Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 4044 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 4044 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 14/02/2024
ORDINANZA
nel ricorso R.G. n. 7535/2018
vertente tra
Comune RAGIONE_SOCIALE NOME , in persona del sindaco pro tempore , elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO in virtù di procura speciale in atti;
ricorrente
e
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME (anche in qualità di eredi di COGNOME NOME), elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO in virtù di procura speciale in atti;
contro
ricorrenti avverso la sentenza della Corte di appello di Catania n. 1431/2017, pubblicata il 20/07/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/12/2023 dal Cons. NOME COGNOME; letti gli atti del procedimento in epigrafe;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 489/2010, il Tribunale di Caltagirone, accoglieva la domanda proposta con atto di citazione notificato il 27/06/2003 da COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, in qualità di eredi di COGNOME NOME, volta ad ottenere il risarcimento del danno da occupazione usurpativa del terreno censito in Catasto Urbano al foglio 3 part. 246, per essere stato utilizzato per la realizzazione di una palestra comunale in assenza di dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, condannando il Comune RAGIONE_SOCIALE NOME al pagamento in favore degli attori della somma di € 51.321,51, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali.
Avverso tale statuizione proponevano appello i proprietari del terreno, censurando i capi della decisione che avevo determinato l’entità del risarcimento. Nel costituirsi, il Comune formulava appello incidentale sulla scorta dei seguenti motivi: 1. Violazione e falsa applicazione dei principi in materia di riparto di giurisdizione; 2. Violazione e falsa applicazione del principio del ne bis in idem ; 3. Infondatezza delle richieste risarcitorie per intervenuta cessione volontaria -Inammissibilità della relativa azione -Violazione dell’art. 1326 c.c.; 4. Prescrizione dell’azione ex art. 2947 c.c. -Violazione dei principi in materia di occupazione abusiva -Errata qualificazione della fattispecie.
All’esito del giudizio, con la sentenza in questa sede impugnata, la Corte di merito ha parzialmente accolto l’appello principale e rigettato quello incidentale, condannando il Comune di San NOME, a titolo di risarcimento del danno per la perdita della proprietà sull’immobile dei signori COGNOME, al pagamento della somma di € 75.216,73, oltre rivalutazione monetaria dalla domanda alla data di passaggio in giudicato della sentenza ed interessi legali sulla somma originaria rivalutata anno per anno sino alla data di passaggio in giudicato della pronuncia, ed oltre, per il periodo
successivo, gli interessi legali sulla somma rivalutata alla data di passaggio in giudicato sino all’effettivo soddisfo.
Avverso tale statuizione ha proposto ricorso per cassazione il Comune, affidato a cinque motivi di impugnazione.
Gli intimati si sono difesi con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie ex art. 380 bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dei principi in materia di riparto di giurisdizione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 1, c.p.c., per avere il giudice d’appello rigettato il motivo di impugnazione incidentale relativo al difetto di giurisdizione, muovendo dall’assunto che la fattispecie dovesse essere qualificata come ipotesi di occupazione usurpativa, in considerazione del fatto la dichiarazione di pubblica utilità del 28/09/1990 – nella quale era stato fissato in sessanta mesi il termine per il completamento dei lavori e per la conclusione del procedimento espropriativo -era divenuta inefficace per il trascorrere di detto termine senza che l’opera venisse realizzata e, dunque, fosse intervenuta l’irreversibile trasformazione del bene.
Secondo il ricorrente, nella specie, la dichiarazione di pubblica utilità non doveva ritenersi mancante, poiché l’occupazione aveva avuto inizio in forza di un titolo valido (la delibera di approvazione del progetto di costruzione della palestra), poi divenuto inefficace per la mancata conclusione nei termini della procedura espropriativa, con la conseguenza che esisteva la giurisdizione del giudice amministrativo sulle domande formulate, trattandosi di controversia nella quale si faceva questione -anche ai fini complementari della tutela risarcitoria – di attività di occupazione e trasformazione di un bene conseguenti ad una dichiarazione di pubblica utilità.
Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione del principio che vieta il bis in idem , in relazione
all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., perché la Corte d’appello aveva respinto l’eccezione di litispendenza formulata in primo grado e riproposta in sede di gravame, fondata sul fatto che i signori COGNOME avevano già proposto un’azione (R.G. 30/99 del Tribunale di Caltagirone), avente ad oggetto la restituzione della particella n. 246 oggetto del presente giudizio, anche se il Comune aveva inizialmente individuato in modo erroneo il procedimento per primo avviato (R.G. n. 833/1998 del Tribunale di Caltagirone) e aveva dovuto correggere le proprie dichiarazioni nella comparsa conclusionale d’appello. La Corte d’appello aveva, in particolare, rigettato la censura ritenendo che il giudizio, ora pendente davanti alla stessa Corte, risultava riguardare l’occupazione usurpativa dell’immobile di cui alla particella 245, che nulla aveva a che vedere col giudizio pendente, riferito alla particella 246.
Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione dell’art. 1326 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per avere la Corte d’appello escluso che lo scambio tra la proposta del Comune e l’accettazione dei resistenti fosse sufficiente ad integrare, ai sensi dell’art. 1326 c.c., un accordo di cessione volontaria del bene oggetto di occupazione, ritenendo necessaria la forma scritta ad substantiam , essendo la cessione volontaria posta in essere nell’esercizio della potestà pubblicistica, soggetta agli adempimenti richiesti dall’evidenza pubblica.
Il ricorrente ha, in particolare, affermato che dal tenore letterale delle espressioni utilizzate nello scambio di proposta ed accettazione, ed anche alla luce di una complessiva interpretazione sistematica coerente con i principi ermeneutici di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., la Corte d’appello avrebbe dovuto rilevare che tra le parti non era intervenuto un accordo puramente endo-procedimentale sulla misura dell’indennità di esproprio, avendo lo stesso ad oggetto la cessione del diritto di proprietà sulle aree per cui è causa verso il corrispettivo del pagamento di un prezzo, sicché i signori
COGNOME, non avendo contestato la validità del contratto di cessione, non potevano avanzare alcuna pretesa economica, con conseguente inammissibilità dell’azione proposta in primo e secondo grado, né potevano lamentare un danno ingiusto, quale effetto dell’irreversibile trasformazione dell’immobile, salva la possibilità di considerare l’azione come opposizione alla stima dell’indennità, nel qual caso la competenza sarebbe spettata, però, alla competenza funzionale della Corte d’Appello in unico grado e l’azione avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile per decorrenza del termine di cui all’art. 19 l. 865 del 1971.
Con il quarto motivo di ricorso è dedotta la violazione dell’art. 2947 c.c. e la violazione dei principi in materia di occupazione abusiva, con errata qualificazione della fattispecie, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per avere la Corte d’appello respinto l’eccezione di prescrizione dell’azione risarcitoria, ritenendo che il termine quinquennale per proporre l’azione decorresse dalla proposizione della domanda di risarcimento, e dunque dal 27/06/2003, anziché, come era invece corretto, dal momento in cui era intervenuta la modifica dello stato del bene a seguito dell’occupazione dello stesso, effettuata nel 1992, che ha dato inizio all’esecuzione dei lavori.
Con il quinto motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione delle regole in materia di occupazione abusiva, ed anche l’errata valutazione delle risultanze istruttorie, in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 c.p.c.
In primo luogo, il ricorrente ha affermato che la Corte d’appello aveva liquidato ai controricorrenti il danno da perdita della proprietà del bene utilizzato per la realizzazione della palestra comunale, ma tale statuizione non era corretta, perché non poteva ritenersi che con la proposizione della domanda di risarcimento per equivalente i signori COGNOME avessero rinunciato alla proprietà dell’immobile, non potendo il trasferimento della proprietà derivare
da un negozio abdicativo che, semmai, poteva consentire, in presenza degli altri presupposti, l’acquisto a titolo originario, oppure giustificare l’adozione di un provvedimento di acquisizione sanante.
In secondo luogo, il medesimo ricorrente ha censurato la decisione impugnata nella parte in cui, richiamando la CTU, ha individuato l’estensione del terreno definitivamente occupato di proprietà dei controricorrenti, che ha ritenuto non corretta, aggiungendo che la Corte d’appello ha anche errato nel calcolare il risarcimento e gli interessi dall’immissione in possesso (1992), anziché, come avrebbe dovuto fare, dal momento in cui ha perso efficacia della dichiarazione di pubblica utilità (1995) o, come ritenuto dal Tribunale, dal momento dell’irreversibile trasformazione del bene (1998).
Il primo motivo di ricorso, riferito all’eccepito difetto di giurisdizione del giudice ordinario, può essere deciso in questa sede, in applicazione dell’art. 374, comma 1, c.p.c., poiché le Sezioni Unite si sono già pronunciate in argomento.
Occorre preliminarmente rilevare che, nel costituirsi, i controricorrenti hanno eccepito, con riguardo al primo motivo di ricorso che, in ordine alla stessa questione di giurisdizione e per la stessa opera pubblica, la Corte di appello di Catania ha adottato la sentenza n. 1406/2008, ormai passata in giudicato, che ha dichiarato la giurisdizione del giudice ordinario sulla domanda di risarcimento dei danni derivanti dall’occupazione di suoli, conseguenti alla realizzazione della palestra comunale di San NOME, ravvisando una fattispecie di occupazione usurpativa, sia pure in una controversia che aveva interessato proprietari fondiari diversi (i signori COGNOME).
L’eccezione è evidentemente infondata, tenuto conto che i ricorrenti hanno dedotto che il precedente invocato non è stato pronunciato tra le stesse parti, ma tra il Comune ed altri soggetti,
sicché non è neppure configurabile l’esistenza di una pronuncia che abbia le caratteristiche del giudicato esterno.
Il primo motivo di ricorso è fondato.
4.1. Dall’esame della sentenza impugnata si evince che i proprietari del terreno oggetto di giudizio (foglio 3 particella 246 del Catasto del Comune di San NOME) hanno agito in giudizio nei confronti del Comune di San NOME, per chiedere il risarcimento del danno, pari alla perdita della disponibilità del terreno e al valore venale dello stesso, deducendo che nel 1990 era stata adottata la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, volta alla realizzazione di una palestra comunale, ma l’occupazione era stata eseguita per mere vie di fatto e le opere, oltre ad essere iniziate in totale carenza di potere, erano state portate a termine dopo dieci anni, oltre il previsto termine di completamento dei lavori.
In particolare, si legge nella decisione della Corte d’appello che i proprietari del fondo hanno agito in giudizio deducendo quanto segue: il Comune aveva occupato il terreno di loro proprietà per realizzare una palestra comunale; con decreto n. 1032/IX del 28/09/1990, l’Assessorato regionale aveva adottato la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dell’opera, fissando il termine di sessanta mesi per il completamento dei lavori; dopo avere occupato l’immobile mediante vie di fatto, il Comune aveva dovuto sospendere i lavori, perché era intervenuta la dichiarazione di fallimento dell’impresa appaltatrice; nel frattempo, il Comune aveva pagato un acconto sulla maggior somma dovuta; l’opera veniva, però, completata solo dopo l’anno 2000 (v. p. 2 della sentenza impugnata).
4.2. In sintesi, i controricorrenti hanno agito in giudizio deducendo che l’area di loro proprietà era stata occupata di fatto, ma per la realizzazione di un’opera per la quale era stata adottata la dichiarazione di pubblica utilità, la quale, però, aveva perso efficacia, per effetto del decorso del termine previsto per
l’ultimazione dei lavori, i quali erano stati portati a compimento molti anni dopo.
4.3. Il presente giudizio è stato avviato in primo grado il 27/06/2003, quando ancora non era stato adottato il d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (cd. Testo Unico sul processo amministrativo) e neppure era in vigore l’art. 53 d.P.R. n. 327 del 2001 (vigente dal 30/06/2003).
All’epoca era dunque vigente l’art. 34 d.lgs. n. 80 del 1998, nel testo applicabile ratione temporis .
In particolare, l’art. 34 d.lgs. n. 80 del 1998, ai commi 1 e 2 «1. Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti e i comportamenti delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti alle stesse equiparati in materia urbanistica ed edilizia.
stabiliva che 2. Agli effetti del presente decreto, la materia urbanistica concerne tutti gli aspetti dell’uso del territorio», aggiungendo, al comma 3, che «Nulla è innovato in ordine: …omissis… b) alla giurisdizione del giudice ordinario per le controversie riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa» .
Com’è noto, la Corte costituzionale, con sentenza n. 204 del 2004 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 34, comma 1, d.lgs. n. 80 del 1998, nella parte in cui prevedeva che erano devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi per oggetto “gli atti, i provvedimenti e i comportamenti” anziché “gli atti e i provvedimenti” delle pubbliche amministrazioni e dei soggetti alle stesse equiparati, in materia urbanistica e edilizia.
Con sentenza n. 281 del 2004, è stata, poi, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 34, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 80 del 1998, nella parte in cui ha istituito una giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di edilizia e
urbanistica, anziché limitarsi ad estendere in tale materia la giurisdizione del giudice amministrativo alle controversie aventi ad oggetto diritti patrimoniali consequenziali, ivi comprese quelle relative al risarcimento del danno.
Con sentenza n. 191 del 2006, la stessa Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 53, comma 1, d.lgs. n. 325 del 2001, nella parte in cui, nella materia dell’espropriazione, devolveva alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative a “i comportamenti delle pubbliche amministrazioni e dei soggetti ad esse equiparati”, senza escludere i comportamenti non riconducibili, nemmeno mediatamente, all’esercizio di un pubblico potere.
4.4. In tale quadro, la giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente affermato il principio secondo cui, a seguito delle sentenze della Corte costituzionale nn. 204 del 2004 e 191 del 2006, devono ritenersi devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie risarcitorie promosse in epoca successiva al 10 agosto 2000, aventi ad oggetto occupazioni illegittime preordinate all’espropriazione e realizzate in presenza di un concreto esercizio del potere, riconoscibile come tale in base al procedimento svolto ed alle forme adottate, in consonanza con le norme che lo regolano, e ciò anche nel caso in cui l’ingerenza nella proprietà privata e/o la sua utilizzazione, nonché la sua irreversibile trasformazione, siano avvenute senza alcun titolo che le consentisse, ovvero nonostante il venir meno di detto titolo (Cass., Sez. U, Sentenza n. 23102 del 17/09/2019).
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno spiegato che la predetta affermazione di giurisdizione non trova giustificazione nell’idoneità della dichiarazione di pubblica utilità a determinare l’affievolimento del diritto di proprietà, e quindi nella configurabilità della posizione giuridica del proprietario come interesse legittimo, ma nella riconducibilità della fattispecie alla materia urbanistico-edilizia,
come definita dall’art. 7 cit., in virtù della quale spettano alla cognizione del giudice amministrativo tutte le controversie aventi ad oggetto comportamenti riconducibili, anche mediatamente, all’esercizio di un pubblico potere da parte della Pubblica Amministrazione, quali che siano i diritti (reali o personali) fatti valere nei confronti di quest’ultima, nonché la natura (restitutoria o risarcitoria) della pretesa avanzata. Essa si estende quindi a tutte le ipotesi in cui l’esercizio del potere si è manifestato con l’adozione della dichiarazione di pubblica utilità, anche se poi quest’ultima sia stata annullata da parte della stessa autorità amministrativa che l’ha emessa o dal giudice amministrativo, oppure la sua efficacia sia altrimenti venuta meno, o ancora l’apprensione e/o l’irreversibile trasformazione del fondo abbiano avuto luogo in assenza di titolo o in virtù di un titolo a sua volta caducato (Cass., Sez. U, Sentenza n. 23102 del 17/09/2019; Cass., Sez. U, Ordinanza n. 7938 del 29/03/2013; v. anche Cass., Sez. U, Ordinanza n. 5513 del 26/02/2021; Sez. U, Ordinanza n. 26033 del 05/09/2022; Cass., Sez. U, Ordinanza n. 6099 del 01/03/2023).
L’esclusiva rilevanza da riconoscersi alla riconducibilità, anche mediata ed indiretta, del comportamento illecito della Pubblica Amministrazione all’esercizio di un pubblico potere, indipendentemente dalla legittimità e dall’efficacia degli atti in cui quest’ultimo si sia estrinsecato, consente di ritenere ininfluenti, ai fini del riparto di giurisdizione, anche le vicende che, nel tempo, hanno caratterizzato la realizzazione dell’opera pubblica -contrassegnate, nella specie, dall’abbandono dei lavori per effetto del fallimento dell’impresa costruttrice, ripresi e portati a termine dopo molti anni, quando la dichiarazione di pubblica aveva già perso efficacia – destinate ad assumere rilievo esclusivamente ai fini della decisione di merito.
4.5. Nella specie, pertanto, la circostanza che, in base alle stesse allegazioni dei proprietari, l’occupazione del terreno,
eseguita per le vie di fatto, fosse stata effettuata in forza di una dichiarazione di pubblica utilità, deve considerarsi sufficiente, ai sensi dell’art. 34 del d.lgs. n. 80 del 1998, come riformulato dall’art. 7, comma 1, lett. b, l. n. 205 del 2000, a determinare la devoluzione della domanda di risarcimento dei danni alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, trattandosi di un comportamento riconducibile all’esercizio di un pubblico potere, indipendentemente dalla sopravvenuta inefficacia del titolo legittimante l’espropriazione.
L’accoglimento del primo motivo di ricorso rende superfluo l’esame degli altri, che devono ritenersi assorbiti.
In conclusione, il primo motivo di ricorso deve essere accolto e, assorbiti gli altri, deve essere cassata la decisione impugnata e dichiarata la giurisdizione del giudice amministrativo, davanti al quale la causa potrà essere riassunta nel termine di cui dall’art. 59 l. n. 69 del 2009.
In punto spese, come già statuito in altri casi in cui è stato dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice adito (Cass., Sez. U, Ordinanza n. 13725 del 06/07/2016; Cass., Sez. U, Ordinanza n. 4634 del 28/02/2007), occorre dare applicazione analogica del disposto dell’art. 385, comma 2, c.p.c., nella parte in cui è previsto che la Corte «Se cassa … per violazione delle norme sulla competenza, provvede sulle spese di tutti i precedenti giudizi, liquidandole essa stessa o rimettendone la liquidazione al giudice che ha pronunciato la sentenza cassata».
Occorre statuire sulle spese di tutti i gradi del processo, che vengono interamente compensate tra le parti, in considerazione della continua evoluzione dell’orientamento interpretativo sulla questione di giurisdizione affrontata.
P.Q.M. La Corte
accoglie il primo motivo di ricorso e, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata dichiarando la giurisdizione del giudice amministrativo davanti al quale la causa potrà essere riassunta nel termine di legge;
compensa interamente tra le parti le spese di lite di entrambi i gradi di merito e del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione