Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 718 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 718 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 16404-2017 proposto da
ISTITUTO NAZIONALE RAGIONE_SOCIALE (INPS), in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso, in forza di procura conferita in calce al ricorso per cassazione, dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, con domicilio eletto in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura centrale dell’Istituto
– ricorrente –
contro
NOME
-intimata – per la cassazione della sentenza n. 2860 del 2016 della CORTE D’APPELLO DI LECCE, depositata il 20 dicembre 2016 (R.G.N. 1335/2015).
Udita la relazione della causa, svolta nella camera di consiglio del 12 ottobre 2023 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
R.G.N. 16404/2017
COGNOME
Rep.
C.C. 12/10/2023
giurisdizione Azione di ripetizione d’indebito
-L’INPS ha richiesto alla signora NOME COGNOME in via stragiudiziale, la restituzione della somma di Euro 5.642,42, corrisposta in virtù di un’ordinanza di assegnazione del giudice dell’esecuzione e superiore, ad avviso dell’Istituto, all’importo riconosciuto nella sentenza n. 6204 del 2006 del Tribunale di Lecce.
La signora NOME COGNOME ha instaurato un giudizio per contestare la richiesta di restituzione, invocando la definitività dell’ordinanza di assegnazione.
Il Tribunale di Lecce ha rigettato il ricorso.
-Con sentenza n. 2860 del 2016, depositata il 20 dicembre 2016, la Corte d’appello di Lecce ha accolto il gravame dell’INPS.
A fondamento della decisione, la Corte territoriale ha rilevato che le somme richieste dall’INPS sono irripetibili, in quanto assegnate nella procedura di espropriazione presso terzi con un’ordinanza che l’Istituto non ha ritualmente impugnato, giovandosi dei «rimedi interni al processo esecutivo».
Il debitore espropriato, dopo la conclusione della procedura esecutiva, non può esperire un’azione di ripetizione d’indebito nei confronti del creditore procedente, sul presupposto che questi abbia riscosso somme superiori al dovuto.
-L’INPS impugna per cassazione la sentenza della Corte d’appello di Lecce, con ricorso notificato il 17 giugno 2017, affidato a un motivo.
-La signora NOME COGNOME non ha svolto in questa sede attività difensiva.
-Il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375, secondo comma, numero 4quater ), e 380bis .1., primo comma, cod. proc. civ.
-Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni scritte.
7. -Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei sessanta giorni successivi al termine della camera di consiglio (art. 380bis .1., secondo comma, cod. proc. civ.).
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Con l’unico motivo (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), l’Istituto deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ. e dell’art. 324 cod. proc. civ. , in relazione agli artt. 553 e 617 cod. proc. civ., e lamenta che i giudici d’appello abbiano conferito efficacia preclusiva di ogni azione di ripetizione d’indebito a un provvedimento di assegnazione di somme, adottato a conclusione di una procedura di pignoramento.
La signora NOME in sede esecutiva, avrebbe richiesto la ‘maggiorazione sociale’ sulla pensione cat. AS. Tale somma non soltanto sarebbe estranea al perimetro del giudicato (la già richiamata sentenza n. 6204 del 2006), che avrebbe riconosciuto soltanto la differenza tra l’importo dell’assegno sociale e l’importo della pensione sociale in godimento al momento della quantificazione della maggiorazione sociale sulla pensione AS, ma non sarebbe neppure dovuta, in ragione del superamento dei limiti di reddito.
La Corte di merito avrebbe violato le regole sulla distribuzione dell’onere della prova, che imporrebbero al pensionato di dimostrare i fatti costitutivi del diritto di conseguire la prestazione contestata, e avrebbe errato nel reputare intangibile l’asseg nazione delle somme, disposta in esecuzione di una pronuncia definitiva. Tale assegnazione, inidonea ad acquisire l’efficacia di giudicato, dispiegherebbe i suoi effetti soltanto nell’ambito della procedura esecutiva e non precluderebbe una successiva azio ne di ripetizione d’indebito.
2. -Le censure non sono fondate.
-In questa sede non vengono in rilievo le previsioni che regolano l’onere della prova nella ripetizione d’indebito, in quanto la vicenda controversa trae origine dall’esecuzione avviata in forza di un titolo
giudiziale e la sentenza impugnata ha ritenuto preclusa in radice l’azione restitutoria, con argomentazioni che non incorrono negli errores in iudicando denunciati nel ricorso.
4. -Questa Corte, pur disconoscendo al provvedimento che chiude il procedimento esecutivo il contenuto decisorio e l’efficacia del giudicato, gli attribuisce i tratti distintivi della definitività (Cass., sez. III, 18 agosto 2011, n. 17371, menzionata anche dalla sentenza d’appello; nel medesimo senso, anche Cass., sez. III, 23 agosto 2018, n. 20994).
Tale definitività discende dalla conclusione di un procedimento rispettoso delle forme atte a salvaguardare gl’interessi delle parti e si rivela incompatibile con la revocabilità del provvedimento stesso.
La legge appresta un sistema di garanzie, allo scopo di dirimere gli eventuali contrasti, all’interno del processo esecutivo.
A tale riguardo, questa Corte ha puntualizzato che «7. Ora, il processo esecutivo comporta un sistema chiuso di rimedi e non è ammessa, per inficiare i suoi atti o provvedimenti ed a maggior ragione per porre rimedio alle loro conseguenze, alcuna azione in forme diverse dalle opposizioni esecutive o dalle altre iniziative specificamente previste da detto sistema processuale (tra le ultime: Cass. 18/08/2011, n. 17371; Cass. 20/03/2014, n. 6521; Cass. 02/04/2014, n. 7708; Cass. 31/10/2014, n. 23182; Cass. 29/05/2015, n. 11172; Cass. ord. 14/06/2016, n. 12242; Cass. 06/03/2018, n. 5175; Cass. ord. 23/04/2019, n. 11191; Cass. ord. 28/02/2020, n. 5468). 8. Se il giudicato risponde ad un ‘ esigenza di certezza, quale indefettibile connotato della tutela del diritto azionato in giudizio, è giocoforza ammettere che anche il processo esecutivo esige la stabilità dei suoi atti; se è vero, infatti, che tale processo costituisce l ‘ estrinsecazione della giurisdizione esecutiva e che questa è sì ancillare o servente rispetto a quella cognitiva, essa ne costituisce però e pur sempre l ‘ indefettibile complemento ed anzi la garanzia di concreta effettività.
Ed una stabilità degli effetti, come nel processo cognitivo è garantita -sul piano formale -dal sistema chiuso delle relative impugnazioni e dalla preclusione anche sostanziale derivante dal mancato o dal vano esperimento delle medesime, così analoga stabilità degli effetti nel processo esecutivo deve ricondursi alla tassatività dei rimedi avverso gli atti di quello ed alla preclusione che deve derivare dal mancato esperimento di essi» (Cass., sez. III, 25 agosto 2020, n. 17661).
-Ne consegue che il soggetto espropriato non può esperire, dopo la chiusura del procedimento di esecuzione forzata, l ‘ azione di ripetizione di indebito contro il creditore procedente (o intervenuto), al fine di ottenere la restituzione di quanto costui abbia riscosso, sul presupposto dell ‘ illegittimità per motivi sostanziali dell ‘ esecuzione forzata.
Solo la caducazione del titolo esecutivo, dopo la fruttuosa conclusione dell’esecuzione forzata, legittima il debitore che l’abbia subita a promuovere nei confronti del creditore procedente un autonomo giudizio per la ripetizione dell ‘ indebito, anche con le forme del procedimento monitorio (Cass., sez. III, 9 luglio 2020, n. 14601).
-Da tali principi, ribaditi anche di recente (Cass., sez. VI-III, 15 aprile 2021, n. 9903, punto 1.1. dei Motivi della decisione ) e provvisti di valenza generale, non vi sono ragioni per discostarsi.
È irrilevante l’inidoneità dei provvedimenti del giudice dell’esecuzione ad assurgere all’autorità del giudicato, profilo sul quale pone l’accento il motivo di ricorso.
Il dato dirimente è che l ‘Istituto avrebbe dovuto contestare con i rimedi apprestati dalla disciplina di rito l’illegittimità dell’esecuzione forzata, che si reputa sia stata intrapresa per somme esorbitanti rispetto a quelle consacrate dalla pronuncia definitiva.
Il debitore, che delle azioni tipiche regolate dall’ordinamento non si sia avvalso, decade dalla possibilità di spendere in altra sede le sue doglianze.
Le questioni risultano, pertanto, irrimediabilmente precluse e non colgono nel segno le argomentazioni, che configurano i rimedi interni al processo esecutivo e specificamente deputati a salvaguardarne la legalità come alternativi rispetto all’azione gener ale disciplinata dall’art. 2033 cod. civ.
-Per le ragioni esposte, la sentenza impugnata è conforme a diritto e il ricorso dev’essere respinto.
-Nessuna statuizione si deve adottare in ordine alle spese di lite, in quanto la parte evocata in giudizio dal ricorrente non ha svolto in questa sede attività difensiva.
-L’integrale rigetto del ricorso, proposto dopo il 30 gennaio 2013, impone di dare atto dei presupposti per il sorgere dell’obbligo del ricorrente di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, ove sia dovuto (Cass., S.U., 20 febbraio 2020, n. 4315).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, a norma del comma 1bis dell ‘ art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quarta Sezione