Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13834 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 13834 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso 1862-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio degli avvocati NOME, NOME, che la rappresentano e difendono;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3905/2022 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 08/11/2022 R.G.N. 926/2018;
Oggetto
RETRIBUZIONE
R.G.N. 1862/2023
COGNOME.
Rep.
Ud. 09/04/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/04/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
RILEVATO CHE
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Roma, confermando la pronuncia del Tribunale della medesima sede, ha accolto la domanda di NOME COGNOME di pagamento del trattamento di fine rapporto in relazione all’attività lavorativa svolta, in qualità di dirigente, presso l’RAGIONE_SOCIALE dall’1.6.1985 al 31.10.2016, ritenendo escluso il pagamento di tale emolumento economico dagli accordi transattivi (conciliazione giudiziale del 27/4/2016 e accordo di conciliazione sindacale del 21/10/2016) intercorsi tra le parti;
per la cassazione della sentenza propone ricorso la società con due motivi, illustrati da memoria; la lavoratrice ha resistito con controricorso;
al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
CONSIDERATO CHE
1. con il primo motivo di ricorso si denunzia violazione degli artt. 1362 e 1363 cod.civ. (ex art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.) avendo, la Corte territoriale, effettuato un’erronea interpretazione degli accordi intercorsi tra le parti (il verbale di conciliazione giudiziale del 27/4/2016 e la conciliazione sindacale del 21/10/2016): in particolare, ha omesso di verificare e porre motivo della decisione il complessivo testo della clausola contrattuale del primo accordo (che ha riportato in sentenza solo in parte); ha omesso di confrontare e di valutare detta clausola contrattuale con quella di cui al punto successivo; ha, infine, errato nel ritenere che il secondo accordo transattivo fosse sostitutivo del precedente e
non meramente integrativo; invero, se la Corte territoriale avesse valutato l’intera clausola n. 7 dell’accordo transattivo del 27/4/2016 sarebbe giunta alla conclusione che il trattamento di fine rapporto maturato sino al 31/3/2016 (al pari di tutti e le spettanze retributive maturate sino a quella data e con la sola esclusione di quelle di cui al punto 8) era oggetto di rinuncia da parte della lavoratrice ai sensi dell’art. 2113 cod.civ.; inoltre accordo del 21/10/2016 è intervenuto principalmente per modificare la data di risoluzione del rapporto di lavoro già precedentemente concordata nell’accordo del 27/4/2016;
con il secondo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 39 della legge n. 133 del 2008, 20 del d.P.R. n. 1124 del 1965,1 e 2 della legge n. 4 del 1953, 2729 cod.civ., 228 e 232 cod.proc.civ. (ex art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.) avendo, la Corte territoriale, trascurato di conferire valenza probatoria alle buste paga prodotte dalla società circa l’effettiva corresponsione da parte dell’azienda delle somme ivi indicate a titolo di anticipazione del trattamento di fine rapporto;
il primo motivo di ricorso non è fondato;
4. premesso che la sentenza impugnata riporta – nella parte di esposizione delle motivazioni poste a fondamento della sentenza di primo grado – sia il punto 7 che il punto 8 del verbale di conciliazione giudiziale sottoscritto il 27/4/2016, va rammentato che l’interpretazione di un atto negoziale è riservata all’esclusiva competenza del giudice del merito (Cass. n. 8586 del 2015; in precedenza, ex multis , cfr. Cass. n. 17067 del 2007; Cass. n. 11756 del 2006), con una operazione che si sostanzia in un accertamento di fatto (tra le tante, Cass. n. 9070 del 2013); le valutazioni del giudice di merito in ordine
all’interpretazione degli atti negoziali soggiacciono, nel giudizio di cassazione, ad un sindacato limitato alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale ed al controllo della sussistenza di una motivazione logica e coerente (ex plurimis, Cass. n. 4851 del 2009; Cass. n. 3187 del 2009; Cass. n. 15339 del 2008; Cass. n. 11756 del 2006; Cass. n. 6724 del 2003; Cass. n. 17427 del 2003);
4.1. per sottrarsi al sindacato di legittimità quella data dal giudice al testo negoziale non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito -alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito – dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra; infatti il ricorso in sede di legittimità – riconducibile, in linea generale, al modello dell’argomentazione di carattere confutativo – laddove censuri l’interpretazione del negozio accolta dalla sentenza impugnata, non può assumere tutti i contenuti di cui quel modello è suscettibile, dovendo limitarsi ad evidenziare l’invalidità dell’interpretazione adottata attraverso l’allegazione (con relativa dimostrazione) dell’inesistenza o dell’assoluta inadeguatezza dei dati tenuti presenti dal giudice di merito o anche solo delle regole giustificative (anche implicite) che da quei dati hanno condotto alla conclusione accolta, e non potendo, invece, affidarsi alla mera contrapposizione di un risultato diverso sulla base di dati asseritamente più significativi o di regole di giustificazione prospettate come più congrue (in termini: Cass. n. 18375 del 2006; conforme, più di recente, Cass. n. 12360 del 2014 e n. 8586 del 2015);
4.2. nel caso di specie, la Corte territoriale ha fornito una logica e corretta interpretazione letterale e teleologica degli accordi intercorsi fra le parti, sottolineando che l’ incipit della conciliazione giudiziale (‘Fatto salvo il diritto della dirigente alle competenze di fine rapporto’) non lasciava adito a dubbi di sorta e che ciò appariva, inoltre, ragionevole in quanto le parti avevano inteso comporre l’annoso contenzioso sussiste nte per svariate numerose controversie ancora pendenti esclusivamente in relazione a differenze retributive (e non alle competenze di fine rapporto); inoltre l’esclusione del trattamento di fine rapporto si giustificava anche con la costatazione che l’accordo prevedeva la cessazione del rapporto di lavoro in un momento successivo rispetto alla conciliazione giudiziale; del pari, l’esclusione del trattamento di fine rapporto dalla transazione era ribadito nella successiva conciliazione sindacale del 21/10/2016 in cui le parti, nel regolare le dimissioni della lavoratrice, aff ermavano: ‘6. Resta salva la verifica contabile del TFR e delle competenze finali sulla base delle voci retributive’; la Corte ha, pertanto, accertato che ‘in entrambe le transazioni l’architetto COGNOME non ha mai rinunciato a percepire il TFR’;
il secondo motivo di ricorso è inammissibile;
5.1. è, invero, inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, atteso che in tal modo si consentirebbe la surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, grado di merito (Cass. n. 8758 del 2017);
5.2. nel caso di specie, la Corte territoriale ha accertato che nessuna prova è stata fornita dalla società in ordine al pagamento di anticipi del trattamento di fine rapporto (diversi
da quelli già detratti dalla COGNOME) poiché le buste paga 2004 e 2010 non sono sottoscritte dalla lavoratrice e non è dimostrata neppure la consegna delle buste paga in questione e dei versamenti ivi indicati; accertamento di merito incensurabile in sede di legittimità;
5.3. in ogni caso va sottolineato che questa Corte di legittimità, anche con riguardo a prospetti paga sottoscritti dal lavoratore (che nel caso di specie non sono stati prodotti dal datore di lavoro) ha affermato la sottoscrizione “per ricevuta” apposta dal lavoratore alla busta paga non implica, in maniera univoca, l’effettivo pagamento della somma ivi indicata, sicché la regolare tenuta della relativa documentazione da parte del datore di lavoro non determina alcuna conseguenza circa gli oneri probatori gravanti sulle parti (Cass. n. 10306 del 2018); 6. la domanda della controricorrente di condanna ai sensi dell’art. 96, terzo comma, c.p.c. va respinta, non essendo emersa la concreta presenza di malafede o colpa grave della parte soccombente (cfr. sui requisiti necessari per configurare detta responsabilità, da ultimo, Cass. n. 19948 del 2023).
in conclusione, il ricorso va rigettato e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.;
Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002;
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 4.500,00 per compensi professionali e in euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge, da distrarre.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 9 aprile 2024.