Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 9762 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 9762 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 14/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 23723-2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, NOME COGNOME elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che li rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
I.T.L. – ISPETTORATO TERRITORIALE DEL RAGIONE_SOCIALE DI CHIETI PESCARA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla INDIRIZZO
– controricorrente –
Oggetto
OPPOSIZIONE
ORDINANZA INGIUNZIONE
LAVORO SUBORDINATO LIMITE ORARIO RIPOSO
R.G.N. 23723/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 04/03/2025
CC
avverso la sentenza n. 281/2021 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 15/03/2021 R.G.N. 349/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/03/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di L’Aquila, confermando il provvedimento del giudice di primo grado, ha respinto l’opposizione ad ordinanza ingiunzione proposta da NOME COGNOME ed RAGIONE_SOCIALE nei confronti dell’Ispet torato del lavoro di Chieti il quale aveva rilevato -tramite verbale ispettivo notificato il 28.9.2016 – la violazione dell’art. 7 del d.lgs. n. 66 del 2003 per il mancato rispetto del limite minimo di ore di riposo consecutivo (11 ore consecutive nell’ar co delle 24 ore) per alcuni dipendenti della società.
La Corte territoriale, esclusa la ricorrenza di vizi formali della ordinanza ingiunzione (che richiamava i verbali di ispezione dell’Ispettorato territoriale, i quali davano atto delle ragioni e delle norme contestate, consentendo sia l’esatta individua zione della violazione contestata sia l’esercizio del diritto di difesa, ordinanza che non era tenuta all’indicazione del Responsabile del procedimento, in ottemperanza alla legge n. 689 del 1981), ha ritenuto dimostrato, per 15 lavoratori, il mancato rispetto del limite minimo di ore di riposo consecutivo in base alla disamina dei cartellini marcatempo e alle dichiarazioni rilasciate agli Ispettori, anche alla luce del Regolamento aziendale (che prevedeva l’osservanza, da parte dei dipendenti, di determina ti comportamenti in entrata ed in uscita in modo che detti cartellini fossero aderenti alla realtà).
Avverso tale sentenza la società ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, illustrati da memoria. L’Ispettorato ha resistito con controricorso.
Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
CONSIDERATO CHE
Con il primo ed il secondo motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 3, primo comma, e 7 della legge n. 241 del 1990 avendo, la Corte territoriale, errato nel considerare il verbale ispettivo (e non l’ordinanza ingiunzione) sufficientemente motivato e quindi valido (risolvendosi in considerazioni personali degli Ispettori, prive di qualsivoglia concreto elemento di riscontro) nonché sottratto all’obbligo di indicazione del Responsabile del procedimento amministrativo.
Con il terzo motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 345 c.p.c. avendo, la Corte territoriale, errato nel ritenere la circostanza di fatto dell’orario di lavoro osservato dai dipendenti (orario di lavoro frazionato nella giornata, che quindi esimeva dal rispetto del limite minimo di ore di riposo consecutivo), indicato dallo stesso verbale di accertamento, come nuova eccezione e l’impostazione difensiva sollevata dai ricorrenti soltanto in grado di appello.
Con il quarto motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art 7, comma 1, del d.lgs. n. 66 del 2003, avendo, la Corte territoriale, trascurato che la norma nel prevedere in caso di turnazione un periodo di riposo consecutivo di 11 ore tra una prestazione lavorativa ed un’altra si riferisce esclusivamente a prestazioni lavorative ad orario pieno di 8 ore giornaliere.
Con il quinto motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 3, violazione e falsa
applicazione degli artt. 1362 e segg. c.c. nonché del CCNL Commercio la CDA avrebbe errato nell’aver omesso di effettuare l’indagine in ordine alla volontà contrattuale espressa in tali disposizioni collettive con riguardo al calcolo della retribuzione men sile dei dipendenti che non prevedeva l’arrotondamento dell’orario di lavoro in periodi inferiori ai 30 minuti, come poteva evincersi dal planning settimanale esposto nei punti vendita.
I primi due motivi del ricorso, da trattare congiuntamente in quanto concernono i verbali ispettivi e l’ordinanza ingiunzione, non sono fondati.
5.1. Questa Corte ha più volte ribadito che in tema di sanzioni amministrative disciplinate dalla legge n. 689 del 1981, l’annullamento dell’ordinanza – ingiunzione può essere pronunciata per violazione di legge anche nel caso in cui si accerti la sussistenza di vizi formali, e cioè derivanti da inosservanza delle regole del procedimento, non potendo però ricomprendersi tra queste quelle stabilite dalla legge n. 241 del 1990 in materia di diritto di accesso ai documenti amministrativi e di disciplina del procedimento amministrativo, le quali non sono applicabili alle fattispecie disciplinate dalla legge n. 689 del 1981, che costituisce legge speciale e, quindi, prevale sulla legge generale in materia di procedimento amministrativo, risultando peraltro previste garanzie di livello non inferiore a quelle stabilite da quest’ultima legge (Cass. n. 27681 del 2005; in senso conforme sulla natura di carattere specialistico in ordine alla procedura ed alle regole da seguire per l’impugnazione delle ordinanzeingiunzioni nonché sulla previsione di garanzie non inferiori al minimum previsto dalla legge n. 241 cit., cfr., tra le tante, Cass. n. 25885 del 2009; Cass. n. 10363 del 2010; Cass. nn. 15076 e 17756 del 2014).
5.2. La Corte territoriale, esaminando sia l’ordinanza ingiunzione sia i verbali in essa richiamati, si è correttamente conformata ai principi innanzi richiamati, rilevando che i destinatari dell’accertamento erano stati compiutamente informati, grazie ai verbali ispettivi, ‘ delle ragioni e delle norme contestate, nonché dei comportamenti illegittimi loro ascritti, mettendo le controparti in condizione di poter chiaramente comprendere la violazione contestata e quindi di predisporre le proprie difese e cont rodeduzioni’.
Il terzo ed il quarto motivo di ricorso sono inammissibili.
6.1. In ossequio al sistema di preclusioni e decadenze che connota il processo del lavoro, gli opponenti avevano l’onere di allegare tutte le circostanze di fatto nel ricorso introduttivo del giudizio; inoltre, non rileva che nel fascicolo del primo grado di giudizio fossero stati allegati -dall’Ispettorato territoriale i verbali ispettivi (dai quali, ad avviso degli ingiunti, emergeva il rispetto di un orario di lavoro frazionato) essendo consolidato il principio di diritto secondo cui, non potendo la produzione documentale equivalere di per sé all’allegazione del fatto di cui il documento è supporto narrativo, non si dà per il giudice alcun onere di esame e ancora meno di considerazione ai fini della decisione di documenti relativi a fatti che non siano stati oggetto di tempestiva e compiuta allegazione (così da ult. Cass. n. 13625 del 2019, 9646 del 2022 e 1084 del 2023, Cass. 14450/2024).
6.2. La Corte territoriale, conformandosi ai principi innanzi esposti, ha correttamente ritenuto tardiva la prospettiva di fatto avanzata solamente in grado di appello.
Il quinto motivo di ricorso è inammissibile.
7.1. La Corte territoriale ha ritenuto, secondo un apprezzamento del quadro probatorio acquisito e insindacabile
in questa sede di legittimità (salvo si invochi la violazione dell’art. 116 c.p.c. denunciando la pretesa del giudice di merito di attribuire alle prove un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria come, ad esempio, valore di prova legale), che risultava provata la violazione dell’art. 7 del d.lgs. n. 66 del 2003, ed ha aggiunto ‘ a nulla valendo invece la tabella dei turni di lavoro, che non potevano attestare alcunché in ordine agli orari in cui effettivamente i singoli lavoratori iniziavano e finivano di lavorare’ (pag. 5 della sentenza impugnata).
7.2. La censura formulata come violazione o falsa applicazione di legge mira, in realtà, alla rivalutazione dei fatti e del compendio probatorio operata dal giudice di merito non consentita in sede di legittimità.
7.3. Inoltre, la doglianza appare nuova e, perciò, inammissibile, non essendo stata la questione dell’interpretazione del CCNL (di cui si riporta una clausola, di cui non è riportata l’enumerazione, e che imporrebbe un accertamento di fatto sul computo del l’orario di lavoro) trattata nella decisione impugnata né avendo indicato parte ricorrente i tempi e i modi della loro tempestiva introduzione nel giudizio di primo grado e, quindi, della loro devoluzione al Giudice del gravame (cfr. Cass. n. 20694 del 2018, Cass. n. 18018 del 2024).
In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.
Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano
in euro 2.500,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, de ll’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 4 marzo 2025.