Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 12846 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 12846 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 5644/2021 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso d all’avv. NOME COGNOME per procura speciale in atti;
-ricorrente
–
-controUNIONE RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappres. p.t.incorporante Banca Carime spa per fusione del 2.2.2017rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME per procura in calce al ricorso;
-controricorrente-
avverso la sentenza n. 1567/2020 de lla Corte d’appello di Catanzaro, pubblicata il 28.11.2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 3/04/2025 dal Cons. rel., dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con sentenza del 30.11.15 il Tribunale di Paola, in accoglimento della domanda di NOME COGNOME nei confronti di Banca Carime spaavente ad oggetto la condanna al pagamento delle somme indebitamemente corrisposte alla banca per capitalizzazione trimestrale degli interesse, commissione di massimo scoperto e costi non dovutidichiarava la nullità delle operazioni d’addebito segnalate effettuate su due conti correnti, e su altro aperto nel 1992, condannando la convenuta al pagamento in favore dell’attore della somma complessiva di euro 98.286,35 oltre interessi legali.
Con sentenza del 28.11.2020, la Corte territoriale accoglieva parzialmente l’appello della banca e, in riforma della sentenza impugnata, accertava il saldo a favore dell’appellante per la somma di euro 258.797,61, osservando che: non sussisteva carenza di legittimazione attiva poiché la cessione dei rapporti di conto corrente ad altra banca era avvenuta nel dicembre 2001, mentre oggetto della causa erano i rapporti intercorsi sino al terzo trimestre 2001, per cui Banca Intesa era subentrata in tutti i rapporti facenti capo alle altre banche indicate; era infondata la doglianza relativa al rigetto dell’eccezione di prescrizione, non essendo apodittica la motivazione del Tribunale al riguardo; l’azione di ripetizione dell’indebito era inammissibile in quanto dalla c.t.u. era emerso che il correntista non aveva pagato i saldi debitori pendenti, essendo anzi stato accertato un residuo ingente debito verso la banca che, a seguito di ricalcolo, era pari a 258.797,61 espunti del tutto gli interessi, le competenze e le spese maturati sui conti correnti; era comunque ammissibile la
domanda d’accertamento in ordine alle operazioni confluite sul conto corrente.
NOME COGNOME ricorre in cassazione, avverso la suddetta sentenza, con sei motivi, illustrati da memoria. Ubi Banca spa resiste con controricorso, illustrato da memoria.
RITENUTO CHE
Il primo motivo denunzia violazione degli artt. 112 cpc e 2033 cc, per aver la Corte d’appello ritenuto inammissibile la domanda di restituzione d’indebito, riqualificando la domanda come di accertamento del credito, pronunciando ultra petitum nel ritenere comprovato il debito del De Marco dal ricalcolo del c.t.u. sui rapporti di conto corrente dedotti in giudizio, e per aver affermato che il giudice di primo grado avrebbe dovuto emettere sentenza d’accertamento e non una sentenza di condanna alla restituzione di somme mai percepite dalla banca, violazione che avrebbe precluso la pronuncia sulla dom anda di restituzione d’indebito.
Il secondo motivo denunzia violazione degli artt. 112, 167, 345, cpc, 2946 cc, per aver la Corte d’appello affermato che era stato accertato un credito della banca con pronuncia ultra petitum , in quanto la banca non aveva chiesto l’accertamento del suo credito, che avrebbe peraltro richiesto la domanda riconvenzionale; al riguardo, il ricorrente, rilevato che la domanda della banca era inammissibile perché nuova, assume che la Corte territoriale avrebbe dovuto dichiarare che il credito della banca era pari a zero, avendo sostenuto che i crediti erano stati ceduti. cc, per aver la Corte d’appello del correntista, da un lato om ettendo di considerare l’a
Il terzo motivo denunzia violazione degli artt. 15, 112, 345, cpc, 2946 deciso l’inammissibilità della domanda vvenuta cessione dei crediti fondati sui rapporti di conto corrente intercorsi con la banca convenuta, avvenuta successivamente al primo trimestre
2001, e dall’altro erroneamente affermando che il correntista non aveva saldato i debiti emergenti dal conto corrente, senza peraltro tener conto dell’intervenuta prescrizione dei crediti della banca .
Il quarto motivo denunzia violazione degli artt. 115 cpc e 2033 cc, per aver la Corte d’appello, nell’accertare il credito della banca, erroneamente calcolato la somma di euro 41.600,99 invece che quella di euro 98.286,35 a credito del correntista.
Il quinto motivo denunzia violazione degli artt. 112 e 342, cpc, per aver la Corte territoriale omesso di decidere sull’eccezione preliminare d’inammissibilità dell’appello per mancata specificità dei motivi.
Il sesto motivo denunzia violazione degli artt. 167, 115, 112, cpc, 2946 cc, per aver la Corte territoriale pronunciato sulla richiesta d’accertamento del credito, sebbene proposta per la prima volta in appello, nonostante l’intervenuta prescrizione del credito della banca .
Anzitutto, vanno esaminate le eccezione preliminari sollevate dalle parti.
Nella memoria illustrativa, il ricorrente deduce che il giudizio sarebbe affetto da nullità, non essendo stato integrato il contraddittorio con la banca cessionaria del credito sin dal giudizio del primo grado allorchè, già in comparsa di costituzione, la convenuta aveva dedotto e provato che la posizione debitoria del De Marco era stata ceduta a Intesa BCI spa, poi assorbita e/o incorporata da Intesa San Paolo spa, eccependo il suo difetto di legittimazione passiva in base alla cessione, producendo i relativi atti allegati alla memoria.
Premesso che il vizio di difetto d’integrazione del contraddittorio è
rilevabile d’ufficio anche in sede di legittimità, l’eccezione è infondata.
Invero, la Corte d’appello ha rigettato un’analoga eccezione sollevata dalla banca appellante, rilevando che -come già affermato in primo grado- non sussisteva carenza di legittimazione passiva poiché la
cessione dei rapporti di conto corrente era avvenuta il 14.12.2001, mentre oggetto della causa erano i rapporti intercorsi sino al terzo trimestre del 2001, con la conseguenza che Banca Intesa era subentrata in tutti i rapporti facenti capo alle banche citate.
Al riguardo, va osservato che, in caso di declaratoria di nullità integrale del contratto, al giudice dell’impugnazione è precluso il rilievo d’ufficio della sua nullità parziale quando, non essendo stata specificamente impugnata dalla parte interessata la statuizione di nullità totale, sulla stessa si è formato il giudicato interno (Cass., n. 1010/2024; SU, n. 26242/2014).
Nella specie, la predetta statuizione non è stata impugnata e, dunque è passata in giudicato.
Inoltre, l’eccezione contenuta nella memoria illustrativa è del tutto generica, non contenendo nessuna indicazione dei debiti ceduti e della relativa tempistica, rinviando all’atto di cessione allegato alla stessa memoria.
E’ altresì in fondata l’eccezione preliminare, sollevata nel controricorso dalla banca, d’inammissibilità del ricorso, per violazione dell’art. 366, nn. 3,4 e 6, cpc.
Invero, il ricorso contiene una, sia pur sommaria, esposizione dei fatti di causa che delinea con suffficienza l’oggetto di causa, mentre i singoli documenti e atti, posti a sostegno delle varie doglianze, sono indicati nel loro contenuto, con un chiaro richiamo alle fasi di merito ove risultano prodotti.
Invero, è stato affermato che il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6), c.p.c. -quale corollario del requisito di specificità dei motivi – anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021 – non deve essere interpretato in
modo eccessivamente formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, e non può pertanto tradursi in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, insussistente laddove nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure, e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito (SU, n. 8950/2022).
Detto ciò, i primi due motivi, esaminabili congiuntamente poiché tra loro connessi, sono infondati.
La Corte d’appello ha ritenuto infondata la domanda di ripetizione dell’indebito, per la mancata prova di pagamenti senza titolo , fondati su illegittime clausole anatocistiche e relative a cms e spese, osservando che era stata comprovato un consistente credito a favore della banca, a seguito del corretto ricalcolo dei vari rapporti di conto corrente intercorsi tra le parti.
In particolare, la Corte territoriale ha correttamente ritenuto erronea la statuizione di primo grado che, nell’accogliere la do manda dell’attore, aveva accertato le sole somme addebitate a titolo d’interessi anatocistici e spese non dovute- oggetto della condanna della banca- senza effettuare un complessivo ricalcolo sulla base anche delle somme a credito della banca, delle quali non aveva tenuto conto. Ora, muovendo da tale legittimo ricalcolo, la Corte di merito ha rigettato la domanda di ripetizione d’indebito per l’insussistenza dei presupposto dell’azione ex art. 2033 c.c. Al riguardo, i n tema di operazioni bancarie regolate in conto corrente, il correntista può esercitare l’azione di ripetizione dell’indebito ex art. 2033 c.c. anche in costanza di rapporto (c.d. “conto aperto”), se avente ad oggetto versamenti di natura solutoria, ma in tal caso ha diritto unicamente al saldo del conto, eventualmente rettificato nelle poste
illegittimamente annotate, sicché l’azione di indebito da parte sua, che in presenza di rimesse solutorie si rende proponibile anche se il conto non sia stato ancora chiuso, si risolve solo nella determinazione di un saldo purgato delle annotazioni illegittime, senza alcuna sanzione restitutoria in danno della banca; infatti solo a conto chiuso, venuta meno la indisponibilità dei singoli crediti, di cui all’art. 1823, comma 1, c.c., l’azione di indebito può determinare l’obbligo per la banca di rimborsare le somme illegittimamente incamerate (Cass., n. 13586/2024; n. 4214/2024).
Nella specie, la Corte d’appello ha correttamente applicato il suesposto principio, rideterminando il saldo dei conti emendato dalle annotazioni illegittime, da cui è però emerso un credito a favore della banca.
Nell’atto d’appello, quest’ultima aveva censurato la sentenza di primo grado, invocando la violazione del suddetto principio, ed adducendo che, dalla c.t.u. espletata, pur dop o l’espunzione delle annotazioni relative agli interessi anaticistici e spese non dovute, era emerso un credito a suo favore per la somma di euro 258.797,61.
Sulla scorta di quanto suesposto, deve ritenersi che non merita censura la statuizione della Corte d’appello che, una volta riformata la sentenza impugnata, ha accertato il predetto credito della banca sulla base dell’esame della c.t.u., (peraltro, non specificamente contestata dal ricorrente) non essendo ravvisabile la lamentata violazione dell’art. 112 cpc.
Invero, il ricorrente assume che tale accertamento non era stato oggetto di una domanda della banca e, pertanto, la Corte d’appello non avrebbe potuto emettere tale pronuncia.
Va osservato, anzitutto, che la domanda di condanna alla ripetizione delle somme indebitamente versate alla banca, formulata ne ll’atto di citazione, richiedeva logicamente un’istanza di accertamento dei
presupposti del richiesto pagamento- come per ogni altra domanda di condanna al pagamento di somme di denaro-; tale accertamento ha costituito, come detto, anche oggetto del motivo d’appello della banca relativamente alla erronea condanna emessa senza tener conto delle poste del suo credito, di maggior importo rispetto a quelle a debitooggetto delle annotazioni di conto illegittime- escluse dal ricalcolo effettuato dal c.t.u.
Va dunque escluso che la banca abbia illegittimamente riqualificato la domanda del ricorrente.
Sul punto, la sentenza impugnata ha puntualmente richiamato l’orientamento di qusta Corte, a tenore del quale, in tema di conto corrente bancario, l’assenza di rimesse solutorie eseguite dal correntista non esclude l’interesse di questi all’accertamento giudiziale, prima della chiusura del conto, della nullità delle clausole anatocistiche e dell’entità del saldo parziale ricalcolato, depurato delle appostazioni illegittime, con ripetizione delle somme illecitamente riscosse dalla banca, atteso che tale interesse mira al conseguimento di un risultato utile, giuridicamente apprezzabile e non attingibile senza la pronuncia del giudice, consistente nell’esclusione, per il futuro, di annotazioni illegittime, nel ripristino di una maggiore estensione dell’affidamento concessogli e nella riduzione dell’importo che la banca, una volta rielaborato il saldo, potrà pretendere alla cessazione del rapporto (Cass., n. 21646/2018).
Giova altresì rilevare che le doglianze in esame riguardano la mancata domanda della ban ca avente ad oggetto l’accertame nto del saldo dei conti, mentre il ricorrente non ha espressamente censurato sul punto la sentenza della Corte territoriale per aver statuito sull’accertamento in mancanza della domanda del correntista.
Sotto questo profilo, i motivi in questione non attingono chiaramente la ratio decidendi.
Il terzo motivo è inammissibile, in quanto afferente alla questione della cessione dei crediti, dapprima esaminata in ordine all’eccezione di difetto d’integrazione del contraddittorio sollevata nella memoria illustrativa del ricorrente, e ritenuta inammissibile.
Inoltre, la doglianza relativa alla prescrizione dei crediti della banca è nuova, non emergendo tale questione dagli atti di causa e dalla sentenza impugnata e, pertanto, parimenti inammissibile.
Il quarto motivo è inammissibile, sia in quanto non autosufficiente, sia perchè tendente al riesame dei fatti.
Invero, il motivo non contiene la trascrizione della parte della sentenza impugnata che si ritiene affetta dal lamentato errore di calcolo; inoltre, esso sollecita una diversa ricostruzione dell’operato del c.t.u. che, peraltro, risulta del tutto corretto in quanto, come si evince dalla motivazione riportata alla pag. 8, la Corte d’appello ha detr atto dai crediti della banca, per ciascun conto corrente, le somme determinate a titolo di interessi anatocistici.
Il quinto motivo è infondato. Invero, non ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo (Cass., n. 29191/17; n. 25710/24: nella specie, la S.C. ha ravvisato il rigetto implicito dell’eccezione di inammissibilità dell’appello nella sentenza che aveva valutato nel merito i motivi posti a fondamento del gravame).
Va altresì evidenziato che i motivi dell’appello erano chiaramente ed esaustivamente esplicitati.
Infine, il sesto motivo è infondato. Contrariamente a quanto lamentato dal ricorrente, e come suesposto, la pronuncia sul suddetto accertamento non è fondata su una domanda nuova della banca proposta in appello, avendo quest’ultima formulata la sola richiesta di ri getto dell’impugnativa, ma si correla alla stessa domanda introduttiva del giudizio e allo specifico motivo d’appello formulato sull’erronea condanna al pagamento dell’indebito.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida nella somma di euro 7.200,00 di cui 200,00 per esborsi, oltre alla maggiorazione del 15% quale rimborso forfettario delle spese generali, iva ed accessori di legge
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.p.r. n.115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 3 aprile 2025.