Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 33596 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 33596 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 24172-2019 proposto da:
NOME COGNOME NOME, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
LIBERO CONSORZIO COMUNALE DI ENNA, (già PROVINCIA REGIONALE DI ENNA), in persona del Commissario Straordinario pro tempore , elettivamente domiciliato presso l’indirizzo PEC dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 111/2019 della CORTE D’APPELLO di CALTANISSETTA, depositata il 02/04/2019 R.G.N. 230/2016;
Oggetto
Impiego pubblico Ripetizione indebito
R.G.N. 24172/2019
COGNOME
Rep.
Ud. 08/11/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 08/11/2024 dal Consigliere Dott. COGNOME
RILEVATO CHE:
la causa verte sull’azione di ripetizione di indebito avviata dalla Provincia Regionale di Enna (oggi Libero Consorzio Comunale) nei confronti di NOME COGNOME alla quale il datore di lavoro sulla base della legge reg. Sicilia n. 2/2002 aveva attribuito, con deliberazione del 6 novembre 2002, la qualifica di ‘ redattore capo ‘ e riconosciuto il trattamento retributivo previsto dal c.c.n.l. di lavoro giornalistico; l’art. 127 della richiamata legge regionale, al comma 2, era stato dichiarato incostituzionale con sentenza n. 189/2007 e pertanto la Provincia aveva revocato la precedente deliberazione, inquadrato la dipendente nella categoria D, posizione economica D3, del c.c.n.l. del Comparto regioni e autonomie locali, preteso la restituzione delle somme corrisposte (nel periodo ottobre 2002/luglio 2009) perché non dovute;
il Tribunale di Enna aveva rigettato il ricorso della Provincia volto alla ripetizione delle somme corrisposte (euro 54.373,65) sulla base dell’inquadramento D3 (periodo 1.10.2002/8.7.2009) e, in accoglimento della riconvenzionale della lavoratrice, aveva dichiarato il diritto dell’Accurso a mantenere la qualifica e il trattamento retributivo, ma la sentenza era stata successivamente riformata dalla Corte d’appello di Caltanissetta che, a fondamento della pronuncia, aveva richiamato la giurisprudenza di legittimità -e, segnatamente, Cass. n. 488 dell’11.1.2017 -, rilevando che l’accordo collettivo del 24 ottobre 2007 av eva subordinato,
all’ art. 2 comma 3, la sua operatività alla stipulazione della contrattazione integrativa aziendale volta a verificare la compatibilità della disciplina di livello superiore alla specificità dell’ente territoriale (art. 40 del d.lgs. n. 165/01), sicché, in assenza di detta contrattazione integrativa, il diverso inquadramento rivendicato di redattore capo non poteva essere riconosciuto;
la Corte nissena aveva aggiunto che si dovevano nutrire dubbi sulla validità dell’accordo regionale 24.10.2007 che, avendo natura di contratto integrativo, avrebbe potuto intervenire ex art. 40 comma 3 del d.lgs. n. 165/2001 solo se autorizzato dal contratto collettivo nazionale stipulato dall’Aran;
trattandosi di pubblico impiego privatizzato, la Corte territoriale aveva escluso rilevanza della buona fede della percipiente, che poteva venire al più in considerazione ai soli fini della sola quantificazione degli interessi;
avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione NOME COGNOME con quattro motivi, illustrati da memoria, cui si oppone con controricorso assistito da memoria la Provincia Regionale di Enna.
CONSIDERATO CHE:
il ricorso è articolato in quattro motivi:
con il primo si deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 9, comma 5, della legge n. 150/2000, dell’art. 127 comma 1 della legge reg. Sicilia n. 2/2002, degli artt. 2, 3 e 6 dell’Accordo collettivo del 24 ottobre 2007, in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ.;
premesso che la legge 7.6.2000 n. 150 consente l’intervento di una speciale area di contrattazione per i dipendenti degli enti
locali assegnati agli uffici stampa, la ricorrente rileva che del potere previsto dal legislatore nazionale quello regionale si era avvalso, prevedendo, con l’art. 127, comma 1, della l egge reg. n. 2/2002, che l’individuazione e la regolamentazione dei profili professionali sarebbero state affidate alla contrattazione collettiva da svolgersi presso l’assessorato regionale «in osservanza e nel rispetto del contratto collettivo giornalistico FNSI-FIEG»; l’accordo collettivo del 24 ottobre 2007, quindi, era stato sottoscritto sulla base della norma in parola, non interessata dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale;
si addebita, quindi, alla Corte territoriale di non avere tenuto conto di tutte le clausole dell’accordo medesimo e in particolare della disposizione transitoria dettata dall’art. 6, tesa a salvaguardare il mantenimento dei profili professionali nelle more acquisiti dal personale giornalistico di ruolo presso le amministrazioni pubbliche territoriali della regione siciliana, in attesa che intervenisse la contrattazione integrativa decentrata;
1.1 il motivo è inammissibile per le ragioni già indicate da Cass. n. 24701/2021, pronuncia inerente proprio all’accordo in parola, perché la censura sostanzialmente si incentra sulla interpretazione di una contrattazione di ambito regionale, della quale inammissibilmente è denunciata la violazione ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ.;
come precisato nella richiamata pronuncia, «l’esegesi del contratto collettivo di ambito territoriale è riservata al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale o per vizi della motivazione, nei limiti in cui questi rilevano secondo la normativa processuale applicabile ratione temporis (cfr. Cass. nn. 56 e 85 del 2018 che richiamano Cass. n. 17716 del 2016,
Cass.7671 del 2016, che ha escluso l’applicabilità dell’art. 63 del d.lgs. n. 165/2001 e dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ. al CCRL per il personale dirigenziale della Regione Sardegna, Cass. n.24865 del 2005 che ha ritenuto inapplicabile la disciplina dettata dal d.lgs. n. 165/2001 per i contratti nazionali ai contratti stipulati dalle province e dalle Regioni a Statuto speciale; da ultimo, cfr. Cass. n. 33399 del 2019);
poiché per i contratti regionali non opera l’assimilazione sul piano processuale alla norma di diritto, prevista dagli artt. 63 d.lgs. n. 165/2001 e 360 n. 3 cod. proc. civ., in relazione agli stessi vale il principio generale secondo cui l’accertamento della volontà delle parti trasfusa nel negozio si traduce in un’indagine di fatto affidata al giudice del merito e, pertanto, in sede di legittimità il ricorrente per censurare validamente l’interpretazione delle disposizioni contrattuali è tenuto ad individuare le regole legali in tesi violate, mediante specifica indicazione delle norme e dei principi in esse contenuti, ed a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice di merito si sia discostato dai canoni di ermeneutica;
il contratto regionale avrebbe dovuto essere riprodotto nel ricorso e, inoltre, doveva essere a questo allegato, in applicazione del principio reiteratamente affermato da questa Corte secondo cui l’esenzione dall’onere di depositare il contratto collettivo del settore pubblico su cui il ricorso si fonda deve intendersi limitata ai contratti nazionali, con esclusione di quelli integrativi e/o di ambito territoriale, atteso che questi ultimi, attivati dalle amministrazioni sulle singole materie e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono, se pure parametrati al territorio nazionale in ragione
dell’amministrazione interessata, hanno una dimensione di carattere decentrato rispetto al comparto e per essi non è previsto, a differenza dei contratti collettivi nazionali, il particolare regime di pubblicità di cui all’art. 47, ottavo comma, del d.lgs. n. 165 del 2001 (Cass. nn. 5745 del 2014, 19227 del 2011, 8231 del 2011, 28859 del 2009).
la riproduzione nel ricorso del solo art. 6 del richiamato contratto regionale 24.10.2007 non può ritenersi sufficiente ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 2, n. 6, e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4. c.p.c., in quanto non solo è incompatibile con i principi generali dell’ordinamento e con i criteri di fondo dell’intervento legislativo di cui al citato d.lgs. n. 40 del 2006, intesi a potenziare la funzione nomofilattica della Corte di Cassazione, ma contrasta anche con i canoni di ermeneutica contrattuale dettati dall’art. 1362 cod. civ. e segg., e, in particolare, con la regola prevista dall’art. 1363 cod. civ., atteso che la mancanza del testo integrale del contratto collettivo non consente di escludere che in altre parti dello stesso vi siano disposizioni indirettamente rilevanti per l’interpretazione esaustiva della questione che interessa (Cass. nn. 15495 del 2009; 27876 del 2009; 28306 del 2009; 2742 del 2010; 3459 del 2010; 3894 del 2010; 4373 del 2010; 6732 del 1010)» (Cass. n. 24701/2021, cit.);
2. con il secondo mezzo si denuncia violazione delle stesse disposizioni di legge e di Accordo Collettivo richiamate nella rubrica del primo motivo nonché falsa applicazione dell’art. 40 del d.lgs. n. 165/2001; la ricorrente sostiene che la Corte costituzionale (sent. n. 189/2007) ha dichiarato l’incostituzionalità per contrasto col generale principio secondo il quale il trattamento economico dei dipendenti pubblici
dev’essere disciplinato dalla contrattazione collettiva -del solo comma 2 dell’ art. 127 della legge reg. n. 2/2002 (il quale prevedeva, in sede di prima applicazione, l’attribuzione ai giornalisti già in servizio presso gli uffici stampa degli enti locali della qualifica e del trattamento contrattuale di redattore capo in applicazione del C.C.N.L. di lavoro giornalistico), ma non ha travolto il comma 1, stesso articolo, che ha legittimato la contrattazione collettiva da svolgersi presso l’assessorato regionale alla presidenza;
l’accordo collettivo, pertanto, è validamente intervenuto a disciplinare la materia ed ha soddisfatto l’esigenza di garantire una speciale area di contrattazione, alla quale ammettere le organizzazioni rappresentative della categoria dei giornalisti, in osservanza di quanto previsto dalla legge nazionale;
2.1 il motivo, una volta dichiarato inammissibile il precedente , diventa anch’esso tale , perché l’inammissibilità del la prima censura consolida la prima ratio decidendi ;
i nfatti, la Corte territoriale ha ritenuto che l’accordo regionale subordinasse l’operatività dell’inquadramento a redattore capo alla contrattazione aziendale, in difetto della quale l’invocato inquadramento non poteva essere riconosciuto; inoltre, ha espresso (con autonoma ratio decidendi ) dubbi sulla stessa validità dell’ accordo regionale che, quale contratto integrativo, poteva bensì intervenire ma solo se in precedenza ‘ autorizzato ‘ dal contratto nazionale stipulato da ll’ARAN;
com’è agevole constatare, viene in sentenza enunciata una doppia ratio , e, con la declaratoria di inammissibilità della censura contro la prima, quest’ultima si consolida con irrilevanza del secondo mezzo di censura;
nella giurisprudenza di questa Corte è, infatti, consolidato l’orientamento secondo cui qualora la decisione impugnata si fondi su una pluralità di ragioni, ciascuna idonea a sorreggere il decisum , i motivi di ricorso devono essere specificamente riferibili, a pena di inammissibilità, a ciascuna di dette ragioni (cfr. fra le tante Cass. n. 17182/2020; Cass. n. 10815/2019) ed inoltre l’inammissibilità o l’infondatezza della censura attinente ad una di esse rende irrilevante l’esame dei motivi riferiti all’altra, i quali non risulterebbero in nessun caso idonei a determinare l’annullamento della sentenza impugnata, risultando comunque consolidata l’autonoma motivazione oggetto della censura dichiarata inammissibile o rigettata (cfr. fra le più recenti Cass. n. 15399/2018);
con il terzo motivo si denuncia violazione degli artt. 2126 e 1458 cod. civ. e degli artt. 112 e 113 cod. proc. civ.;
nel motivo si sostiene che la Corte territoriale avrebbe dovuto applicare l’art. 2126 c od. civ., perché il ripristino della situazione preesistente alla pubblicazione della sentenza della Consulta n. 189/2007 non può travolgere le prestazioni già eseguite tra le parti, o quanto meno avrebbe dovuto applicare l’art. 1458 c od. civ. che vieta di estendere gli effetti risolutori del contratto alle prestazioni già eseguite;
3.1 il motivo è infondato alla luce dei principi recentemente affermati da Cass. n. 16150/2024 che, dopo avere ribadito l’obbligo per le amministrazioni pubbliche di applicare la contrattazione collettiva del comparto di appartenenza, ha precisato che «risulta inapplicabile a tale ipotesi la norma di cui all’art. 2126 c od. civ ., in quanto quest’ultima previsione è riferita all’ipotesi di prestazione lavorativa resa sulla base di un contratto nullo e non all’ipotesi che nella specie ricorre -in cui
il vizio di nullità non concerna il rapporto lavorativo in sé bensì la sua irregolare regolamentazione tramite un atto dispositivo viziato adottato dall’Amministrazione datrice di lavoro, la quale venga ad applicare un trattamento economico diverso da quello previsto dalla fonte legale vincolante, e cioè la contrattazione collettiva di settore»;
va aggiunto, poi, che gli effetti che derivano dalla dichiarazione di incostituzionalità non sono assimilabili, quanto ai rapporti di durata, alla risoluzione del contratto, e pertanto non è applicabile la disposizione invocata (i.e., art. 1458 cod. civ.) che stabilisce l’irretroattività della risoluzione in relazione alle prestazioni già eseguite;
con il quarto, ed ultimo, motivo si lamenta violazione del c.c.n.l. del Comparto funzioni locali del 21 maggio 2018 (triennio 2016-2018) e degli artt. 112 e 113 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 nn . 3-5 cod. proc. civ.;
la ricorrente sostiene, in sintesi, che la contrattazione in parola, seppure intervenuta solo successivamente, doveva essere comunque apprezzata perché riconosce espressamente (v. ‘ Dichiarazione congiunta n. 8 ‘ ) la legittimità delle posizioni giuridiche soggettive che erano state acquisite dai dipendenti del comparto enti locali ai quali era stata applicata una diversa disciplina contrattuale nazionale seppure in via transitoria;
il motivo è ulteriormente sviluppato nella memoria nella quale si fa riferimento anche al successivo sviluppo normativo e giurisprudenziale: è intervenuta la legge 27 dicembre 2019, n. 160, che all’art. 1, comma 160, ha aggiunto all’art. 9 (rubricato ‘ Uffici stampa ‘ ) della legge 7 giugno 2000, n. 150 ( ‘ Disciplina delle attività di informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni ‘ ), il comma 5-bis;
detta norma ha previsto che «Ai dipendenti di ruolo in servizio presso gli uffici stampa delle amministrazioni di cui al comma 1 ai quali, in data antecedente all’entrata in vigore dei contratti collettivi nazionali di lavoro relativi al triennio 20162018, risulti applicato il contratto collettivo nazionale di lavoro giornalistico per effetto di contratti individuali sottoscritti sulla base di quanto previsto dagli specifici ordinamenti dell’amministrazione di appartenenza, può essere riconosciuto il mantenimento del trattamento in godimento, se più favorevole, rispetto a quello previsto dai predetti contratti collettivi nazionali di lavoro mediante riconoscimento, per la differenza, di un assegno ad personam riassorbibile, in attuazione di quanto previsto dall’articolo 2, comma 3, ultimo periodo, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, con le modalità e nelle misure previste dai futuri contratti collettivi nazionali di lavoro»;
si richiama, ancora, Corte cost. n. 212 del 2021 che ripercorre lo sviluppo normativo in materia;
4.1 il motivo va disatteso;
il legislatore, che evidentemente ha voluto tener conto degli effetti derivati dalle dichiarazioni di incostituzionalità di leggi regionali, non ha riconosciuto (art. 1, comma 160, legge n. 160/2019, cit.) il diritto soggettivo alla conservazione del trattamento economico, ma lo ha solo consentito a condizione, tuttavia, che fosse espressamente previsto dalla contrattazione collettiva, legittimata, quindi, a prevedere un assegno personale riassorbibile (v. art. 9 comma 5 bis, cit.: «può essere riconosciuto il mantenimento del trattamento in godimento, se più favorevole, mediante riconoscimento , per la differenza, di un assegno ad personam riassorbibile»);
la norma di legge e la contrattazione sopravvenuta -tra l’altro nazionale e non relativa alla regione Sicilia -non hanno inteso regolare direttamente la vicenda in esame e non possono valere ad escludere la legittimità della azione di ripetizione di indebito che trova titolo nella dichiarazione di incostituzionalità (sent. n. 189/2007) e nell ‘ assenza -sulla quale si è formato giudicato per effetto della inammissibilità del primo motivo di ricorso -delle condizioni alle quali la contrattazione regionale subordinava l’applicazione del contratto giornalistico;
quanto, poi, alla ordinanza di questa Corte n. 26626/2023, citata nella memoria della ricorrente, è agevole replicare che si tratta di precedente intervenuto in fattispecie non sovrapponibile a quella che ci occupa perché in quel caso la Corte territoriale era pervenuta a una diversa interpretazione dell’accordo e il primo motivo denunciava, si noti, la violazione dei canoni di ermeneutica che la Corte ha escluso ritenendo, in sostanza, non implausibile la diversa interpretazione adottata dai giudici di merito;
conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato; la complessità del quadro normativo controverso e in fase di evoluzione, giustifica la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte: rigetta il ricorso e compensa le spese di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione