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Rinuncia riserve appalto: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 23964/2024, ha respinto il ricorso di un consorzio edile, confermando la validità della rinuncia alle riserve in un appalto pubblico. La Corte ha stabilito che una clausola di rinuncia riserve appalto, se espressa chiaramente in un atto di sottomissione, è vincolante e non costituisce clausola vessatoria. Inoltre, ha ribadito che la sospensione dei lavori per ritrovamenti archeologici è causa di forza maggiore, non imputabile alla stazione appaltante.

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Pubblicato il 16 dicembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Rinuncia Riserve Appalto: Quando un Atto di Sottomissione è Vincolante

La gestione delle riserve è uno degli aspetti più delicati negli appalti pubblici. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti cruciali sulla validità della rinuncia riserve appalto contenuta in un atto di sottomissione. La decisione sottolinea come una dichiarazione chiara e inequivocabile da parte dell’appaltatore possa precludere future richieste di indennizzo, anche in contesti complessi segnati da varianti e sospensioni dei lavori. Analizziamo questa importante pronuncia per capire le sue implicazioni pratiche.

I Fatti del Caso: Un Appalto Complesso

La vicenda trae origine da un contratto d’appalto per la ristrutturazione di un edificio storico, conferito da un’Amministrazione Provinciale a un consorzio di cooperative edili. Durante l’esecuzione, l’andamento dei lavori è stato anomalo, portando all’approvazione di una perizia di variante. A seguito di ciò, le parti hanno sottoscritto un atto di sottomissione con cui l’appaltatore si impegnava a proseguire i lavori, dichiarando esplicitamente di rinunciare “a tutte le riserve apposte sino ad oggi” e “ad ogni indennizzo o compenso aggiuntivo comunque connesso” all’esecuzione delle opere previste dalla perizia. Successivamente, i lavori sono stati sospesi più volte a causa di ritrovamenti archeologici. L’appaltatore ha quindi agito in giudizio per ottenere il pagamento di ulteriori somme, ma le sue pretese sono state respinte sia in primo grado che in appello, proprio in virtù della rinuncia sottoscritta.

L’Analisi della Corte di Cassazione e la Rinuncia Riserve Appalto

Il consorzio ha presentato ricorso in Cassazione basato su quattro motivi, tutti respinti dalla Suprema Corte. L’analisi dei giudici si è concentrata sui punti nodali della controversia.

La Validità della Rinuncia Espressa

Il primo motivo di ricorso sosteneva che la dichiarazione di rinuncia fosse generica e inefficace. La Corte ha rigettato questa tesi, evidenziando come il tenore letterale della clausola contenuta nell’atto di sottomissione fosse inequivocabile. L’appaltatore non solo aveva rinunciato alle riserve già formulate, ma anche a qualsiasi futuro compenso o indennizzo derivante dalla prosecuzione dei lavori secondo la perizia di variante. Secondo la Corte, tale dichiarazione configura una rinuncia espressa, che non necessita di formule sacramentali per essere valida, ma solo di una manifestazione di volontà chiara e definitiva, come avvenuto nel caso di specie. L’interpretazione di tale volontà è un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità.

La Clausola di Rinuncia non è Vessatoria

Il consorzio ha poi sostenuto che la clausola di rinuncia fosse vessatoria ai sensi dell’art. 1341, comma 2, c.c., e quindi inefficace perché non approvata specificamente per iscritto. Anche questo motivo è stato giudicato infondato. La Corte ha chiarito che la disciplina delle clausole vessatorie si applica ai contratti conclusi mediante moduli o formulari predisposti da uno dei contraenti per una serie indefinita di rapporti (condizioni generali di contratto). Nel caso in esame, invece, l’atto di sottomissione era un accordo specifico, negoziato per regolare un singolo e determinato affare, con la possibilità per l’altra parte di discutere e modificare il contenuto. Pertanto, la speciale approvazione scritta non era necessaria.

La Sorpresa Archeologica come Forza Maggiore

Un altro punto contestato era la sospensione dei lavori. L’appaltatore la imputava a una carenza progettuale della stazione appaltante. La Cassazione ha respinto la doglianza richiamando il suo consolidato orientamento: il rinvenimento di reperti archeologici (cd. “sorpresa archeologica”) costituisce una causa di forza maggiore. Questo evento impedisce la prosecuzione dei lavori per adempiere a doveri imposti dalla legge, senza alcuna discrezionalità da parte del committente. Di conseguenza, la sospensione non è un inadempimento della stazione appaltante e non dà diritto all’appaltatore di chiedere lo scioglimento del contratto o un indennizzo per i maggiori oneri.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha fondato la sua decisione su principi consolidati in materia di contratti d’appalto pubblici. La motivazione principale risiede nella chiara distinzione tra l’interpretazione della volontà contrattuale e la valutazione giuridica delle clausole. La Corte ha stabilito che la Corte d’Appello ha correttamente esercitato il suo potere interpretativo, concludendo, senza vizi logici, che la volontà dell’appaltatore era quella di abdicare in modo definitivo a ogni pretesa economica, passata e futura, legata alla variante. Questo apprezzamento di fatto, essendo ben motivato, non può essere riesaminato in Cassazione. Inoltre, la Corte ha ribadito la corretta applicazione della normativa sulle clausole vessatorie, circoscrivendola ai soli contratti standardizzati e non agli accordi negoziati individualmente, come l’atto di sottomissione in questione. Infine, la qualificazione della sorpresa archeologica come forza maggiore ha chiuso la porta a qualsiasi pretesa risarcitoria basata su un presunto inadempimento della stazione appaltante, riconducendo l’evento a una causa esterna non imputabile a nessuna delle parti.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per Appaltatori e Stazioni Appaltanti

Questa ordinanza offre importanti spunti operativi. Per gli appaltatori, emerge la necessità di prestare la massima attenzione nella redazione e sottoscrizione di atti di sottomissione o accordi transattivi. Una clausola di rinuncia riserve appalto formulata in termini ampi e onnicomprensivi può estinguere definitivamente ogni diritto a maggiori compensi, anche per eventi futuri legati alle modifiche contrattuali. È fondamentale valutare attentamente le conseguenze di tali rinunce prima di firmare. Per le stazioni appaltanti, la sentenza conferma la possibilità di utilizzare tali accordi per definire in modo tombale le controversie, a patto che le clausole siano chiare e che l’accordo sia il risultato di una negoziazione specifica per quel singolo rapporto contrattuale.

Una rinuncia generica alle riserve in un atto di sottomissione è sempre valida?
No, non necessariamente. Tuttavia, se la dichiarazione, pur essendo ampia, manifesta in modo inequivocabile e definitivo la volontà dell’appaltatore di abdicare a tutte le pretese, presenti e future, connesse a una specifica variante o modifica contrattuale, la Corte la considera una rinuncia espressa e pienamente valida.

La clausola di rinuncia alle riserve in un contratto d’appalto pubblico è considerata vessatoria ai sensi dell’art. 1341 c.c.?
No, se la clausola è contenuta in un accordo specifico negoziato tra le parti per regolare un singolo affare (come un atto di sottomissione per una perizia di variante). La disciplina delle clausole vessatorie, che richiede la doppia sottoscrizione, si applica solo ai contratti standard predisposti per una serie indefinita di rapporti, non agli accordi individuali.

La sospensione dei lavori per il ritrovamento di reperti archeologici è considerata una colpa della stazione appaltante?
No. Secondo la giurisprudenza consolidata richiamata dalla Corte, la cosiddetta ‘sorpresa archeologica’ costituisce una causa di forza maggiore. La sospensione dei lavori che ne deriva è un atto dovuto imposto dalla legge e non discrezionale, pertanto non può essere considerato un inadempimento della stazione appaltante e non dà diritto a indennizzi per l’appaltatore.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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