento e reintegra. Il caso analizzato riguarda un autista che, dopo anni di contratti di somministrazione illegittimi, si è visto riassumere in una sede molto distante da quella originaria, subendo notevoli disagi. Vediamo nel dettaglio la vicenda e i principi affermati dai giudici.

I Fatti del Caso: Dalla Somministrazione Illegittima al Trasferimento

La vicenda ha origine da una serie di contratti di somministrazione intercorsi tra un’azienda di trasporti e un lavoratore, impiegato come autista, per un periodo di otto anni. A seguito di un’azione legale, il Tribunale ha accertato l’illegittimità di tali contratti, disponendo la loro conversione in un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

Al momento di dare esecuzione alla sentenza, l’azienda ha riammesso in servizio il lavoratore non nella sede dove aveva sempre operato (Giardini Naxos), ma in un’altra ben più distante (Tortorici). Il lavoratore ha quindi agito nuovamente in giudizio per contestare quello che, di fatto, era un trasferimento unilaterale, chiedendo il risarcimento dei danni subiti a causa del maggior aggravio di spese e tempo per gli spostamenti.

La Corte d’Appello ha dato ragione al dipendente, condannando l’azienda a un cospicuo risarcimento, quantificato in via equitativa. Secondo i giudici di secondo grado, la reintegra avrebbe dovuto avvenire nel medesimo luogo in cui il lavoratore aveva prestato da ultimo la sua attività lavorativa. L’azienda, insoddisfatta, ha proposto ricorso in Cassazione.

La Decisione della Corte sul Ripristino del Rapporto

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso dell’azienda, confermando la decisione della Corte d’Appello. Gli Ermellini hanno ribadito un principio cardine: la ricostituzione del rapporto di lavoro, a seguito della declaratoria di nullità di contratti illegittimi, deve avvenire negli esatti termini e condizioni in cui il rapporto si era svolto fino all’illegittima cessazione.

Questo significa che il lavoratore ha diritto a essere reinserito nella stessa posizione e, soprattutto, nello stesso luogo di lavoro. L’assegnazione a una sede diversa costituisce un illegittimo esercizio dello jus variandi da parte del datore di lavoro.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha smontato punto per punto le difese dell’azienda.

In primo luogo, ha chiarito che il ripristino del rapporto di lavoro deve garantire un effetto concreto. Questo si traduce nell’obbligo per il datore di lavoro di ricollocare il dipendente nella sede originaria. Qualsiasi eventuale e successivo trasferimento è ammissibile solo se rispetta le rigide condizioni previste dall’art. 2103 del Codice Civile, ovvero la sussistenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive.

Nel caso di specie, l’azienda non ha fornito alcuna prova che la sede originaria fosse stata soppressa o che esistessero valide ragioni per spostare il lavoratore. L’onere di dimostrare la legittimità del trasferimento grava interamente sul datore di lavoro, che non può limitarsi ad affermare che l’unica sede disponibile era quella più lontana.

In secondo luogo, la Corte ha respinto la tesi secondo cui il lavoratore avrebbe dovuto provare il danno subito. I giudici hanno ritenuto corretta la liquidazione equitativa operata dalla Corte d’Appello, basata su criteri oggettivi e controllabili come il tempo e i chilometri percorsi in più dal dipendente. Questo tipo di valutazione è ammesso quando, pur essendo certa l’esistenza del danno, è difficile quantificarne l’esatto ammontare.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche per Datori di Lavoro e Lavoratori

Questa ordinanza rafforza la tutela del lavoratore in caso di reintegra. Le conclusioni che possiamo trarre sono le seguenti:

1. Luogo della Reintegra: Il ripristino del rapporto deve avvenire, di norma, presso l’ultima sede di servizio del lavoratore.
2. Onere della Prova: Spetta al datore di lavoro, e non al dipendente, dimostrare l’impossibilità di reintegrare il lavoratore nella sede originaria e la sussistenza di valide ragioni legali che giustifichino un trasferimento.
3. Risarcimento del Danno: Un trasferimento illegittimo dopo la reintegra dà diritto al lavoratore a un risarcimento per i disagi subiti, che può essere determinato dal giudice anche in via equitativa, considerando i costi e i tempi di viaggio aggiuntivi.

In caso di conversione di un contratto illegittimo in un rapporto a tempo indeterminato, dove deve avvenire il ripristino del rapporto di lavoro?
Il ripristino deve avvenire nello stesso luogo in cui il lavoratore svolgeva da ultimo la sua prestazione lavorativa, agli stessi termini e condizioni esistenti prima dell’illegittima cessazione.

Il datore di lavoro può trasferire il dipendente in un’altra sede subito dopo averlo reintegrato?
Sì, ma solo nel rispetto delle norme di legge (art. 2103 c.c.) e della contrattazione collettiva. Il datore di lavoro deve dimostrare la sussistenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive che giustifichino il trasferimento.

A chi spetta l’onere di provare la legittimità di un trasferimento di sede del lavoratore?
L’onere della prova grava interamente sul datore di lavoro. È l’azienda che deve dimostrare le ragioni tecniche, organizzative e produttive che rendono necessario il trasferimento e l’impossibilità di mantenere il lavoratore nella sede originaria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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