Ordinanza interlocutoria di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 22715 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 22715 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/08/2025
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso n. 22443/2020 r.g. proposto da:
Regione Calabria, in persona del Presidente della Giunta Regionale pro tempore, rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME dell’Avvocatura Regionale, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME i quali dichiarano di voler ricevere le comunicazioni e le notificazioni relative al presente procedimento agli indirizzi di posta elettronica certificata indicati
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME e COGNOME NOME, quest’ultimo in proprio e quale titolare della omonima ditta individuale, rappresentati e difesi dall’Avv. NOME
COGNOME, il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni delle notificazioni relative al presente procedimento all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato , elettivamente domiciliati presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME, in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente-
E
Comune di San Luca, in persona del legale rappresentante pro tempore
-intimato – avverso la sentenza della Corte di appello di Reggio Calabria n. 393/2020, depositata in data 13 maggio 2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/6/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
1. I FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME e NOME COGNOME convenivano in giudizio dinanzi al tribunale di Locri il Comune di San Luca, la Regione Calabria ed il Commissario delegato per l’emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani della Regione Calabria.
In particolare, gli stessi deducevano di essere proprietari di un fondo agricolo delimitato a nord dalla strada provinciale di San Luca, sul quale insistevano circa 4300 piante di ulivo coltivate con procedimento biologico e di un impianto industriale destinato alla produzione di materiale inerte e conglomerati cementizi.
Premettevano che a monte dei fondi di loro proprietà, in località INDIRIZZO, era stata costruita una discarica consortile.
In particolare, gli attori rilevavano che la Regione Calabria con delibera n. 1646 del 26/4/1988 aveva individuato l’ambito 7 per la realizzazione della discarica e che, successivamente, con delibera del
22/10/1990 la Regione aveva approvato il progetto della discarica al servizio di più comuni.
Successivamente era intervenuta l’autorizzazione del Commissario delegato per l’emergenza con ordinanza n. 756 del 1999, che aveva autorizzato la gestione del Comune di San Luca, consentendo il conferimento dei rifiuti solidi urbani dei comuni di San Luca, Benestare, Bovalino, Careri e Platì.
Gli attori rilevavano che, a causa degli eventi meteorologici dei giorni 8, 9, 10 e 30 settembre del 2000, era crollata la diga di sbarramento posta a valle della discarica, con conseguente spargimento di rifiuti, liquami e materiale sabbioso nei terreni sottostanti di loro proprietà, con conseguenti ingenti danni.
A seguito di accertamento tecnico preventivo – aggiungevano gli attori – si verificava che il sito in cui era stata ubicata la discarica «non era idoneo, a causa della sua costituzione geolitica e morfologica» e che i fondi degli attori erano stati completamente ricoperti da rifiuti e materiale sabbioso, con conseguente danneggiamento delle piante di ulivo, inutilizzabilità dei due pozzi trivellati e dei capannoni industriali e dei macchinari, per l’intrusione dei materiali alluvionali e del fango.
Inoltre, si deduceva che anche il vallone Impisu aveva contribuito all’esondazione per inidoneità della canalizzazione esistente, pur se il vallone INDIRIZZO, in cui aveva sede la discarica, aveva contribuito maggiormente al deposito dei materiali alluvionali ed all’esondazione in danno dei terreni sottostanti.
Gli attori richiedevano dunque il risarcimento dei danni subiti per il danneggiamento delle piante di ulivo, dei fabbricati industriali, macchinari ed attrezzature, oltre al ristoro del lucro cessante per la paralisi dell’attività imprenditoriale del Nirta nel periodo di oltre tre
mesi dal giorno dell’evento, oltre al mancato profitto derivato dalla produzione e commercializzazione dell’olio biologico.
Si costituiva in giudizio la Regione Calabria chiedendo il rigetto della domanda.
Si costituiva in giudizio il Comune di San Luca eccependo, preliminarmente, la propria carenza di legittimazione passiva in quanto tutte le decisioni inerenti alla funzionalità della discarica erano state assunte dal Commissario delegato per l’emergenza. Inoltre, quanto al merito, chiedeva il rigetto della domanda, in quanto gli eventi alluvionali del settembre del 2000 erano stati eccezionali ed imprevedibili, escludendo ogni profilo di colpa dell’ente territoriale.
Si costituiva in giudizio il Commissario delegato per l’emergenza eccependo la propria carenza di legittimazione passiva.
Con provvedimento del 25/11/2005 veniva dichiarata la nullità della notifica dell’atto introduttivo del giudizio nei confronti del Commissario delegato per non essere stata effettuata la notifica presso l’Avvocatura dello Stato, non ritenendosi sanato il vizio dalla costituzione in giudizio della parte personalmente. In ragione dell’omesso rinnovo della notifica, con provvedimento del 6/7/2006, veniva dichiarata l’estinzione del giudizio nei confronti del Commissario delegato.
Il tribunale di Locri con sentenza n. 447/2007, depositata il 29/5/2007, accoglieva la domanda e, per l’effetto, condannava i convenuti, in solido, al risarcimento dei danni nei confronti degli attori che si quantificava in euro 235.751,22.
Avverso tale sentenza proponevano appello principale la Regione ed incidentale le altre parti del giudizio.
La Corte d’appello di Reggio Calabria, con sentenza n. 393/2020, depositata il 13/5/2020, accoglieva solo parzialmente
l’appello principale proposto dalla Regione Calabria e, in riforma dell’impugnata sentenza, rigettava la domanda di risarcimento danni proposta da COGNOME e COGNOME con riferimento ai due pozzi artesiani, reputando non dovuta la somma di euro 20.787,40.
Pertanto, condannava in solido tra loro la Regione Calabria ed il comune di San Luca a corrispondere agli attori la somma di euro 214.963,82.
Condannava dunque gli attori a restituire in favore della Regione Calabria la differenza tra la maggiore somma corrisposta e quella rideterminata con la sentenza d’appello.
Rigettava tutti i motivi restanti dell’appello principale proposto dalla Regione Calabria.
Rigettava gli appelli incidentali proposti dal Comune di San Luca e dai signori COGNOME e COGNOME
Per quel che ancora qui rileva, la Corte territoriale rigettava l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario, sollevata dalla Regione Calabria e dal comune di San Luca, reputando gli appellanti che la responsabilità civile degli enti era connessa «ad attività provvedimentale», con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo.
Per la Corte territoriale, però, pur appartenendo tutte le controversie concernenti l’organizzazione del servizio pubblico di raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani alla giurisdizione del giudice amministrativo, tuttavia spettava alla giurisdizione del giudice ordinario «a domanda del privato che si dolga dei danni subiti a causa della condotta omissiva della PA per non aver adottato tutte le misure idonee ad eliminare i danni».
Per il giudice di secondo grado, in presenza di domanda risarcitoria per lesione dell’integrità patrimoniale, ai sensi degli articoli 2043 e 2051 c.c., l’esercizio del potere amministrativo non
rilevava in sé, ma per l’efficacia causale del danno-evento «da affidamento incolpevole», per cui non si controverteva sulla legittimità dei provvedimenti amministrativi, «ma sulla situazione di diritto soggettivo, rappresentata dalla conservazione dell’integrità del patrimonio leso» (si citava Cass. Sez.U., n. 7529 del 2020).
La domanda risarcitoria rimaneva in capo al giudice ordinario, quando traeva origine «da un mero comportamento di natura colposa non riconducibile all’esercizio di potestà autoritativa».
Nella specie, per la Corte d’appello, «il richiamo ai provvedimenti relativi alla costruzione della discarica effettuati in atti non possono determinare una competenza del giudice amministrativo non essendo stati espressamente impugnati tali provvedimenti, ma richiamati solo come uno dei presupposti di fatto dell’evento, privo di efficacia causale diretta sul danno».
Per quel che ancora qui rileva, la Corte territoriale rigettava il motivo di appello principale della Regione Calabria, articolato come vizio di ultrapetizione. Per la Regione, infatti, con la delibera n. 1646 del 26/4/1988, essa aveva unicamente «individuato l’ambito n. 7 , mentre il progetto esecutivo – la cui localizzazione dipendeva dai comuni interessati, ex art. 6, lettera b d.P.R. 915/82 – è stato predisposto dalla cooperativa RAGIONE_SOCIALE ed approvato dal Comune di San Luca (che aveva conferito alla cooperativa l’incarico)».
Per la Regione, dunque, non sussisteva alcuna responsabilità in capo ad essa.
La Corte di merito, invece, reputava non fondato tale motivo, essendo stati dimostrati elementi dai quali desumere una responsabilità risarcitoria a carico della Regione Calabria ed una condotta concausa dell’evento.
In particolare, la Corte d’appello rilevava che nella sentenza di prime cure «la responsabilità dell’appellante principale veniva individuata alla stregua di due distinti atti: la delibera 1646 del 26/4/1988 e del D.G.R. n. 5114 del 22/10/1990».
Con il primo provvedimento, la Regione «aveva individuato l’ambito 7 per la realizzazione di una discarica destinata a servire una zona più ampia rispetto al solo comune di San Luca perché rientrante in più comuni».
Con il secondo provvedimento la Regione «aveva approvato il progetto per la costruzione della discarica consortile a servizio dell’ambito n. 7 del Comune di San Luca».
Aggiungeva la Corte territoriale che «l’individuazione del luogo su quale la discarica è stata edificata, per come si evince dalle relazioni peritali in atti del primo grado, è risultata concausa del danno».
La corresponsabilità della Regione derivava «dalla riconosciuta inidoneità del sito in cui la discarica era stata ubicata per non essere il vallone Mancusa idoneo per tale fine (vedasi CTU dott. COGNOME)».
Dagli elaborati peritali emergeva che «il sito destinato a discarica di rifiuti solidi urbani sia stato male ubicato per le condizioni litologiche e morfologiche del territorio».
Si aggiungeva che «la discarica consortile era stata progettata e costruita in assenza degli opportuni accorgimenti, soprattutto con riferimento ad una valutazione della sicurezza idrologica dell’invaso che la ospitava».
Pertanto, «se tali accorgimenti fossero stati adottati, gli effetti dannosi prodotti dall’esondazione del vallone Mancusa a seguito delle piogge dell’autunno 2000 sarebbero stati minori».
Per la Corte d’appello, allora, «dall’individuazione di un sito inidoneo discende una condotta della Regione corresponsabile dell’evento per cui è causa».
La corresponsabilità del Comune di San Luca emergeva dal fatto che aveva individuato il sito per la costruzione della discarica consortile, unitamente alla Regione.
Nelle consulenze svolte si era affermato che in fase esecutiva «non sono stati osservati tutti quegli accorgimenti che un approfondito studio idreologico avrebbe permesso di individuare».
Inoltre, «l’evento eccezionale di cui si parla rientra tra quegli eventi che ha un tempo di ritorno di 25-30 anni».
Per quel che ancora qui rileva, la Corte territoriale non riconosceva la sussistenza del caso fortuito, ossia della portata causale esclusiva ed eccezionale dell’alluvione del settembre 2000.
La Corte territoriale rimarcava che il giudice di prime cure aveva qualificato la fattispecie come responsabilità ex art. 2051 c.c.
La discarica era stata collocata in un sito inidoneo, per la sua conformazione geolitologica e morfologica, rappresentando che «non vi era stato uno studio idraulico dell’invaso basato su ipotesi di piogge intense quindi tali da intervenire su un naturale sistema del deflusso delle acque; lo studio infatti avrebbe permesso di verificare la congruità delle opere idrauliche previste nel sito e la necessità di ulteriori interventi».
Per tale ragione, l’invaso non poteva reggere ad un evento più intenso rispetto a quelli ordinari «che, comunque si ripete nel tempo».
Per il CTU, pur trattandosi di evento eccezionale, tanto da essere stato riconosciuto lo stato di calamità naturale, tuttavia tali fenomeni si ripetevano «ciclicamente per cui dovevano essere previsti».
Pertanto – sempre ad avviso del CTU – «si sarebbe dovuto individuare un sito più idoneo, costruire la discarica con maggiore diligenza, esercitare un più proficuo potere di gestione e custodia, disporre gli interventi necessari ad eliminare le potenzialità dannosa del bene, esercitare il controllo sull’interezza della res ed eliminare tutte le situazioni di pericolo ad essa intrinseche o sopravvenute».
Per la Corte territoriale, poi, le precipitazioni atmosferiche integravano l’ipotesi di caso fortuito, ai sensi dell’art. 2051, solo ove assumessero i caratteri dell’imprevedibilità oggettiva e dell’eccezionalità, da accertarsi con indagini orientate essenzialmente da dati scientifici di tipo statistico (i cc.dd. dati pluviometrici).
L’onere di fornire la prova dell’esatta dinamica dell’evento dannoso ricadeva sugli attori, mentre restava in capo alle amministrazioni convenute «l’onere di fornire la prova dell’imputabilità dell’evento al caso fortuito, inerente alla dimostrazione dell’esistenza di un fatto estraneo alla loro sfera, avente impulso causale autonomo e carattere di imprevedibilità ed eccezionalità», restando a carico del custode il fatto ignoto.
Il CTU, però, aveva concluso nel senso che «l’evento eccezionale di cui si parla rientra tra quegli eventi che ha un tempo di ritorno di 25-30 anni ed una struttura realizzata in un sito adeguato al tipo di utilizzazione con accorgimenti tecnici per eventi particolari, da preventivare in quanto sono necessari ipotesi progettuali con lo studio delle precipitazioni per un periodo di almeno 100 anni, non avrebbe prodotto effetti dannosi come quelli prodotti con l’esondazione del vallone Mancusa».
Quanto alle spese del giudizio, stante la reciproca sostanziale soccombenza, venivano compensate le spese del giudizio d’appello.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Regione Calabria, depositando anche memoria scritta.
Hanno resistito con controricorso gli attori, depositando anche memoria scritta.
È rimasto intimato il Comune di San Luca.
2. I MOTIVI DI IMPUGNAZIONE
Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «q.l.c. artt. 62-72 decreto-legge 69/13, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.»
E’ stata già sollevata questione di legittimità costituzionale della Corte di cassazione con le ordinanze numeri 32032/19 e 32033/19.
La componente del collegio, estensore della sentenza impugnata, è un giudice ausiliario d’appello.
Vi sarebbe violazione degli articoli 102 e 106 della Costituzione per la creazione di una «Magistratura parallela» in misura strutturale.
1.1. Il motivo, cui la ricorrente ha rinunciato in sede di memoria scritta, è inammissibile per sopravvenuto difetto di interesse.
Sarebbe comunque infondato.
Per questa Corte, infatti, a seguito della sentenza della Corte Cost. n. 41 del 2021, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di quelle disposizioni, contenute nel d.l. n. 69 del 2013 (conv. con modif. nella l. n. 98 del 2013), che conferiscono al giudice ausiliario di appello lo “status” di componente dei collegi nelle sezioni delle corti di appello, queste ultime potranno legittimamente continuare ad avvalersi dei giudici ausiliari, fino a quando, entro la data del 31/10/2025, si perverrà ad una riforma complessiva della magistratura onoraria; fino a quel momento, infatti, la temporanea tollerabilità costituzionale dell’attuale assetto è volta ad evitare l’annullamento delle decisioni pronunciate con la partecipazione dei giudici ausiliari e a non privare immediatamente le corti di appello
dei giudici onorari al fine di ridurre l’arretrato nelle cause civili (Cass., sez. 6-2, 5/11/2021, n. 32065).
Con il secondo motivo di impugnazione si deduce «violazione degli articoli 34 e 35 del decreto legislativo 80/98, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 1, c.p.c.».
La Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto sussistere la giurisdizione del giudice ordinario, affermando che, nel caso in esame, il richiamo di provvedimenti relativi alla costruzione della discarica non poteva determinare la giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto non erano stati espressamente impugnati, «ma richiamati solo come uno dei presupposti di fatto dell’evento, privo di efficacia causale diretta sul danno».
Sarebbe errata la tesi della Corte territoriale per cui sussisterebbe la giurisdizione del giudice ordinario nel caso in cui esercizio del potere amministrativo non rileva in sé ma per l’efficacia causale del danno-evento da affidamento incolpevole, controvertendosi non sulla legittimità dei provvedimenti amministrativi, ma «sulla situazione di diritto soggettivo, rappresentata dalla conservazione dell’integrità del patrimonio leso».
In realtà, però, la stessa sentenza impugnata afferma che «la responsabilità dell’appellante principale veniva individuata alla stregua di due distinti atti: della delibera 1646 del 26/4/1988 e del D.G.R. n. 5114 del 22/10/1990».
Gli attori, nell’atto introduttivo, hanno individuato la fonte della responsabilità della Regione «nell’approvazione del progetto della discarica e nel relativo finanziamento e comunque in violazione con quanto previsto dalle leggi in materia di discariche».
Per la ricorrente, sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo allorché la lesione di diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione, come il diritto alla salute, siano conseguenti ad un
«comportamento materiale, espressione di poteri autoritativi e conseguente ad atti della PA di cui sia denunciata la illegittimità», in materie riservate alla giurisdizione esclusiva (si cita Cass. Sez. U., n. 27187/07).
Viene citata anche altra pronuncia di questa Corte (Sez.U., n. 19882/2014), che ha ravvisato la giurisdizione del giudice amministrativo in quanto i pareri resi dall’ufficio del genio civile erano viziati perché emessi «in assenza degli studi richiesti». Si trattava, anche in quel caso, di valutare l’equilibrio geomorfologico del territorio al fine del rilascio di autorizzazioni o concessioni.
Risulta assolutamente irrilevante il riferimento fatto dalla Corte d’appello alla mancata impugnativa degli atti regionali.
Con il terzo motivo di impugnazione si deduce la «violazione articoli 112, 2043 e 2051 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.».
La Corte territoriale ha respinto il motivo di appello relativo alla natura degli eventi del settembre del 2000, escludendo che gli stessi potessero essere ricondotti a caso fortuito e ricollegando anche il titolo di responsabilità della Regione, ex art. 2051 c.c., alla responsabilità di chi abbia cose in custodia.
L’errore in cui sarebbe incorsa la Corte d’appello è quello di aver qualificato ex officio anche la responsabilità della Regione, come responsabilità da cose in custodia ex art. 2051 c.c.
Al contrario, nella sentenza di primo grado la responsabilità regionale era stata individuata come «da attività provvedimentale, o come generica responsabilità extracontrattuale, da ricondursi – non essendo custode -al solo art. 2043 c.c.».
Anche gli attori, nell’atto introduttivo del giudizio, avevano diversificato le forme di responsabilità, rinvenendo la fonte della responsabilità della Regione nell’approvazione del progetto della
discarica e nel relativo finanziamento, e quella del Comune «quale titolare della gestione e custode della stessa (discarica)».
La Corte d’appello, dunque, in assenza di impugnazione incidentale, avrebbe modificato il titolo della responsabilità regionale, «in primo grado limitato alla individuazione del sito di costruzione, e quindi da collegarsi all’art. 2043, indicandola ora, invece, quale custode della discarica assieme al Comune, ed applicando quindi anche alla Regione il relativo regime fissato dall’art. 2051 c.c.».
Con il quarto motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la «violazione articoli 115, 116 c.p.c. e 2697 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
La ricorrente reputa erronea la pronuncia della Corte territoriale nella parte in cui ha ritenuto che gli eventi meteoritici di settembre/ottobre del 2000 non integrassero il caso fortuito in relazione agli accadimenti, non avendo la Regione offerto idonea prova contraria.
La Regione non è la custode della discarica, come emerge dalla sentenza impugnata, ma il giudice d’appello, applicando indebitamente l’art. 2051 c.c., ha attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risulta onerata.
Per la ricorrente, peraltro, gli attori avevano allegato che il danno si era verificato a «fine Settembre, inizi Ottobre», sicché, «stante la ravvicinata ripetizione di due distinti eventi calamitosi», si rendeva «il secondo ‘fatto’ obiettivamente non prevedibile».
Ad avviso della ricorrente, dunque, un primo evento calamitoso si è verificato nei giorni 9 e 10 settembre del 2000 (come da DPCM 12/9/2000, pubblicato il 15/9/2000), ed in relazione allo stesso gli attori non avevano lamentato alcuno sversamento dalla discarica,
mentre l’evento dannoso lamentato dagli attori si era verificato il 29 e 30 settembre.
Da altro DPCM 2/10/2000 emergeva che il versante ionico della Regione Calabria «nel periodo dal 29 settembre ai primi di ottobre 2000 è stato nuovamente colpito da un’eccezionale ondata di maltempo che ha causato nuovi danni alle infrastrutture pubbliche ed ai beni di proprietà pubblica e privata».
Vi sarebbe stato allora, un evidente travisamento delle prove.
La decisione avrebbe disatteso «prove legali (i due DPCM, in ordine alle date dei due eventi calamitosi)».
Con il quinto motivo di impugnazione la ricorrente si duole della «violazione articoli 4 del decreto-legge 279/2000, convertito in legge 365/2000; DPCM 12/9/2000; DPCM 2/10/2000; ordinanza 10/11/2000, n. 3094, 2043, 2051 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
La ricorrente afferma di non essere mai stata custode della discarica sicché, applicando il regime di cui all’art. 2043 c.c., vi sarebbe la prova (i due DPCM di settembre e ottobre 2000 attestano lo stato di emergenza per entrambi gli episodi calamitosi, del 9/10 settembre e del 29/30 settembre) che l’evento calamitoso «escluda sia l’elemento soggettivo in capo alla Regione sia il nesso di causalità con l’evento di danno».
Anche in caso di applicazione dell’art. 2051 c.c., peraltro, il ripetersi dopo 20 giorni di un nuovo evento calamitoso dovrebbe integrare il concetto di imprevedibilità dell’evento stesso.
Un nuovo evento calamitoso era scientificamente da attendersi 25/30 anni dopo, e non venti giorni dopo.
Con il sesto motivo di impugnazione si deduce la «violazione art. 91 e 336 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
In esito al giudizio d’appello, la Corte, avendo accolto in parte l’appello principale della Regione, condannando gli attori a restituire parte delle somme percepite, ha provveduto alla compensazione integrale delle spese del giudizio d’appello.
La Corte avrebbe però omesso, come imposto dagli articoli 91 e 336 c.p.c., di determinare il regolamento delle spese del primo grado di giudizio.
3. LA DECISIONE DELLA CORTE D’APPELLO SULLA GIURISDIZIONE
Con riferimento alla questione di giurisdizione sollevata con il secondo motivo di ricorso dalla Regione Calabria, deve osservarsi che la fattispecie in esame presenta talune peculiarità che inducono questo Collegio a disporre la trasmissione degli atti alla Prima Presidente della Corte di cassazione, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite di questa Corte.
1.1. La questione affonda le sue radici nella decisione del giudice di appello che ha affermato la responsabilità della Regione Calabria che ha adottato due provvedimenti ritenuti – dalla Corte di merito concausa del danno: la delibera regionale n. 1646 del 26/4/1988, con cui si è individuato il sito – poi reputato inidoneo – ove realizzare la discarica consortile al servizio di più comuni; e la delibera regionale del 22/10/1990 con cui è stato approvato il progetto della discarica.
Diventa dirimente, dunque, stabilire se la responsabilità della P.A., da comportamento colposo, sia collegata o meno a provvedimenti autoritativi, in ragione del che, in caso positivo, si avrebbe, infatti, motivo di ipotizzare la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo, trattandosi di materia di giurisdizione esclusiva (edilizia e urbanistica, in presenza di
provvedimenti incidenti sul territorio, ex art. 34 del d.lgs. n. 80 del 1998, all’epoca vigente).
Non si rinvengono precedenti specifici di questa Corte, a Sezioni Unite, idonei a consentire a questo Collegio di decidere, ex art. 374, primo comma, c.p.c., la questione di giurisdizione.
Anzi, alcune pronunce di questa Corte, proprio in tema di responsabilità della P.A. derivante dall’approvazione di progetti di opere pubbliche – e segnatamente da comportamenti colposi posti in essere nella fase progettuale e esecutiva -, appaiono in qualche misura dissonanti tra loro, giungendo a conclusioni differenti, anche se forse giustificate dai casi peculiari di volta in volta scrutinati.
La Corte d’appello, in relazione all’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario sollevata dalla Regione, si è limitata ad affermare la propria giurisdizione, fondandola quasi esclusivamente sulla qualifica di diritto soggettivo spettante agli attori a titolo di risarcimento.
Ha infatti ritenuto la Corte territoriale che «in presenza di domanda risarcitoria per lesione dell’integrità patrimoniale, ai sensi degli articoli 2043 e 2051 c.c., l’esercizio del potere amministrativo non rileva in sé ma per l’efficacia causale del danno-evento da affidamento incolpevole, per cui si controverte non sulla legittimità dei provvedimenti amministrativi ma sulla situazione di diritto soggettivo, rappresentata dalla conservazione dell’integrità del patrimonio leso».
Così facendo, però, la Corte d’appello è rimasta ancorata ad una distinzione e ad un riparto di giurisdizione, ancora ferma sulla distinzione tra diritti soggettivi ed interessi legittimi, obliterando tutta la nuova casistica di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, disegnata dal legislatore, anche con riferimento ai diritti fondamentali della persona, compreso il diritto alla salute.
Inoltre, il richiamo alla pronuncia di questa Corte, a sezioni unite, n. 7529 del 25/3/2020, non appare esaustivo, in quanto in quella fattispecie, come si dirà in seguito, si trattava di danni patrimoniali subiti dai privati per effetto dei lavori di costruzione di un tratto autostradale, a seguito di comportamenti colposi determinatisi nella fase di progettazione e realizzazione dell’opera pubblica.
In quella fattispecie, però, la condotta della PA non era in alcun modo collegata ad atti autoritativi.
4. L’AFFIEVOLIMENTO DEI DIRITTI COSTITUZIONALMENTE TUTELATI
La sentenza della Corte di merito pare muovere da una concezione dei diritti costituzionalmente tutelati, non suscettibili di affievolimento, ormai superata da tempo.
Con riguardo alla problematica del rapporto tra i diritti fondamentali della persona (diritto alla salute e all’ambiente) e l’attività della pubblica amministrazione, in passato si era posta la questione «dell’affievolimento dei diritti costituzionalmente tutelati».
Si riteneva, infatti, soprattutto nella giurisprudenza di merito che i diritti fondamentali (diritto alla salute, alla salubrità e all’ambiente) avessero natura tale da non poter degradare di fronte ad atti autoritativi, con la conseguente attribuzione della giurisdizione al giudice ordinario.
Si sarebbe trattato di una sorta di ipotesi di carenza assoluta di potere della PA, in presenza di diritti fondamentali.
Per questa Corte, dunque, il potere del Comune, in tema di disciplina del commercio ambulante e di organizzazione di mercati sul suolo pubblico, non include la facoltà di degradare il diritto alla salute il quale è sottratto ad ogni possibilità di affievolimento né il diritto dominicale, occorrendo all’uopo l’esercizio di potestà ablativa. Pertanto, la domanda, con la quale i proprietari di immobili latistanti
a una strada nella quale è esercitato un mercato all’aperto chiedano la condanna del comune al risarcimento dei danni, ovvero l’adozione di idonee misure (anche in via d’urgenza, “ex” art. 700 cod. proc. civ.), denunciando lesione di quei diritti discendente dall’esercizio dell’indicato potere, non si sottrae alla giurisdizione del giudice ordinario – salva restando la questione dell’osservanza dei limiti interni delle attribuzioni di detto giudice, in relazione alle statuizioni in concreto richieste contro l’amministrazione – (Cass., Sez.U., 23/6/1989, n. 2999).
Tale principio è stato anche successivamente ribadito da questa Corte (Cass., 13/6/2006, n. 13659), in quanto nel sistema normativo conseguente alla legge 21 luglio 2000, n. 205, la tutela giurisdizionale risarcitoria contro l’agire illegittimo della P.A. spetta al giudice ordinario solo in casi marginali, quante volte il diritto del privato non sopporti compressione per effetto di un potere esercitato in modo illegittimo o, se lo sopporti, quante volte l’azione della P.A. non trovi rispondenza in un precedente esercizio del potere, che sia riconoscibile come tale, perché a sua volta deliberato nei modi ed in presenza dei requisiti richiesti per valere come atto o provvedimento e non come mera via di fatto. Pertanto, l’amministrazione deve essere convenuta davanti al giudice ordinario in tutte le ipotesi in cui l’azione risarcitoria costituisca reazione alla lesione di diritti incomprimibili (come la salute o l’integrità personale).
Proprio in materia di discariche di rifiuti urbani questa Corte aveva riservato al giudice ordinario ogni controversia in materia di danno alla salute, che dalla collocazione nel territorio di tali infrastrutture potesse derivare (Cass., Sez.U., 17/11/1992, n. 12307; Cass., 28/11/1990, n. 11457).
Tale principio è stato però successivamente superato dalla Corte costituzionale (sentenza n. 140 del 2007), la quale ha rilevato
che non osta alla legittimità del sistema la natura fondamentale dei diritti soggettivi coinvolti nelle controversie di cui all’art. 1, comma 552, della legge 30/12/2004, n. 311, non essendovi alcun principio o norma del nostro ordinamento che riservi esclusivamente al giudice ordinario – escludendone il giudice amministrativo – la tutela dei diritti costitutivamente protetti.
Pertanto, l’orientamento espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte, circa la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario in presenza di alcuni diritti assolutamente prioritari (un nucleo rigido) tra cui quello alla salute, risulta enunciato in ipotesi in cui venivano in considerazione meri comportamenti della pubblica amministrazione, e pertanto esso è coerente con la sentenza n. 204 del 2004, con la quale la Corte costituzionale ha escluso dalla giurisdizione esclusiva la cognizione del risarcimento del danno conseguente a meri comportamenti della pubblica amministrazione.
2.1. Fatta questa premessa, ci si può ricollegare alla sentenza di questa Corte n. 7187 del 28/12/2007, richiamata nel motivo di ricorso per cassazione.
Si è chiarito che non è fondata la tesi per cui l’attività materiale della PA, potenzialmente lesiva del diritto alla salute dei cittadini di un comune ad un ambiente igienicamente sicuro, non consente la degradazione dei diritti fondamentali protetti dalla Costituzione (come quello alla salute) ad interessi legittimi. Non è quindi condivisibile sostenere che la PA, in tali ipotesi, agirebbe sempre in carenza assoluta di potere, con comportamenti da ritenersi sempre non fondati sull’esercizio di un potere e da valutarsi come attività materiali e di mero fatto, riservate all’esclusiva cognizione del giudice ordinario.
In realtà – continua la Corte di cassazione – conformemente a quanto statuito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 140 del
2007, non vi è ragione per denegare la cognizione dei giudici amministrativi allorché, in materia di giurisdizione esclusiva, vi sia una controversia avente ad oggetto comportamenti materiali che siano effetto di atti della PA o espressione di poteri di questa e ledano diritti, anche se fondamentali e tutelati della Costituzione, perché comunque resta ferma la cognizione giurisdizionale dei giudici amministrativi, sulla base di quanto chiarito anche dalle sentenze della Corte costituzionale 28/4/2004, n. 204 e 8/3/2006, n. 191, in rapporto alla lettura della parola «comportamenti» di cui all’art. 34 del decreto legislativo n. 80 del 1998.
Per questa Corte (Cass. n. 27187 del 2007), dunque, deve distinguersi sempre tra i comportamenti materiali, che esprimono l’esercizio di un potere amministrativo e sono collegati comunque ad un fine pubblico o di pubblico interesse legalmente dichiarato, da quelli di mero fatto, «riservando solo i primi alla cognizione dei giudici amministrativi, nelle materie riservate alla giurisdizione esclusiva di questi ultimi».
Pertanto, ai fini della individuazione del giudice munito di giurisdizione, in materia di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, il discrimine non pare sia sicuramente segnato dalla natura dei diritti soggettivi asseritamente insopprimibili del privato.
Ciò che sembra rilevare è, invece, la natura del comportamento posto in essere dalla PA, se ricollegato o meno ad un provvedimento amministrativo.
Nel caso in cui il comportamento posto in essere sia collegato ad un provvedimento amministrativo a monte, la giurisdizione potrebbe infatti appartenere al giudice amministrativo, nelle materie di giurisdizione esclusiva, anche in presenza di un diritto soggettivo del privato.
5. LA QUESTIONE DI GIURISDIZIONE NELLE IPOTESI DI PROGETTAZIONE ED ESECUZIONE DI LAVORI PUBBLICI, IN MATERIA DI GIURISDIZIONE ESCLUSIVA
La Corte di appello ha ritenuto sussistere la giurisdizione del giudice ordinario anche in adesione alla pronuncia di questa Corte n. 7529 del 25/3/2020, per la quale l’inosservanza di regole tecniche o canoni di diligenza e prudenza nella gestione dei propri beni può essere fatta valere dal privato dinanzi al giudice ordinario, non investendo tale domanda scelte ed atti autoritativi.
In tal caso, la domanda risarcitoria «rimane in capo al G.O. quando trae origine ‘da un mero comportamento di natura colposa non riconducibile all’esercizio di potestà autoritativa’».
Si trattava, in quella fattispecie, dell’approvazione da parte della P.A. del progetto di opera pubblica, oltre che dell’esecuzione della stessa.
Va sottolineato che la materia urbanistica (concernente tutti gli aspetti dell’uso del territorio), nella disciplina normativa applicabile ratione temporis , e quindi con riferimento all’art. 34 del d.lgs. n. 80 del 1998, rientra tra quelle di giurisdizione esclusiva, ove il giudice amministrativo può conoscere sia di diritti soggettivi che di interessi legittimi, pur se con i temperamenti di cui alle sentenze della Corte costituzionale n. 204 del 2004 e n. 281 del 2004.
2.1. L’art. 133 c.p.a. (d.lgs. n. 104 del 2010), non applicabile ratione temporis , fa rientrare nell’ambito della giurisdizione esclusiva non solo la «materia urbanistica ed edilizia» (lettera f), ma anche «le controversie comunque attinenti alla complessiva azione di gestione del ciclo dei rifiuti, seppure posta in essere con comportamenti della pubblica amministrazione, riconducibili, anche mediatamente, all’esercizio di un pubblico potere, quand’anche relative a diritti costituzionalmente tutelati».
Il panorama giurisprudenziale di legittimità pare presentare però delle difformità, probabilmente legate alla casistica trattata.
6. LA TESI DELLA GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA IN CASO DI APPROVAZIONE DI PROGETTI ED ESECUZIONE DI OPERA PUBBLICA
Il tema preconizzato dal motivo in disamina è dunque quello della individuazione della giurisdizione nelle ipotesi in cui la P.A. abbia provveduto ad emettere atti o provvedimenti nel procedimento volto al rilascio di provvedimenti ampliativi della sfera giuridica del privato.
Utili spunti di riflessione si ritraggono dalla pronuncia di questa Corte (Cass., Sez.U., 22/9/2014, n. 19882) che ha dichiarato la giurisdizione del giudice amministrativo in materia urbanistica ed edilizia (giurisdizione esclusiva). Nella specie, la domanda degli attori nei confronti della Regione Calabria si fondava su un titolo di responsabilità consistente, quale illecito extracontrattuale da comportamento negligente o imprudente, nella deduzione «che i pareri resi dall’ufficio del genio civile con le note n. 3686 del 20 marzo 1990 n. 6638 del 26 maggio 1994 siano viziati perché emessi in assenza degli studi richiesti con il primo parere ed in immotivata contraddizione con questo».
Per tale ragione – ha chiarito nell’occasione questa Corte – la domanda avanzata nei confronti della Regione Calabria risultava «strettamente collegata non a mera attività materiale, disancorata e non sorretta da un atto amministrativo formale, ma a specifici provvedimenti amministrativi emessi nell’ambito e nell’esercizio di poteri autoritativi, ancorché viziati dalle indicate illegittimità».
La giurisdizione del giudice amministrativo si fondava, allora, sulla natura pubblicistica del procedimento preordinato allo svolgimento delle attività, sul carattere squisitamente pubblico degli
interessi coinvolti (equilibrio geomorfologico del territorio), sulle scelte discrezionali della PA (rilascio di autorizzazioni e/o concessioni), sull’utilizzo da parte della PA di strumenti autoritativi, sulla manifesta incidenza sul territorio del progetto e della sua attuazione e, soprattutto sul nesso esistente tra atti e provvedimenti delle pubbliche amministrazioni ed uso del territorio.
Ulteriore addentellato a sostegno della giurisdizione del giudice amministrativo proviene da altra sentenza di questa Corte, sempre a sezioni unite (Cass., Sez.U., 4/11/2015, n. 22511), con riferimento alla normativa speciale di cui all’alluvione del Piemonte dell’anno 2000.
I lavori fatti eseguire dal Comune piemontese avevano il loro fondamento in un procedimento amministrativo sulla cui legittimità il giudice ordinario non poteva pronunciarsi. Si trattava di danni causati ai privati dalla realizzazione da parte del Comune, su un fondo di loro proprietà, di una fossa di scolo, nell’ambito di un intervento di consolidamento del fabbricato adibito a municipio e del versante collinare retrostante, realizzato in virtù di finanziamenti della Regione Piemonte, proprio a seguito dell’alluvione occorsa nell’autunno del 2000, allo scopo di prevenire il rischio di una nuova alluvione e smottamenti in quel versante collinare.
In altra fattispecie è stata ritenuta sussistere la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nella controversia avente ad oggetto la domanda proposta da alcuni proprietari di immobili ai fini del risarcimento del danno subito a seguito della realizzazione di una linea ferroviaria ad alta velocità, negandosi rilievo alla circostanza che i ricorrenti non avessero chiesto anche l’annullamento dei provvedimenti amministrativi in base ai quali l’opera era stata progettata ed eseguita (Cass., Sez.U., 27/7/2005, n. 1570).
La progettazione e l’esecuzione dell’opera pubblica da parte della P.A., dunque, determina il collegamento del comportamento della P.A. a provvedimenti amministrativi, con giurisdizione del giudice amministrativo.
Del resto, anche in altre pronunce di questa Corte si è ritenuta sussistere la giurisdizione del giudice amministrativo, con riferimento a richieste di risarcimento danni legate ad errori progettuali della PA.
Si è ribadito che l’inosservanza da parte della PA delle regole tecniche o dei canoni di diligenza e prudenza nella gestione dei propri beni può essere denunciata dal privato davanti al giudice ordinario non solo per conseguire la condanna della PA al risarcimento dei danni, ma anche per ottenerne la condanna ad un facere , tale domanda non investendo scelte ed atti autoritativi della PA, ma un’attività soggetta principio del neminem laedere (Cass. Sez.U., 10/7/2017, n. 16986).
In quest’ultima ipotesi, questa Corte ha affermato la giurisdizione del giudice ordinario, ma solo perché non risultava contestato «il progetto di ubicazione della linea ferroviaria né dedotta, neppure incidentalmente, l’illegittimità dei provvedimenti amministrativi di approvazione dei relativi lavori pubblici».
Dalla lettura dell’atto introduttivo non risultava che la società attrice avesse prospettato la lesione dei propri diritti soggettivi come effetto di un atto amministrativo o di una condotta costituente diretta espressione dei poteri autoritativi di cui si denunciava di legittimità, avendo essa fatto valere in causa «esclusivamente l’illiceità di comportamenti adottati nella fase esecutiva dell’opera pubblica», senza che venissero in discussione atti autoritativi della PA.
Il petitum sostanziale era individuabile esclusivamente nel diritto dei proprietari di immobile situato nei pressi del cantiere ad essere
indennizzati o risarciti dei disagi derivanti dalle modalità di svolgimento dei lavori nel suddetto cantiere.
In altra ordinanza di questa Corte, pur dichiarandosi la giurisdizione del giudice ordinario, si è evidenziato che vi sarebbe stata giurisdizione del giudice amministrativo se fossero stati contestati profili attinenti alla legittimità dell’iter amministrativo a monte che conduceva all’approvazione del progetto alla realizzazione dell’opera pubblica (Cass., Sez.U., 25/2/2016, n. 3732).
Vi è, quindi, giurisdizione del giudice amministrativo se si «contesta il progetto di ubicazione della linea ferroviaria» o se si mettono in discussione i provvedimenti amministrativi di approvazione dei relativi lavori pubblici (Cass., n. 3732 del 2016, cit.).
Di particolare rilievo è un’altra pronuncia di questa Corte, sempre a sezioni unite, a mente della quale in materia urbanistica ed edilizia, la domanda di risarcimento del danno del proprietario di area contigua a quella in cui è realizzata l’opera pubblica (nella specie, la linea ferroviaria dell’alta velocità) appartiene alla giurisdizione ordinaria ove, nella prospettazione dell’attore, fonte del danno non siano né il “se” né il “come” dell’opera progettata, ma le sue concrete modalità esecutive, atteso che la giurisdizione esclusiva amministrativa si fonda su un comportamento della P.A. (o del suo concessionario) che non sia semplicemente occasionato dall’esercizio del potere, ma si traduca, in base alla norma attributiva, in una sua manifestazione e, cioè, risulti necessario, considerate le sue caratteristiche in relazione all’oggetto del potere, al raggiungimento del risultato da perseguire (Cass., Sez.U., 3/2/2016, n. 2052; anche Cass., Sez.U., 17/12/2020, n. 28980).
È stato valorizzato anche l’art. 7 c.p.a., per il quale, «sono devolute alla giurisdizione amministrativa le controversie, nelle quali
si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi, concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche immediatamente all’esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni».
Si è, dunque, affermata la giurisdizione del giudice amministrativo ove si sia in presenza di comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere, laddove solo i comportamenti di mero fatto, del tutto slegati da provvedimenti amministrativi, comportano la giurisdizione del giudice ordinario.
Ha precisato questa Corte (Cass., Sez.U. 3/2/2016, n. 2052), che il legislatore non ha accolto il criterio meramente finalistico «basato sulla mera occasionalità, ma parlando di riconducibilità al potere ha richiesto che il comportamento presenti oggettivamente un collegamento con l’esercizio del potere, costituisca, dunque, una manifestazione del potere, ancorché da verificare esistente»; ciò ai fini dell’affermazione della giurisdizione del giudice amministrativo.
In quel caso, è stata ritenuta sussistere la giurisdizione del giudice ordinario dato che «i comportamenti, in quanto determinativi di effetti sui beni contigui, sebbene costituiti da attività ed operazioni tenuti su quelli oggetto dell’esercizio autoritativo del potere, non rilevano per i loro effetti materiali su questi ultimi beni, bensì per gli effetti che provocano sui beni contigui».
Riguardo ai beni contigui i comportamenti tenuti per effetto delle scelte anche tecniche eseguite si connotano in comportamenti e, dunque, in effetti che concernono posizioni estranee all’esercizio del potere di cui trattasi.
Si trattava dei proprietari frontisti di immobili riguardo alle aree di cantiere aperte per la realizzazione di opere di alta velocità.
7. LA TESI DELLA GIURISDIZIONE DEL GIUDICE ORDINARIO ANCHE IN CASO DI PROGETTAZIONE E APPROVAZIONE DI OPERA PUBBLICA
Talora questa Corte ha reputato sussistere la giurisdizione del giudice ordinario anche in ipotesi in cui la PA aveva progettato l’opera pubblica ed aveva provveduto alla sua esecuzione.
Anche se – si ripete – dovrebbe trattarsi solo di una apparente differenziazione, dovendosi tenere conto delle concrete fattispecie scrutinate.
Si rinvengono, quindi, pronunce di questa Corte in cui si valorizzano, ai fini della dichiarazione della giurisdizione del giudice ordinario, sempre in materie di giurisdizione esclusiva, comportamenti della PA relativi alla progettazione ed esecuzione di opere pubbliche.
Si è rimarcato, quindi, che nella fase esecutiva del rapporto concessorio, di cui all’art. 33 del d.lgs. n. 80 del 1998, come modificato dalla legge n. 205 del 2000, vi è giurisdizione del giudice ordinario, ove si tratti di prestazioni inerenti alla progettazione ed alla costruzione delle opere per gli interventi di realizzazione delle rete ferroviaria, ove non venga in rilievo «l’esercizio di poteri autoritativi della pubblica amministrazione, ma esclusivamente questioni in ordine alla violazione degli obblighi di buona fede e correttezza, in ordine alla quale la P.A. si pone in posizione paritetica (Cass., Sez.U., 31/10/2023, n. 30267).
In sostanza, può osservarsi che, nell’ambito dell’attività di progettazione dell’opera pubblica, la giurisdizione si determinerebbe alla stregua della concreta condotta posta in essere dalla PA, se costituita da attività provvedimentale (giurisdizione del giudice
amministrativo) o da attività materiale, in violazione degli obblighi di buona fede e correttezza (giurisdizione del giudice ordinario).
Può richiamarsi a tal fine il principio giurisprudenziale di legittimità per cui appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario la domanda risarcitoria, proposta dal privato nei confronti della P.A., per i danni derivati alla proprietà privata in conseguenza di comportamenti colposi determinatisi nella fase di progettazione e realizzazione di un’opera pubblica, trovando essa fondamento nell’inosservanza di regole tecniche o di canoni di diligenza e prudenza nell’esecuzione dei lavori, senza investire scelte ed atti autoritativi dell’amministrazione medesima (Cass., Sez.U., 25/3/2020, n. 7529).
Si è ritenuto, infatti, che l’inosservanza di regole tecniche o canoni di diligenza e prudenza nella gestione dei propri beni può essere fatta valere dal privato davanti al giudice ordinario sia per conseguire il risarcimento del danno nei confronti della PA sia per ottenere un facere , non investendo tale domanda scelte ed atti autoritativi della PA.
Nella pronuncia suddetta (Cass., Sez.U., n. 7529 del 2020) gli attori avevano dedotto la mancanza di un’adeguata progettazione con riferimento specifico al drenaggio del terreno, irrilevante ai fini della giurisdizione, perché si trattava comunque «delle modalità esecutive della realizzazione dell’opera cui è estraneo l’esercizio di potestà autoritative».
8. CONCLUSIONI
La controversia in esame è ancora più complessa, in quanto, come detto, viene in rilievo anche – e soprattutto – la scelta iniziale della Regione Calabria di individuazione del sito – ritenuto inidoneo dalla Corte di appello come pure dal giudice di prime cure, in assenza
dei necessari studi idrogeologici – su cui realizzare la discarica consortile di rifiuti (delibera regionale 1646 del 26/4/1988).
Non è dunque in discussione soltanto – in materia di giurisdizione esclusiva – la condotta della PA di approvazione del progetto di opera pubblica (la discarica consortile), e quindi la delibera regionale del 22/10/1990, ma anche la condotta della PA di individuazione dell’ambito n. 7 per la realizzazione della discarica, e dunque la delibera regionale n. 1646 del 26/4/1988.
Nella specie, è proprio la Corte d’appello ad affermare che gli attori, nel richiedere il risarcimento dei danni cagionati alla proprietà, hanno contestato i due provvedimenti amministrativi della Regione Calabria, volti, il primo, alla individuazione dell’ambito n. 7, ove collocare la discarica, e l’altro, alla approvazione del progetto della discarica consortile, al servizio di più comuni.
Ha affermato la Corte territoriale che sono stati «dimostrati elementi dai quali desumere una responsabilità risarcitoria a carico della Regione Calabria ed è una condotta concausa dell’evento».
Si è precisato che nella «sentenza gravata la responsabilità dell’appellante principale veniva individuata alla stregua di due distinti atti: della delibera 1646 del 26/4/1988 e del D.G.R. n. 51143 del 22/10/1990».
Ed infatti «con il primo provvedimento, la Regione aveva individuato l’ambito 7 per la realizzazione di una discarica destinata a servire una zona più ampia rispetto a solo comune di San Luca», mentre con il secondo provvedimento la Regione ha «approvato il progetto per la costruzione della discarica consortile a servizio dell’ambito n. 7 del Comune di San Luca».
Spettava, infatti, proprio alla Regione, sentito il Comune, ai sensi dell’art. 6 del d.p.r . 10/9/1982, n. 915, «l’individuazione, sentiti i comuni interessati, delle zone idonee in cui realizzare gli impianti di
trattamento e lo stoccaggio temporaneo definitivo dei rifiuti», oltre alla «approvazione dei progetti e degli elaborati tecnici riguardanti gli impianti di smaltimento dei rifiuti urbani».
Tuttavia, la Corte territoriale ha reputato inidoneo il luogo scelto dalla Regione, dopo aver sentito i comuni, per la realizzazione della discarica consortile.
Per la Corte d’appello, infatti, «l’individuazione del luogo sul quale la discarica è stata edificata, per come si evince dalle relazioni peritali in atti del primo grado, è risultata concausa del danno»; ciò in quanto «la corresponsabilità della Regione deriva dalla riconosciuta inidoneità del sito in cui la discarica era stata ubicata per non essere il vallone Mancusa idoneo per tale fine».
Dagli elaborati peritali emergeva che «il sito destinato a discarica di rifiuti solidi urbani sia stato male ubicato per le condizioni litologiche e morfologiche del territorio», con la precisazione che «la discarica era stata progettata e costruita in assenza degli opportuni accorgimenti, soprattutto con riferimento ad una valutazione della sicurezza idrologica dell’invaso che la ospitava; che, se tali accorgimenti fossero stati adottati, gli effetti dannosi prodotti dall’esondazione del vallone Mancusa» a seguito delle piogge dell’autunno 2000 sarebbero stati minori.
La Corte territoriale afferma che «dall’individuazione di un sito inidoneo discende una condotta della Regione corresponsabile dell’evento per cui è causa».
Deve, dunque, valutarsi se, nella specie, il comportamento della pubblica amministrazione risulti collegato o meno al provvedimento autoritativo della PA che ha proceduto alla individuazione del sito per la costruzione della discarica, oltre che all’attività di approvazione del progetto ed esecuzione dell’opera
pubblica, ai fini della individuazione del giudice munito di giurisdizione.
E questo rende doverosa la rimessione degli atti alla Prima Presidente per l’eventuale assegnazione alle SS.UU.
P.Q.M.
La Corte, ai sensi dell’art. 374, primo comma, c.p.c., rimette gli atti alla Prima Presidente ai fini dell’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite della Corte di cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della I Sezione