Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 5391 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L   Num. 5391  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso 10673-2022 proposto da:
COGNOME  NOME,  domiciliato  in  INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,  rappresentato  e  difeso  dagli  avvocati  NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME, in proprio e quale  socio  accomandatario  e legale  rappresentante  pro  tempore,  della  RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliati  in  ROMAINDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrenti –
Oggetto
R.NUMERO_DOCUMENTO.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 28/11/2024
COGNOME.
Rep.
Ud. 28/11/2024
CC
avverso  la  sentenza  n.  39/2021  della  CORTE  D’APPELLO  DI TRENTO  SEZIONE  DISTACCATA  DI  BOLZANO,  depositata  il 04/11/2021 R.G.N. 32/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/11/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
Rilevato che
NOME COGNOME, premesso di avere prestato servizio in qualità di chef di cucina alle dipendenze di RAGIONE_SOCIALE nel periodo dal 12.6.2019 con contratto di lavoro stagionale, con termine comunicato all’Ufficio del Lavoro in data 30.9.2019, adiva il locale tribunale chiedendo l’accertamento della violazione del diritto di precedenza ex art. 24 d. lgs. n. 81/2015 ad essere assunto presso la detta struttura alberghiera (in relazione alla medesima attività stagionale) e la condanna delle convenute RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE in proprio, quale socio accomandatario, al risarcimento del danno da mancata riassunzione commisurato alle retribuzioni non percepite dalla stagione invernale 2019/2020, danno quantificato in € 30.217,22; impugnava a tal fine la rinunzia al diritto di precedenza contenuta nella dichiarazione rilasciata alla datrice di lavoro in data 15.9.2019, nella quale dava atto, tra l’altro, dell’avvenuta anticipata risoluzione consensuale del rapporto di lavoro;
 il  giudice  di  primo  grado  respingeva  la  domanda  con statuizione confermata dalla Corte di appello di Trento – sezione di Bolzano;
 la  Corte  di  merito,  premesso  il  carattere  di  novità  e comunque  la  infondatezza  della  domanda,  formulata  solo  in
seconde cure, intesa a far valere la circostanza dell’avvenuta sottoscrizione della rinunzia al diritto di precedenza in epoca antecedente alla cessazione del rapporto di lavoro -con conseguente nullità ex art. 1418 c.c. della rinunzia in quanto riferita ad un diritto futuro- ha confermato la decisione di primo grado in punto di non configurabilità nel documento nel quale era trasfusa la dichiarazione di rinunzia al diritto di assunzione, di un negozio transattivo, in assenza di elementi rivelatori del presupposto rappresentato dalla res litigiosa che il negozio in oggetto avrebbe, in tesi, dovuto comporre; secondo il giudice di appello tale documento costituiva dichiarazione di scienza con la quale il lavoratore aveva espresso il proprio convincimento di essere rimasto soddisfatto nei propri dirit ti e concluso l’atto con una clausola di stile contenente la generica rinunzia a pretese non meglio precisate; in tale contesto, la dichiarazione di rinunzia alla riassunzione si configurava come clausola autonoma e dispositiva di un diritto attuale, determinato e disponibile;
 per  la  cassazione  della  decisione  ha  proposto  ricorso NOME COGNOME sulla base di quattro motivi; la parte intimata ha resistito con controricorso;
Considerato che
 Con  il  primo  motivo  di  ricorso  parte  ricorrente  deduce omesso  esame  di  fatto  controverso  e  decisivo  rappresentato dalla  circostanza  che  la  dichiarazione  di  quietanza  liberatoria rilasciata  dal  lavoratore  era  frutto  in  realtà  di  imposizione datoriale e int egrava l’atto finale e conciliativo del rapporto tra le parti; sostiene che il lavoratore si era assoggettato all’imposizione  al  fine  di  ottenere  l’immediato  incasso  delle
competenze dovute, quanto meno di quelle riconosciute dal datore di lavoro all’atto della cessazione del rapporto; in questa prospettiva ribadisce che la pretesa quietanza si configurava quale negozio transattivo implicante la necessità di valutazione complessiva dello stesso sia con riferimento alla parte concernente la quietanza sia con riferimento alla parte relativa alla rinunzia al diritto alla riassunzione ex art.24 d.lgs. n. 81/2015; assume, infine, che versandosi in tema di travisamento della prova, non operava la preclusione scaturente da <> ex art. 348 ter ultimo comma c.p.c. ;
con il secondo motivo deduce ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c. violazione e falsa applicazione degli artt. 99, 112, 115 c.p.c., dell’art. 111 Cost. e dell’art. 6 CEDU; ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 4 c.p.c deduce nullità della sentenza per violazione degli artt. 99, 112 e 115 c.p.c . Assume in particolare che la omessa pronunzia su una domanda di acquisizione di prova decisiva ai fini del giudizio integrava nullità della sentenza per error in procedendo con riferimento alle regole di garanzia del giusto processo sancite dall’art. 1 11 Cos t. e dall’ art. 6 CEDU; ove assunta, la prova richiesta avrebbe infatti consentito di configurare la volontà abdicativa sottesa all’atto di quietanza non come constatazione pacifica ma come abbandono coatto delle proprie ragion da parte del lavoratore in quanto condizionato alla contestuale consegna da parte della società datrice di lavoro dell’importo di euro 14.053,00;
con il terzo motivo di ricorso deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2113 e 1362 c.c.; sostiene che il testo del negozio transattivo, seppure in forma di quietanza liberatoria  unilaterale,  esprimeva l’intento  degli  stipulanti  di
definite unitariamente la controversia sulla risoluzione anticipata del rapporto sul pagamento immediato delle competenze e sulla rinunzia ad altri diritti del dipendente per cui al rinunzia alla riassunzione non si configurava come distinta ed autonoma; in base a tale ricostruzione l’art. 2113 c .c. in tema di impugnabilità trovava applicazione in relazione all’intero contenuto dell’atto e quindi anche alla rinunzia; sostiene che in concreto la pretesa ‘quietanza liberatoria’ non costituiva mera attestazione del lavoratore di essere rimasto integralmente soddisfatto nelle proprie ragioni ma rappresentava l’approdo di una contesa sulle richieste del lavoratore in deroga agli impegni assunti;
con il quarto motivo deduce violazione e falsa applicazione degli artt.  1965  e  1966  c.c. invocando  la giurisprudenza della S.C. secondo la quale per la validità della transazione è necessaria sussistenza della res litigiosa ma non è a tal fine necessario che le rispettive tesi delle parti abbiano raggiunto  la  determinatezza  propria  della  pretesa  essendo sufficiente l’esistenza di un dissenso potenziale (Cass. 8301/2006, Cass. 11142/2003);
5.  il primo motivo di ricorso è inammissibile;
5.1. è a riguardo dirimente la preclusione alla deduzione del vizio di cui all’art. 360, comma 1 n. 5 c.p.c. scaturente dalla esistenza di ‘doppia conforme di merito’ ex art. 348 ter ultimo comma c.p.c., nel testo all’epoca vigente, non avendo parte ricorrente indicato le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse, come suo onere (Cass. n. 5947/2023 Cass. n. 26774/ 2019, Cass. n.
19001/2016, Cass. n. 5528/2014); tale preclusione non è superabile dalla deduzione di ‘travisamento della prova’ alla luce del recente approdo nomofilattico delle sezioni unite di questa Corte (Cass. Sez. Un. n. 5792/2024) dovendo ulteriormente rilevarsi il difetto di decisività della circostanza il cui esame sarebbe stato asseritamente omesso, in assenza di una chiara deduzione, nella originaria domanda, della esistenza di un vizio della volontà del lavoratore dichiarante connesso alla non meglio specificata ‘imposizione datoriale’;
il secondo motivo è inammissibile alla luce della consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo la quale il mancato esame di un’istanza istruttoria non integra di per sé ipotesi di omissione di pronunzia, la quale è configurabile soltanto rispetto alla decisione di merito. La mancata pronuncia su una istanza istruttoria può dar luogo, infatti, solo alla deduzione di vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 n 5 c.p.c. -nello specifica precluso secondo quanto in precedenza osservato, ove attenga a circostanze che, con giudizio di certezza e non di mera probabilità, avrebbero potuto indurre ad una decisione diversa da quella adottata (Cass. n. 2859/1995, Cass, n. 381/1995, Cass., n. 4472/1978);
il terzo motivo di ricorso è inammissibile in quanto si traduce nella prospettazione di un diverso apprezzamento del contenuto della ‘quietanza’ contenente la rinunzia all’assunzione, apprezzamento finalizzato a ribadire la natura sostanzialmente tran sattiva dell’atto; in tal modo le ragioni di doglianza si limitano ad esprimere un mero dissenso valutativo rispetto alle conclusioni alle quali è pervenuto il giudice di merito che sulla base di accertamento di fatto, ad esso istituzionalmente demandato ha escluso la ravvisabilità di un
negozio transattivo per difetto del presupposto rappresentato dalla res litigiosa ; tale accertamento non è validamente incrinato dalle censure articolate dalla parte ricorrente in quanto la deduzione di violazione delle regole legali di interpretazione, intesa sostanzialmente a fa ricadere in un unico ambito, suscettibile di essere complessivamente impugnato ai sensi dell’art. 2113 c.c., sia la ‘quietanza’ che il negozio abdicativo con riferimento alla rinunzia al diritto di precedenza nelle future assunzioni, non è conforme alla giurisprudenza di questa Corte in tema di modalità di deduzione del vizio di violazione dei criteri legali di interpretazione;
7.1. premesso, infatti, che le regole ermeneutiche dettate per i contratti dagli artt. 1362 c.c. e seguenti sono applicabili, in virtù del rinvio contenuto nell’art. 1324 dello stesso codice, anche agli atti unilaterali, ritiene il Collegio di dar seguito alla condivisibile giurisprudenza di questa Corte secondo la quale l’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata costituisce un’attività riservata al giudice di merito, ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione, qualora la stessa risulti contraria a logica o incongrua, cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione. Ai fini della censura di violazione dei canoni ermeneutici, non è peraltro sufficiente l’astratto riferimento alle regole legali di interpretazione, ma è necessaria la specificazione dei canoni in concreto violati, con la precisazione del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne è discostato mentre la denuncia del vizio di motivazione dev’essere invece effettuata mediante la precisa indicazione delle lacune
argomentative, ovvero delle illogicità consistenti nell’attribuzione agli elementi di giudizio di un significato estraneo al senso comune, oppure con l’indicazione dei punti inficiati da mancanza di coerenza logica, e cioè connotati da un’assoluta incompatibilità razionale degli argomenti, sempre che questi vizi emergano appunto dal ragionamento logico svolto dal giudice di merito, quale risulta dalla sentenza. In ogni caso, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che quella data dal giudice sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, sicché, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’ interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra ( Cass. n. 19044/2010, Cass. n. 15604/2007,in motivazione; Cass. n. 4178/2007) dovendosi escludere che la semplice contrapposizione dell’ interpretazione proposta dal ricorrente a quella accolta nella sentenza impugnata rilevi ai fini dell’annullamento di quest’ultima (Cass. 14318/2013, Cass. n. 23635/2010);
8. il quarto motivo di ricorso è inammissibile perché non pertinente alle ragioni della decisione fondate sul difetto del presupposto rappresentato dalla res litigiosa, tema al quale è estraneo ogni valutazione connessa al grado di determinazione delle reciproche pretese destinate ad essere composte in via conciliativa; la sentenza impugnata non contiene infatti alcuna affermazione in diritto in contrasto con la comune interpretazione delle norme delle quali è denunziata violazione e falsa applicazione, avendo la Corte di merito escluso la configurabilità di negozio transattivo per il radicale difetto di una lite, anche potenziale, da comporre;
all’inammissibilità del ricorso consegue la condanna della parte  soccombente  alla  rifusione  delle  spese  processuali  ed pagamento, nella sussistenza dei relativi presupposti processuali,  dell’ulteriore  importo  del  contributo  unificato  ai sensi dell’art. 13, comma quater d.p.r. n. 115/2002;
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente  alla  rifusione  delle  spese  di  lite  che  liquida  in  € 4.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese  forfettarie  nella  misura  del  15%  e  accessori  come  per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà  atto  della  sussistenza  dei  presupposti  processuali  per  il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di  contributo  unificato  pari  a  quello  previsto  per  il  ricorso  a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 28 novembre 2024
La Presidente AVV_NOTAIOssa NOME COGNOME