Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 23964 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 23964 Anno 2024
AVV_NOTAIO: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/09/2024
sul ricorso 8786/2018 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME , rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME
–
ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in Roma, presso la cancelleria della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 760/2017 depositata il 06/02/2017;
udita la relazione della causa svolta all’adunanza non partecipata del 13/06/2024 dal AVV_NOTAIO.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’Appello di Roma, con sentenza 760/2017 del 6.2.2017, pronunciando sull’appello proposto dal RAGIONE_SOCIALE avverso la decisione che in primo grado ne aveva accolto solo parzialmente le pretese dispiegate in danno dell’Amministrazione RAGIONE_SOCIALE, a causa dell’anomalo andamento dell’appalto da questa conferitole per la ristrutturazione e la riorganizzazione degli spazi interni del Palazzo Consolare di Ferentino, ha giudicato infondato il proposto atto di gravame -confutandone segnatamente le ragioni in punto di nullità della CTU per violazione del contraddittorio, di efficacia della rinuncia alle riserve contenuta nell’atto di sottomissione e di legittima sospensione del lavori per sorpresa archeologica -ed ha pertanto confermato, per quanto qui ancora rileva, tutte le impugnate determinazioni di prime cure.
La cassazione di detta sentenza è ora reclamata dalla soccombente con un ricorso affidato a quattro motivi illustrati pure con memoria, ai quali resiste con controricorso e memoria l’amministrazione convenuta.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso -con cui si censura il deliberato d’appello laddove questo aveva ritenuto che, giusta la rinuncia ad esse risultante dall’atto di sottomissione in data 21.4.1999 predisposto dalla stazione appaltante a seguito della perizia di variante datata 18.5.1998, l’appellante avesse abdicato alle pretese
originariamente esternate per mezzo delle riserve, e ciò malgrado l’atto di sottomissione avesse solo lo scopo di dar seguito alla realizzazione delle opere aggiuntive assentite con la perizia di variante e la dichiarazione di rinuncia fosse generica e priva dei contenuti minimi per essere intesa come tale -è inammissibile poiché inteso a rimeditare l’apprezzamento in fatto operato dal decidente del grado.
E’ ben vero che, in tema di appalto per la realizzazione di opere pubbliche, la sottoscrizione da parte dell’appaltatore di un atto di sottomissione contenente modifiche all’originaria convenzione ed avente a oggetto una variante e un assestamento del progetto relativo al completamento delle opere, non può essere inteso quale rinuncia dell’appaltatore alle riserve avanzate in corso d’opera, per la quale è necessaria un’apposita dichiarazione di volontà del titolare del diritto rinunciato, oppure un comportamento concludente dello stesso idoneo a evidenziare in modo univoco la sua effettiva e definitiva volontà di abdicare al proprio diritto (Cass., Sez. I, 19/04/2024, n. 10603). Tuttavia nel caso di specie, come rilevato dalla Corte d’appello, all’art. 2 dell’atto di sottomissione del 21 aprile 1999, COGNOME aveva dichiarato di essere disposta a proseguire i lavori oggetto di appalto, «rinunciando a tutte le riserve apposte sino ad oggi negli atti contabili del contratto di appalto, rinunciando altresì «ad ogni indennizzo o compenso aggiuntivo comunque connesso alla esecuzione delle opere di cui alla predetta perizia (del 18 maggio 1998), ai lavori in corso, incluso l’equo compenso».
Alla luce di detta determinazione -configurante senza ombra di equivoci una rinuncia in forma espressa da parte dell’appaltatrice non solo alle pregresse riserve, ma anche ai successivi compensi ed indennizzi, derivanti dalla prosecuzione delle opere, rinuncia che notoriamente non abbisogna di formule sacramentali (Cass., Sez. I,
18/05/2006, n. 11749) -il conseguente accertamento operatone dalla Corte d’Appello si concreta nell’esplicazione di un ufficio interpretativo, nel che come è noto si estrinseca un apprezzamento di fatto che è riservato al giudice di merito e che, nei termini qui denunciati, non è rimeditabile in questa sede (Cass., Sez. IV, 4/04/2022, n. 10745).
3. Il secondo motivo di ricorso -con cui si censura il deliberato d’appello laddove questo, riconoscendo l’efficacia della vista rinuncia, aveva escluso che essa configurasse una clausola vessatoria bisognevole di approvazione espressa a mente dell’art. 1341, comma 2, cod. civ., sicché in difetto di tale formalità quella operata dall’appellante nel sottoscrivere l’atto di sottomissione doveva ritenersi priva di effetto -è infondato e va pertanto disatteso.
E’ infatti affermazione corrente nella giurisprudenza di questa Corte che perchè sussista l’obbligo della specifica approvazione per iscritto di cui all’art. 1341, comma 2 cod. civ. non basta che uno dei contraenti abbia predisposto l’intero contenuto del contratto in modo che l’altra parte non possa che accettarlo o rifiutarlo nella sua interezza, ma è altresì necessario che lo schema sia stato predisposto e le condizioni generali siano state fissate, per servire ad una serie indefinita di rapporti, sia dal punto di vista sostanziale, perché confezionate da un contraente che esplichi attività contrattuale all’indirizzo di una pluralità indifferenziata di soggetti, sia dal punto di vista formale, in quanto predeterminate nel contenuto a mezzo di moduli o formulari utilizzabili in serie.
Ne consegue che non necessitano di una specifica approvazione scritta le clausole contrattuali elaborate in previsione e con riferimento ad un singolo, specifico negozio da uno dei contraenti, cui l’altro possa richiedere di apportare le necessarie modifiche dopo averne liberamente apprezzato il contenuto (Cass., Sez. VI-II,
28/09/2020, n. 20461; Cass., Sez. VI-III, 10/07/2013, n. 17073; Cass., Sez. III, 14/02/2006, n. 3184).
La prospettazione operata con il motivo si rivela dunque del tutto incongrua rispetto alla fattispecie in disamina -ove si è chiaramente in presenza di un contratto destinato a regolare un singolo affare – e ciò perché, come si pure ricordato, la nozione di condizioni generali di contratto è eccentrica rispetto a clausole contrattuali elaborate da uno dei contraenti con riferimento ad un singolo negozio e fatta salva la possibilità dell’altro contraente di apprezzarne il contenuto e richiederne le necessarie modifiche (Cass., Sez. I, 23/03/2023, n. 8280).
4. Il terzo motivo di ricorso -con cui si censura il deliberato d’appello laddove questo ha escluso, in relazione alle reiterate sospensione dei lavori, l’inadempimento della stazione appaltante sul presupposto che esse si erano rese necessarie in ragione dei ritrovamenti archeologici avvenuti nel corso dei lavori, ancorché dalle relative causali risultasse che ne erano state ragione le gravi carenze ed inadeguatezze che affliggevano il progetto posto a base di gara, predisposto senza effettuare le dovute indagini sebbene fosse nota la rinomanza storico-architettonica del sito -è infondato e va pertanto disatteso.
Anche al riguardo si impone di far richiamo, a confutazione della doglianza, al consolidato indirizzo seguito dalla giurisprudenza di questa Corte dell’avviso che il rinvenimento di reperti archeologici (cd. sorpresa archeologica) nel corso dell’esecuzione costituisce causa di forza maggiore, ai sensi dell’art. 30, comma 1, d.P.R. 17 luglio 1962, n. 1063, che impedisce la prosecuzione dei lavori in adempimento dei doveri imposti dalla legge e senza discrezionalità alcuna da parte del committente, sicché la sospensione disposta dalla stazione appaltante, non avendo natura discrezionale per
ragioni di interesse pubblico, non consente all’appaltatore di richiedere, ai sensi dell’art. 30, comma 2, del medesimo d.P.R., lo scioglimento del contratto ove la stessa superi i termini ivi stabiliti e, in caso di rifiuto da parte del committente, di ottenere l’indennizzo dei maggiori oneri sopportati (Cass., Sez. I, 05/02/2016, n. 2316; Cass., Sez. I, 14/05/2005, n. 10133).
D’altro canto, anche in questa sede il ricorrente si limita a ribadire le questioni della durata della sospensione e della prevedibilità dei ritrovamenti archeologici, senza confrontarsi con la ratio decidendi circa la mancanza di prove di tale prevedibilità, essendosi il CCC limitato ad allegare, fin dal primo grado del giudizio, del tutto genericamente, solo «la notorietà del sito archeologico».
5. Il quarto motivo di ricorso -con cui si censura il deliberato d’appello laddove questo ha respinto l’eccezione di nullità sollevata per le violazioni del contraddittorio nell’espletamento della CTU, ancorché si fosse impedito al CTP di evidenziare alcuni aspetti dirimenti della controversia e non fosse stato consentito allo stesso di depositare documenti rilevanti ai fini di causa -è inammissibile sotto un duplice profilo.
Esso, infatti, da un lato non si confronta con la ratio decidendi enunciata in sentenza circa la tardività della richiesta di esibizione di documenti relativi alle voci di credito vantate dal CCC, che – secondo la Corte – avrebbero dovuto essere prodotti nei termini di cui all’art. 184 cod. proc. civ.; dall’altro, la censura è del tutto generica, atteso che non specifica di quali documenti si trattasse, che natura avessero e quale ne fosse il contenuto, sicché l’allegazione non consente a questa Corte di apprezzare se tali documenti fossero diretti a provare i fatti principali dedotti a fondamento della domanda e delle eccezioni -che è onere delle parti provare -e che non si
trattasse di documenti diretti a provare fatti principali rilevabili d’ufficio (Cass.. Sez. U, 1/02/2022. n. 3086).
6. Il ricorso va dunque respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Ove dovuto sussistono i presupposti per il raddoppio a carico della ricorrente del contributo unificato ai sensi del dell’art. 13, comma 1- quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in favore di parte resistente in euro 4200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Cosi deciso in Roma nella camera di consiglio della I sezione civile il giorno 13.06.2024.
Il AVV_NOTAIO COGNOME