Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 33723 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 33723 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 3013-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio degli avvocati
Oggetto
Retribuzione pubblico impiego Ripetizione di indebito
R.G.N. 3013/2020
COGNOME
Rep.
Ud. 08/11/2024
CC
NOME COGNOME NOME COGNOME che lo rappresentano e difendono;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 39/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 11/01/2019 R.G.N. 4704/2016; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
08/11/2024 dal Consigliere Dott. COGNOME
RILEVATO CHE:
1. con sentenza n. 5572/2016 questa Corte ha rigettato il ricorso principale proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza della C orte d’appello di Roma che aveva ritenuto legittima l’azione di ripetizione di indebito avviata dall’Istituto nei confronti del dipendente avvocato ( sull’assunto che l’Inps non fosse tenuto, ai sensi della delibera dell’ente n. 89/2002, a corrispondere ai propri legali il 2% delle somme riscosse dal concessionario SCCI) e accoglieva, invece, il ricorso incidentale dell’Inps che aveva censurato il capo della decisione con il quale era stata dichiarata la nullità della domanda restitutoria, formulata con riferimento alle somme già corrisposte in forza del decreto ingiuntivo e della sentenza del tribunale che aveva dichiarato inammissibile l’opposizione ;
in particolare, la sentenza rescindente osservava che la domanda dell’Inps era stata formulata in modo specifico e risultava supportata dalla documentazione sicché doveva essere esaminata nel merito;
con la sentenza qui impugnata la C orte d’appello di Roma, quale giudice del rinvio, riassunti i fatti di causa e giudicando nei limiti del
devoluto, ha condannato il COGNOME a corrispondere la somma di euro 19.582,15 in luogo del maggior importo preteso dall’Istituto pari a euro 40.362,85;
h a osservato la Corte che l’istituto non aveva dimostrato l’effettiva corresponsione di tale ultimo importo, contestato dal COGNOME, il quale aveva dichiarato di avere percepito unicamente la somma portata dall’assegno circolare del 27 marzo 2006 ; la C orte d’appello ha, inoltre, rilevato che il pagamento non poteva essere dimostrato attraverso la produzione in giudizio della missiva con la quale si comunicava l’avvenuta liquidazione del maggiore importo preteso dall’Istituto perché detta missiva non prova va l’effettiva corresponsione della somma e anche la firma per ricevuta apposta dal COGNOME non era idonea allo scopo ;
h a aggiunto che se, come sostenuto dall’Inps, al pagamento si era provveduto nel gennaio 2006 non si comprende a quale titolo nel marzo dello stesso anno, a distanza di soli due mesi dal rilascio del cedolino (che peraltro il d’Agostino aveva negato di aver ricevuto) sarebbe stato emesso l’assegno prodotto dal dipendente ;
ha osservato, ancora, che l’importo dell’assegno circolare «costituisce la differenza tra il netto dell’importo chiesto in restituzione ( euro 28.299,28) e la somma di euro 8.722,17 portata in compensazione perché liquidata in eccesso al COGNOME in occasione della liquidazione del TFR »;
la C orte d’appello ha rilevato, infine, che le somme dovevano essere restituite al netto e non al lordo sulla base dell’orientamento espresso da questa Corte;
avverso tale decisione propone ricorso per cassazione l’INPS sulla base di quattro motivi, resistiti con controricorso (illustrato da memoria) del COGNOME .
CONSIDERATO CHE:
1. con il primo motivo si denuncia (art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.) violazione degli artt. 115, 116, 167, 416, 436 cod. proc. civ. e dell’art. 2697 cod. civ. in riferimento al principio di non contestazione;
si lamenta che la Corte d’appello ha respinto la domanda di ripetizione della somma lorda di euro 40.362,86 in ragione del «mancato riscontro documentale» dell’effettiva corresponsione di tale importo, senza accorgersi, tuttavia, che il COGNOME non aveva affatto contestato -se non tardivamente nella fase di rinvio -il proprio obbligo di restituire tale somma per l’esatto importo anzidetto ed al lordo delle ritenute fiscali;
1.1 il motivo è inammissibile;
il ricorrente, ove deduca la non corretta applicazione del principio di ‘ non contestazione ‘ , non può prescindere, in virtù del principio di specificità (art. 366, n. 6, cod. proc. civ.), dalla trascrizione degli atti sulla cui base il giudice di merito ha ritenuto integrata la contestazione oppure la non contestazione, che il ricorrente pretende, rispettivamente, di negare o affermare (Cass. n. 20637/2016); i principi richiamati orientano in relazione alla soluzione della fattispecie riguardo alla quale appare preliminare il rilievo che l’Inps , nel dedurre la errata applicazione del principio di non contestazione, non si è conformata all’insegnamento della S.C. in tema di autosufficienza del ricorso per cassazione, avendo, infatti, limitato la trascrizione di brani degli atti difensivi di primo e secondo grado solo in relazione alle proprie difese e trascurato di trascrivere gli atti di controparte, di talché risulta preclusa ogni possibilità di esame diretto degli atti e, in
definitiva, inibito il controllo circa la corretta applicazione del principio di non contestazione (Cass. n. 10061/2024);
questa Corte ha, oltretutto, già affermato, ed il principio deve essere qui ribadito, che spetta al giudice del merito apprezzare, nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte (Cass. n. 3680/2019 e negli stessi termini Cass. n. 2749072019);
2. con il secondo motivo si denuncia (art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.) violazione dell’art. 23 del d.P.R. n. 600 del 1973, dell’art. 38 del d.P.R. n. 602 del 1973, dell’art. 10, comma 1, lett. d-bis) del d.P.R. n. 917 del 1986 – come modificato dall’art. 5 del d.lgs. n. 314 del 2 settembre 1997 e dall’art. 1, comma 174, della l egge n. 147/2013 – e dell’art. 51 del d.P.R. n. 917 del 1986, per avere la Corte d ‘a ppello statuito che «mai potrebbe accedersi alla tesi dell’Inps di vedersi restituire la somma al lordo, atteso che il solvens non può ripetere dall’ accipiens più di quanto quest’ultimo abbia effettivamente percepito, restando esclusa la possibilità di ripetere importi al lordo di ritenute fiscali mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente»;
il ricorrente richiama il disposto del l’art. 38 d.P.R. n 602/1973 e sostiene che il pagamento effettuato dal sostituto di imposta (datore di lavoro), col denaro del sostituito e nell’interesse di questi , ricade in favore di quest’ultimo (dipendente sostituito) , sicché le imposte pagate dal sostituto di imposta «sono entrate nel patrimonio del percettore»;
2.1 il motivo non è fondato;
sulla questione questa Corte, in conformità ad un orientamento che può dirsi consolidato – formatosi in relazione alla analoga vicenda della riforma, totale o parziale, della sentenza di condanna del datore di lavoro al pagamento di somme in favore del lav oratore -, ha affermato che «il
datore di lavoro ha diritto a ripetere quanto il lavoratore abbia effettivamente percepito e non può pertanto pretendere la restituzione di importi al lordo di ritenute fiscali mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente, atteso che il caso del ven ir meno con effetto ‘ex tunc’ dell’obbligo fiscale a seguito della riforma della sentenza da cui è sorto ricade nel raggio di applicazione dell’art. 38, comma 1, del d.P.R, n. 602 del 1973, secondo cui il diritto al rimborso fiscale nei confronti dell’ammi nistrazione finanziaria spetta in via principale a colui che ha eseguito il versamento non solo nelle ipotesi di errore materiale e duplicazione, ma anche in quelle di inesistenza totale o parziale dell’obbligo» (così Cass. 20/05/2019, n. 13530; v., altresì, di recente, Cass. n. 6673/2023, Cass. n. 12106/2023 – ed ivi ulteriori richiami di giurisprudenza conforme – ove è precisato che «è vero, infatti, che il versamento eseguito dal datore di lavoro quale sostituto d’imposta, in base ad una sentenza provvisoriamente esecutiva, non è frutto di errore ma è anzi atto dovuto; tale versamento, tuttavia, diviene erroneo in conseguenza ed a causa della riforma o della cassazione di quella sentenza, venendo meno ex tunc e definitivamente il titolo in base al quale il pagamento era stato effettuato; ne consegue che quel versamento risulta ex tunc privo di titolo, quindi eseguito a fronte di un obbligo inesistente -rectius , non più esistente -, secondo quanto previsto dall’art. 38 , cit.);
la censura non contiene argomentazioni che inducano a rimeditare l’indirizzo di questa Corte (v. per l’impiego pubblico privatizzato Cass. n. 16170/2020), cui la decisione del giudizio di rinvio si conforma pienamente, sicché il motivo va respinto;
con il terzo motivo si denuncia (art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.) violazione e falsa applicazione degli artt. 1241, 1242, 1243, 1246 cod. civ.;
si sostiene che la compensazione impropria, operata dall’Inps e della quale dà atto la sentenza impugnata, era stata disposta in ragione della sussistenza, all’epoca, di un (contro) credito del d’Agostino sicché, venuto meno quest’ultimo, la restituzione doveva riguardare non solo l’importo di euro 19.582,10 di cui all’assegno circolare 27.3.2006 ma anche la somma (indebito da riliquidazione della buonuscita pari ad euro 8.722,17) portata in compensazione.
3.1 il motivo è inammissibile perché, se è vero che la sentenza impugnata accenna al credito portato in compensazione, l’ Istituto, tuttavia, non allega né dimostra (com’era suo onere fare ex art. 366 , n. 3-6, cod. proc. civ.) che la domanda di restituzione si riferisse anche all’indebita compensazione legata alla riliquidazione della buonuscita, ossia a tale diversa questione giuridica che esulava dalla causale dell’originario decreto monitorio ;
sul punto, il COGNOME osserva (v. pp. 48-49 del controricorso) peraltro che quell’importo (euro 8.722,17) non era dovuto perché il preteso ricalcolo della buonuscita è stato comunque ritenuto illegittimo dalla sentenza n. 15471/2008 resa inter partes del Tribunale di Roma, e divenuta res iudicata , ed inoltre perché la domanda di restituzione dell’Inps riguardava unicamente le somme versate sulla scorta del decreto ingiuntivo poi revocato e non era estesa ad altri rapporti debitori intercorrenti a diverso titolo fra le stesse parti;
4. con il quarto motivo si denuncia (art. 360, n. 4, cod. proc. civ.) violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per omessa pronuncia;
la Corte d’appello si era limitata a pronunciare la condanna del COGNOME alla restituzione della sorte (differenze retributive a titolo di onorari corrisposti nel gennaio/marzo 2006) tralasciando di statuire anche sulla domanda dell’Inps introdotta in sede di rinvio di condanna alla restituzione delle ulteriori somme corrisposte, anch’esse in provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo n. 4244/2003 successivamente revocato, a titolo di interessi (€. 3.117,06) e rivalutazione monetaria (€. 2.399,11) sulla stessa sorte;
4.1 in disparte la questione se sia consentito alla parte, stante il carattere chiuso del giudizio di rinvio ex art. 394 cod. proc. civ., di prendere conclusioni diverse da quelle rassegnate nel giudizio in cui è stata pronunciata la sentenza cassata e non occasionate dalla pronuncia di annullamento, il motivo è infondato;
invero, il vizio di omessa pronuncia, configurabile solo allorquando risulti completamente omesso il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto, non ricorre nel caso in cui, seppure manchi una specifica argomentazione, la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte ne comporti il rigetto (cfr. fra le tante Cass. n. 12652/2020 e Cass. n. 2151/2021);
il giudice del merito, infatti, non è tenuto ad esaminare espressamente e singolarmente ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione delle parti, atteso che ai sensi dell’art. 132 n. 4 cod. proc. civ. è necessario e sufficiente che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, con la conseguenza che si devono ritenere disattesi per
implicito tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’ iter argomentativo seguito;
nella specie, la Corte di merito , nell’aff ermare che «l’Inps si determinava a emettere in favore del COGNOME l’assegno circolare di euro 19.582,10, unico riscontro documentale del pagamento dei compensi in questione», e che « il COGNOME dovrà restituire all’Inps l’importo di euro 19.582,10 così sanando l’indebito maturato » (p. 4 sentenza) , ha inequivocabilmente, ancorché implicitamente, disatteso ogni altra pretesa restitutoria;
conclusivamente, il ricorso dev’essere nel complesso rigettato ; le spese del giudizio legittimità seguono la soccombenza e vanno distratte in favore dei difensori che hanno reso la prescritta dichiarazione.
P.Q.M.
La Corte: rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in €. 4.000,00 per compensi, €. 200,00 per esborsi, oltre 15% di rimborso spese forfettario ed accessori di legge, con distrazione in favore degli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME COGNOME dichiaratisi anticipatari .
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro, il 8 novembre 2024.
La Presidente NOME COGNOME