Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 34141 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 34141 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3517/2021 R.G. proposto da : COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOMECOGNOME
-ricorrenti- contro
NOME, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME
-controricorrente-
Avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di TORINO n. 699/2020 depositata il 08/07/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/11/2024 dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Nel periodo compreso tra il gennaio 2006 e il maggio 2007, la signora NOME COGNOME emetteva a favore della signora NOME COGNOME n. 5 assegni, tratti dal conto corrente bancario cointestato con il figlio, NOME COGNOME per un importo complessivo
di € 55.000,00. Nell’agosto 2011, la RAGIONE_SOCIALE ed il COGNOME, sostenendo di aver elargito alla COGNOME detta somma a titolo di mutuo, la convenivano in giudizio chiedendo la restituzione del suddetto importo. Il Tribunale di Torino e, successivamente, la Corte d’appello, con la sentenza n. 1411/2016, rigettavano la domanda.
Nel 2017, la COGNOME e il COGNOME instauravano un secondo giudizio, sempre nei confronti della COGNOME, al fine di sentir accertare e dichiarare l’avvenuto pagamento sine iuxta causa , ai sensi dell’articolo 2033 c.c., della somma di € 55.000,00 e chiedendone la restituzione.
Il Tribunale di Torino, con la sentenza n. 5136/2018, respingeva la domanda, ritenendo che gli attori avessero riproposto la medesima vicenda sostanziale già esaminata nel giudizio concluso con la decisione passata in giudicato.
La Corte d’appello di Torino, con la sentenza n. 699/2020, pubblicata l’8 luglio 2020, riformando parzialmente la decisione impugnata, ammetteva la domanda di ripetizione di indebito ma nel merito la rigettava ritenendola infondata.
Avverso tale pronuncia, NOME COGNOME e NOME COGNOME propongono ricorso per Cassazione con due motivi, illustrati con memoria.
3.1. NOME COGNOME resiste con controricorso illustrato da memoria.
Il Collegio si è riservato il deposito nei successivi sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4.1. Con il primo motivo del ricorso, parte ricorrente censura, ai sensi dell’art. 360, c. 1, n. 3, c.p.c. la violazione e falsa applicazione degli artt. 2033, 2733 e ss., 2697, 1188 c.c. e artt. 115 e 116 cpc.
Secondo i ricorrenti, la corte d’appello avrebbe errato nel ritenere:
che incombeva sugli attori provare il fatto negativo dell’assenza
di causa del pagamento, elemento costitutivo della domanda di indebito oggettivo; b) che sarebbero stati gli stessi attori ad indicare la causa giustificatrice della dazione della cui insussistenza avrebbero dovuto dare prova; c) che nessun rilievo avrebbero le risultanze della sentenza della corte d’appello di Torino 1035/2015 poiché relativa a soggetto e causa petendi differenti. Sostengono che l’onere di provare il dedotto rapporto di rappresentanza (o di addetta al pagamento) spettava alla convenuta e che era pacifico che questa non avesse titolo a ricevere le somme.
4.2. Con il secondo motivo, i ricorrenti censurano, ai sensi dell’art. 360, c. 1, n. 5, c.p.c. l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione. Lamentano che la Corte d’appello avrebbe recepito come fatto pacifico quello relativo alla posizione assunta dalla convenuta che, a dire del giudice, avrebbe agito quale adiecta solutionis causa del proprio genitore.
Inoltre, affermano che la Corte avrebbe omesso di motivare le ragioni per cui ha ritenuto prevalente la ricostruzione della convenuta, secondo cui la COGNOME si sarebbe limitata a fungere da semplice intermediaria per la percezione delle somme destinate al padre (cfr. ricorso pag. 15).
I motivi possono essere congiuntamente esaminati, in quanto connessi,
Essi sono in parte inammissibili ed in parte infondati.
La corte territoriale ha affermato che la percezione del denaro, da parte della COGNOME, quale cointestataria del conto corrente bancario sul quale erano stati versati gli importi oggetto dell’azione di ripetizione, non poteva ritenersi decisiva ai fini dell’esito del giudizio, in quanto l’attribuzione patrimoniale era stata effettuata in favore della COGNOME solo quale rappresentante o addetta alla ricezione di un pagamento nella sostanza diretto al padre, quale compenso per prestazioni professionali rese in favore della Geuten.
I giudici di secondo grado hanno ritenuto non contestata, anzi allegata dagli stessi attori, tale effettiva causa della dazione del denaro e la conseguente posizione di mera ‘intermediaria’ della COGNOME (cfr. sentenza impugnata: pag. 6), escludendo, pertanto, la legittimazione passiva di quest’ultima con riguardo alla sua eventuale restituzione.
Ebbene, tale ratio decidendi non è stata adeguatamente censurata dai ricorrenti, in violazione dell’art. 366 n. 6 c.p.c.
Essi, infatti, non richiamano in modo puntuale il contenuto degli atti difensivi del giudizio di merito in cui avrebbero specificamente contestato l’indicata effettiva causa dell’attribuzione patrimoniale che, anzi, risulta da essi stessi, nella sostanza, allegata, di modo che si tratterebbe di una contestazione addirittura logicamente incompatibile con i loro stessi assunti. Per quanto emerge dagli atti, in effetti, essi avevano sostenuto che la dimostrazione che la COGNOME non avesse diritto al pagamento ricevuto avrebbe dovuto ravvisarsi proprio nella sua stessa ammissione che il pagamento era stato effettuato in favore del padre.
Ne consegue l’infondatezza delle censure di violazione delle norme di legge richiamate nel ricorso, anche sotto il profilo dell’assetto degli oneri probatori relativo all’azione di ripetizione di indebito,
Per ogni altro aspetto, d’altronde, le censure sollevate dai ricorrenti mirano, nella sostanza, ad accreditare una ricostruzione della vicenda e, soprattutto, un apprezzamento delle prove raccolte del tutto divergente da quello compiuto dai giudici di merito, in particolar modo con riguardo al rilievo del fatto (debitamente preso in considerazione nella decisione impugnata, come del resto già chiarito) per cui l’attribuzione patrimoniale era stata operata in favore del padre della convenuta e quest’ultima l’aveva ricevuta solo quale adiecta solutionis causa , con la conseguenza che non poteva dirsi ingiustificata e che la eventuale richiesta di ripetizione di essa, in virtù della mancanza o illegittimità del titolo in base al
quale era avvenuta, avrebbe dovuto essere rivolta all’effettivo soggetto al quale era diretta.
6. Il ricorso è rigettato. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità in favore della controricorrente, che liquida in complessivi Euro 7.500,00 oltre Euro 200,00 per esborsi, accessori di legge e spese generali.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione 3